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Expo2015: la fiera universale della precarietà

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Irene Nanni

società

L’Esposizione Universale di Milano, Expo Milano 2015, apre le porte venerdì 1° maggio. Ironia della sorte o accanimento terapeutico pianificato, la grande manifestazione fieristica milanese sarà suo malgrado più incline a celebrare il modello sociale della precarietà piuttosto che la festa dei diritti dei lavoratori.

Andrea Fumagalli, economista italiano, militante, membro del collettivo San Precario, autore di numerosi saggi -  tra cui Lavoro male commune (Bruno Mondadori Editore, Roma, 2013) - ci aiuta ad approfondire il quadro della polemica in corso e, soprattutto,  ci fa riflettere sulle trasformazioni in atto nel mercato del lavoro italiano, di cui l’Expo non sarebbe che la vetrina più visibile e, allo stesso tempo, un tragico banco di prova... tutto nostrano.                                                                                                                                                                                                   cafébabel: La bufera sollevata in questi giorni dall’articolo del Corriere della Sera sui giovani italiani che rifiuterebbero, 8 su 10, contratti a 1.300€ netti al mese ha nuovamente aperto la polemica sulla macchina impiegatizia dell’Expo e sulle pratiche di reclutamento di Manpower. Potrebbe aiutarci a fare luce sulla questione? 

Andrea Fumagalli: La stampa italiana ha tentato di riversare la colpa sui lavoratori “fannulloni”. Una pratica ignobile, che appesantisce una realtà già compromessa, quella del mercato del lavoro italiano, minacciato dalla precarietà. Manpower, gigante del lavoro interinale, trae un ingente profitto dalle pratiche di reclutamento dei lavoratori di Expo. Sappiamo, grazie alla testimonianza di numerose persone che hanno passato le selezioni (con esito positivo o negativo), che Manpower ha fatto prova di disorganizzazione e cattiva coscienza. La maggior parte delle persone che hanno rifiutato le offerte di lavoro sono state richiamate in extremis o si sono viste proporre una remunerazione talmente bassa da coprire appena le spese (trasporti, affitto etc). Ecco il perché di questi “rifiuti”, che sono a tutti gli effetti imputabili all’organizzazione e non ai lavoratori.

cafébabel: Quali sono le rivendicazioni delle associazioni e dei militanti che sono confluiti nella rete ribattezzata "Attitudine NoExpo", in prima linea nel denunciare il succedersi degli scandali legati alla sociétà Expo Spa, in particolare la pratica del ricorso massiccio al volontariato?                                                                                                       Andrea Fumagalli: Noi siamo impegnati da tempo [almeno dal 2004, anno di fondazione del collettivo San Precario] a denunciare la progressiva precarizzazione del mercato del lavoro italiano in atto, in realtà, dagli anni Ottanta. Oggi il modello sociale della precarietà è perfettamente incarnato da Expo ed è contro la generalizzazione di questo modello che operiamo. Ma facciamo un passo indietro e parliamo dell’intesa sindacale del luglio 2013 che ha reso possibile l’impiego di 18.500 volontari (la cui cifra è stata poi ridotta nel tempo) per soddisfare i bisogni impiegatizi della fiera stimati a una forza lavoro pari a 23.000 lavoratori. Tale intesa, firmata da CGIL, CISL e UIL, Expo Spa e il comune di Milano ha, per la prima volta in maniera esplicita, regolamentato e istituzionalizzato forme di lavoro cosiddetto “volontario”. Salutato dal governo Letta come un modello applicabile anche ad altre realtà, da sostenere e generalizzare, tale accordo legittima in realtà il ricorso massiccio al lavoro gratuito e si inserisce in un quadro ben preciso, quello che ha promosso e preparato il JobsAct di Renzi. Con la riforma del lavoro del governo Renzi, la legge 78 entrata in vigore nel maggio del 2014, la precarietà diventa norma, si istituzionalizza e quindi non è più atipica. Dal punto di vista giuridico, la precarietà viene così formalmente risolta. Con Expo 2015, una nuova frontiera si apre e la sostituisce: è quella del lavoro gratuito.

cafébabel: Tuttavia, le offerte di prestazione lavorativa volontaria, ovvero non pagata, hanno riscosso un certo successo tra gli aspiranti candidati. Le candidature sono arrivate in gran numero, anche se meno numerose del previsto... 

Andrea Fumagalli: In Italia sussiste una confusione tra lavoro volontario (free job) e lavoro gratuito (unpaid job). Nella normativa europea che regola le forme di free job si presume che non ci debba essere nessuna forma di coazione, di promessa o vantaggio. Cioè, chi esercita un lavoro volontario lo fa senza avere nessuna garanzia: non ci può essere cioè lavoro volontario che si presenti come lavoro di formazione con la promessa di un’assunzione futura, perché in questo caso la prestazione lavorativa perde il suo carattere volontario. È chiaro che il termine “volontario” per designare il lavoro gratuito cui la fiera fa ricorso su larga scala non è appropriato. Tale designazione nasconde una pratica ben precisa, una dinamica proprio basata su quei meccanismi del merito e del riconoscimento (meglio avere un lavoro sottopagato che non averlo) che in realtà fungono da motore e da alibi all’istituzionalizzazione della precarizzazione dell’impiego che è già in atto. Ed Expo 2015 incarna perfettamente il modello di un’“economia della promessa”, applicata oggi per la prima volta su larga scala, su cui fa leva l’equivoco del lavoro gratuito e sottopagato in Italia.

cafébabel: Alla luce di quest’abuso evidente del ricorso al lavoro “volontario”, ovvero “gratuito”, ci sono gli estremi per agire da un punto di vista legale, in sede europea, contro Expo?                                                                                                                                                        Andrea Fumagalli: Allora, le direttive europee in vigore stabiliscono che l’unica forma legittima di contratto lavorativo è quello a tempo indeter-minato e regolamentano e limitano il ricorso al lavoro determinato. Ora, poiché una fiera genera per definizione del lavoro temporaneo, si potrebbe solo denunciare il ricorso illegittimo al lavoro non pagato. Si stima infatti che la percentuale di lavoro volontario (free job) nel vero senso del termine, esercitato a Expo, sia molto bassa, intorno al 10%. Il resto è chiaramente lavoro non pagato (unpaid job) mascherato, che potrebbe a tutti gli effetti essere contestato. Ma la situazione è complessa. Cerchiamo di capire meglio. Expo si articola in 3 settori (Business Marketing, Marketing territoriale e locale e Marketing sociale). Nella sezione Business Marketing dovrebbero concentrarsi le forme remunerate di lavoro, i contratti a tempo determinato, i contratti di apprendistato e qualche convenzione di stage. Il profitto generato dall’impiego di volontari nell’area Marketing territoriale e locale è invece ingente e tale reclutamento, gestito da Manpower, risulta abusivo a tutti gli effetti e potrebbe giustificare il ricorso a un’azione legale. A quest’abuso si deve inoltre aggiungere il reclutamento di lavoratori volontari nell’area del Marketing sociale (area localizzata nella Cascina Triulza, da cui si effettuerà l’ingresso a Expo), che raggruppa le associazioni della società civile. Tale reclutamento, più complesso, è gestito dal Comune di Milano e dalla CSV (Centro Servizi Volontariato) ed è all’origine di un equivoco su cui è più difficile fare chiarezza.

cafébabel: Ancora venerdì scorso, 24 aprile, si è tenuta a Bologna una manifestazione NoExpo. Il 1°maggio milanese (e italiano) – giorno dell’inaugurazione dell’Expo – diventerà una grande Street Parade #NoExpo? 

Andrea Fumagalli: Ci aspettiamo una buona mobilitazione. Il percorso del corteo non è stato ancora definito e ammetto di avere qualche preoccupazione sul rischio di possibili derive o disordini. Noi di San Precario ci saremo e sfileremo il 1°maggio prossimo al fianco delle altre associazioni, centri sociali, sindacati di base (CUB et USB) probabilmente tra le fila dello spezzone «Scioperiamo Expo», la cui gestione è quest’anno affidata alla rete «Attitudine NoExpo». In tempi in cui la crisi della militanza è un fenomeno sempre più esteso, il 1° maggio prossimo sarà un appuntamento importante ma non sufficiente, perché bisognerebbe cercare di costruire una mobilitazione più solida e duratura.

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