Eurostat, misura di civiltà
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Francesca BarcaL’Ue pubblica le cifre ufficiali della disoccupazione in Europa il 30 maggio. Ma le statistiche e la realtà non sono la stessa cosa.
Crescita, disoccupazione, bilancio corrente dell’Ue: tutti compiti dell’ufficio europeo di statistica, Eurostat. L’istituzione, ancora poco conosciuta, è un attore importante dell’integrazione europea. Dietro l’apparente neutralità delle cifre economiche si nascondono discussioni politiche cruciali.
La matematica è magia
Eurostat è un successo europeo: fondato nel 1953 è subito diventato fondamentale, e tutte le cooperazioni europee si appoggiano ormai sulle sue diagnosi. Il suo ruolo? Fornire delle statistiche agli europei, come il Prodotto interno lordo (Pil), la crescita, la disoccupazione. Insomma, si tratta di testare il polso dell’economia e della società.
Ma come funziona? Principio di sussidiarietà obbligatorio: gli Stati membri raccolgono i dati ed Eurostat li centralizza. Solo che a volte il meccanismo si blocca perché non tutti i Paesi hanno lo stesso modo di contare. Per armonizzare il meccanismo, Eurostat ha imposto delle regole comuni. Che fanno discutere.
Ogni Paese ha la sua definizione. Per esempio in Inghilterra un disoccupato è qualcuno che beneficia dei sussidi di disoccupazione, in Francia è chi non lavora da un periodo preciso di tempo, mentre in Italia qualcuno che, nonostante abbia le capacità di esercitare una professione, non la trova. Tutto vago e tutto diverso: si può essere disoccupati a Londra, ma non a Parigi. Per evitare questi problemi Eurostat impone delle regole e il risultato è stupefacente: il tasso di disoccupazione si abbassa quasi dell’1% se si seguono le cifre dell’Insee in Francia o dell’Inem in Spagna (Istituti nazionali del lavoro nei due Paesi, ndr). La matematica è magica.
Incertezza & fastidio
Ma lo zelo di Eurostat, che spinge a una sempre maggiore precisione, obbliga a rivedere continuamente le cifre vecchie: in questo modo la crescita francese del 2003 è stata rivista dello 0,9%, ma solo tre anni dopo. E, visto che la Commissione giudica i Paesi sulla base di questi dati, si capisce immediatamente quanto non sia una questione secondaria.
Perché, dietro le dispute statistiche, si nasconde la politica. Scegliendo una sola definizione per tutti si accetta che esista una sola “regola” di società. Ed è difficile, proprio perché le realtà sociali sono molto diverse tra loro.
Volendo paragonare i Paesi, Eurostat cancella le loro differenze socioculturali. Come gestire una politica sociale a partire da queste cifre? La disputa sulla disoccupazione o sui consumi ne è un esempio: dalla realtà alla sua lettura statistica ci passa un mondo. Perché i salari aumentino all’aumentare dell’inflazione, bisogna che questa sia valutata correttamente. E non succede sempre.
L’indipendenza di Eurostat e degli istituti di statistica nazionali li rende sempre meno influenzabili e sempre più dipendenti da regole internazionali. Ma è meglio la trasparenza o l’indipendenza nazionale?
Translated from Eurostat, l’horloger européen