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Europa: revival del patriottismo

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La crisi degli ostaggi in Iraq ha esacerbato il patriottismo in Italia. A ben vedere, però, il fenomeno sta diventando europeo. Il problema è che...

“Adesso vi faccio vedere come muore un italiano”. Le ultime parole di Fabrizio Quattrocchi, l’ostaggio italiano ucciso in Iraq la settimana scorsa, fanno riflettere. Soprattutto per come sono state amplificate da media e politici. Per il Ministro degli Esteri, Franco Frattini, Quattrocchi “è morto da eroe”: un eroe “risorgimentale” per il Corriere della Sera, “un patriota” per Panorama. E’ chiaro come, dopo questo episodio, il sentimento nazionale degli italiani sia salito ai massimi storici.

11 marzo: bandiere spagnole alle finestre

Ma è proprio vero che nell’epoca del villaggio globale e dell’Europa allargata a 25 stati, l’Europa sta tornando a un sentimento come il patriottismo che, solo qualche anno fa, si credeva perduto?

Gli esempi non mancano. Basti pensare alla reazione spagnola ai terribili attentati dell’11 marzo: secondo Manuel Ansede, l’inviato speciale di café babel a Madrid, “nella capitale spagnola non c’era neanche un palazzo che non fosse decorato da una schiera uniforme di bandiere nazionali”. Altro che le bandiere “PACE” in Italia. Non basta: “le manifestazioni di piazza erano tutto un fiorire di slogan accorati: “E-spa-ña- E-spa-ña”. Insomma, riassume Ansede, “dopo l’11 marzo gli spagnoli si sono sentiti più spagnoli”. Ciò vuol dire che si sentono anche “meno europei”?

La Germania e i mangiaspaghetti

Per Ulrich, 29 anni, raggiunto da café babel a Berlino, il fatto è un altro: “in realtà una coscienza europea vera e propria non è mai esistita. Quel che è vero, semmai, è che questo revival del patriottismo finirà col nuocere alla costruzione europea”. In Germania gli esempi abbondano. L’ultimo è stato dato dalle dichiarazioni anti-italiane del celebre presentatore televisivo tedesco Karl Moik che, nel suo gettonatissimo show visto da 7 milioni di telespettatori, ha definito sabato scorso gli italiani col termine dispregiativo di “spaghettifressern”, “mangiaspaghetti”. Ma si tratta solo dell’ultimo episodio della saga di insulti incrociati tra Italia e Germania.

Una Germania nella quale, negli ultimi anni, c’è stato effettivamente un certo revival del patriottismo, nonostante, come spiega Ulrich, sia ancora “raro, a causa della nostra storia, sentire frasi come ‘sono fiero di esser tedesco’”. Eppure le acque si sono smosse. Sempre più esponenti conservatori, soprattutto tra i ranghi della CDU, si appellano alla “leitkultur”: una “cultura-guida” tedesca da difendere contro un’immigrazione percepita troppo spesso, nell’opinione pubblica, come “invasiva”. Come una minaccia.

Opinione pubblica europea, addio...

Il punto è tutto lì. Sono le minacce contemporanee (guerra, terrorismo, immigrazione) che mettono in crisi la nostra percezione dei fatti. Distorcendola irrimediabilmente. Il fatto è che questo revival del patriottismo nazionale ha luogo nel periodo storico nel quale gli Stati nazionali, da quando esistono, non hanno mai avuto così poco potere. Perché confrontati a minacce che non possono controllare da soli. Il ruolo politico dell’Italia in Iraq – con tutti i suoi tremila, valorosi uomini – non va al di là di un misero ruolo di comparsa in una coalizione a chiara supremazia a stelle e strisce. Così come nulla ha potuto l’ottima intelligence spagnola per prevedere l’enorme operazione di Atocha: il terrorismo islamico, infatti, è globale e si fa beffe dei confini nazionali. Stesso discorso vale per l’immigrazione: checché se ne dica, con lo spazio Schengen che ha annullato le frontiere tra stati Ue, ogni politica d’immigrazione nazionale diventa anacronistica.

La realtà è che, di fronte a queste sfide, l’Europa dovrebbe presentarsi unita. Altrimenti, non solo si ritroverà politicamente più debole. Ma anche più spaesata, confusa e, purtroppo, manipolata: l’Italia sarà sempre “al fronte” come lo era nelle guerre d’indipendenza dell’ottocento. Così facendo, le opinioni pubbliche europee continueranno a non comunicare tra loro. E la formazione di un’opinione pubblica europea sarà rimandata. Così facendo, l’Europa non si farà mai.