Fail2Succeed, cambiare l'Europa è un'impresa
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Valeria MalacasaLa paura di fallire è l'ostacolo maggiore all'avviamento di un'impresa da parte dei giovani europei. Fail2Succeed vuole modificare il modo in cui la bancarotta viene percepita nel nostro continente. Ne abbiamo parlato con il suo fondatore, Andrea Gerosa.
Cafébabel (Cb): Cosa è Fail2Suceed e quale è il vostro obiettivo?
Andrea Gerosa (A.G): Fail2Succeed fa parte di ThinkYoung, un'organizzazione che ho fondato per rendere il mondo un posto migliore per i giovani. Vorremmo incrementare il numero di ragazzi che decidono di avviare la propria impresa. In questo periodo di crisi molti ragazzi hanno paura di prendere dei rischi e avviare un'attività. In effetti quando si va in bancarotta passano mesi prima che il responsabile dell'azienda si riprenda. Inizialmente le banche e i creditori iniziano a chiamare gli imprenditori. Quest'ultimi smettono di andare al lavoro e cominciano ad avere problemi psicologici: c’è chi inzia a bere, chi ad avere problemi con la famiglia. È un processo lungo e noi vogliamo renderlo il più breve e indolore possibile. A lungo termine, vorremmo riuscire ad avere un impatto sulla cultura imprenditoriale: potremmo realmente dare il via a un rinnovamento.
Cb: Cosa avete fatto finora e come pensate di raggiungere i vostri obiettivi?
A.G: Abbiamo condotto delle ricerche per capire cosa pensano i giovani del fallimento e perché lo temono. Stiamo realizzando un documentario su 6 giovani imprenditori che hanno vissuto un fallimento, prima di raggiungere il successo. Vogliamo che i ragazzi capiscano che è possibile ricominciare da zero. Pensiamo che un film sia facile da diffondere, condividere e trovare sul web. Nel lungo periodo cercheremo di proporre nuove normative alle istituzioni europee. Vogliamo modificare le leggi che riguardano la bancarotta delle piccole e medie imprese e delle multinazionali. In particolare, sarebbe utile modificare le norme che regolano il periodo di inabilitazione all'esercizio dopo una bancarotta (il tempo durante il quale non si può avviare una nuova attività dopo il fallimento, ndr.) e le misure che riguardano il rimborso dei creditori (quando si deve cominciare a ripagare e in che misura, ndr.).
Cb: Che differenza c'è fra Stati Uniti ed Europa in questo senso?
A.G: Negli Stati Uniti (Usa) non si ha paura di rischiare. Chi ha vissuto una bancarotta nel passato, ne parla durante un successivo colloquio di lavoro. Il fallimento è visto come un aspetto positivo del tuo curriculum vitae. Negli Usa, dopo una bancarotta si hanno comunque buone possibilità di trovare un posto di lavoro. In Europa invece, gli affari sono legati a valori che non rispecchiano il mero profitto. Rispetto al raggiungimento di obiettivi finanziari, si dà più importanza a ciò che interessa la famiglia o la comunità.
Cb: Nel nord Italia, tuo luogo di origine, c'è un forte spirito imprenditoriale. Si può dire lo stesso dell’intero Paese?
A.G: Il desiderio di fare impresa è parte della nostra cultura locale. In molti Paesi del sud Europa però, i media provocano uno sviluppo contrario. Nei quotidiani spagnoli, italiani o greci, le prime pagine sono dedicate alla politica: di conseguenza, tutti vogliono fare una carriera in questo settore. Questo è il motivo per cui i nostri corsi estivi non vengono tenuti da professori, ma esclusivamente da imprenditori. Nelle università tutto ciò non accade. Dobbiamo dare più visibilità, importanza e riconoscimento agli imprenditori che creano un'azienda, posti di lavoro, innovazione e che migliorano le nostre vite.
Cb: Secondo te l'atteggiamento dei giovani nei confonti dell'imprenditoria sta cambiando?
A.G: L'interesse nei confronti dell'imprenditoria è cresciuto. Negli ultimi 4 anni, la gente ha iniziato a vedere l'imprenditorialità come una possibilità, un modo per sfuggire alla disoccupazione. Quando è morto Steve Jobs, i media hanno parlato moltissimo della sua vita e la gente ha riconsiderato la figura dell’imprenditore. Molti giovani hanno cambiato attitudine dopo aver conosciuto la storia di Facebook. Il film sul social network ha avuto un forte impatto in questo senso.
Cb: Quali strategie di comunicazione avete scelto per il vostro lavoro?
A.G: Ci concentriamo su internet e sui social media. La cosa bella, o forse problematica, è che ogni 5 anni c’è un'innovazione tecnologica, a cui ci si deve adattare. I nostri addetti alla comunicazione hanno un compito davvero terribile.
Cb: Cosa pensate della strategia comunicativa dell' Unione europea?
A.G: Non mi permetto di dire che l'Unione europea dovrebbe prendere esempio da noi, ma bisogna ammettere che nella comunicazione sono molto deboli: non solo con i giovani, ma anche con gli anziani. Comunicare significa avere 2 canali: uno per l’ascolto e uno per la risposta. Finora l'Ue si è limitata a parlare senza ascoltare. Inoltre, i politici europei passano troppo tempo a Bruxelles, piuttosto nel resto d’Europa. Preferiscono restarsene tranquilli anziché correre il rischio di andare nei Paesi del sud ad ascoltare le lamentele della gente. Io ritengo che dovrebbero farlo, perché sono persone capaci e sarebbero perfettamente in grado di gestire la situazione.
– Questo articolo fa parte del Dossier-Imprenditoria di Cafébabel. Altri 4 articoli saranno tradotti in italiano da parte della nostra Community –
Translated from Fail2Succeed: changing european attitudes to entrepreneurship