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Eurofestival: una galleria degli orrori

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Default profile picture Laura Bortoluzzi

Cultura

Cari lettori, care lettrici, credetemi, mi dispiace davvero, ma devo dirvi la verità. Voi che navigate regolarmente fra le pagine di cafebabel.com non vi rendete conto delle condizioni disumane che vengono imposte ai giornalisti. L’altro giorno, mi contatta la redazione centrale chiedendomi di scrivere un articolo sui partecipanti all’Eurovisione e i loro tratti grotteschi. Accetto entusiasta. Ingenuamente.

Benvenuti alla fiera del luogo comune

Perché chi si è dovuta sorbire decine di video su Youtube, a base di bulgari che suonavano il tamburo, cosacchi georgiani, cow-boy tedeschi e francesi stonati? Non ci pensa nessuno a questo! Me li sono subita io le lesbiche russe, i trans danesi e i serbi polifonici! Ma non è tutto. L’Eurofestival è anche un’ottima occasione per rinsaldare l’amicizia transatlantica, a colpi di Mariah Carey polacche, Jennifer Lopez portoghesi e Backstreet boys spagnoli. Come se un esemplare sul pianeta non fosse già abbastanza...

Attenzione, però: all’Eurofestival i cliché non si vedono solo sullo schermo. Mi sono costruita una piccola antologia dei presentatori francesi e sembrerebbero essere diventati degli specialisti dei commenti sgarbati e delle battute a sfondo xenofobo. Siccome non succede davvero nulla durante l’Eurofestival, bisogna pur conquistare gli spettatori in qualche modo. Per questo, non c’è niente di meglio di un vecchio luogo comune nazionalista o di qualche commento maschilista sulla tenuta di una cantante.  Perché l’Eurofestival è pessimo

Fortunatamente ho fatto qualche pausa qua e là. Questa storia dell’Eurovisione è stata anche un buon pretesto per andarmi a rivedere gli ABBA che cantavano Waterloo nel 1974, ma non ci sono molti altri esempi. Allora mi chiedo: perché è così scadente l’Eurofestival? Il dialogo interculturale deve per forza passare attraverso un livellamento verso il basso? È una questione filosofica: l’apertura alle altre nazionalità presuppone l’impiego di format semplicistici, la fine di ogni forma di ricerca artistica e la crisi dell’attività creativa? È da sempre stata l’argomentazione preferita dei difensori delle identità nazionali “pure”.  E ogni anno di più l’Eurofestival sembra confermare questa teoria.

L’Eurofestival, però, non ha niente a che vedere con l’attuale processo di unificazione del vecchio continente. Abbiamo talvolta la tendenza a dimenticare, ma il Concorso Eurovisione della canzone, è organizzato dalle reti televisive nazionali, riunite nell’Uer, l’Unione Europea di Radiotelevisione. In principio, nel 1956, il concorso era semplicemente, per queste televisioni, un modo per avere un programma in più. Non si tratta quindi di promuovere gli scambi culturali, ma di varietà, tout-court.

Il pubblico europeo è stupido?

Ecco perché, ogni anno, si ha l’impressione di venir scaraventati in una galleria degli orrori e di assistere allo spettacolo di quanto di più infame si produca in Europa. Perché l’Eurofestival non ci dice nulla sulla produzione musicale del nostro continente. Questa trasmissione è piuttosto il riflesso dell’opinione che le reti televisive hanno della popolazione europea.

Quando una rete nazionale seleziona il proprio rappresentante, lo fa chiedendosi quale sarà il meglio accolto da un pubblico internazionale. E, ritenendo gli spettatori degli altri Paesi ancora più stupidi di quelli di casa propria, ci ritroviamo con questo cattivo mix di pop music e folklore.

Non c’è una crisi di creatività in Europa. È solo la televisione europea che ha cinquanta anni di ritardo rispetto al suo pubblico.

Translated from Eurovision : une galerie des horreurs