Endkadenz vol. 2: il ritorno dei Verdena
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Il concerto dei Verdena, band iconica dell’indie rock italiano, ha aperto la stagione musicale 2016 del Teatro Biondo di Palermo. Cafébabel c'era e vi racconta il loro adrenalinico live, anche attraverso le parole che abbiamo scambiato con Luca Ferrari, batterista del gruppo.
È il 16 movembre, e già alle otto e mezza una discreta quantità di gente attende di fronte al Teatro Biondo, per il primo spettacolo di questa stagione musicale: i Verdena in concerto. L’aria della sera è ancora calda a Palermo, abbastanza perché la piccola folla sia punteggiata da giacche leggere e jeans strappati, tributo alla migliore tradizione grunge fine anni ’90. L’età media dei presenti è tra i 17 e i 20 anni. Ragazzi giovani, fan che hanno probabilmente conosciuto la band grazie a Wow (2011). Ma non mancano visi più maturi, quelli dei trentenni di oggi per i qua i vecchi pezzi dei Verdena hanno fatto da colonna sonora all’adolescenza. Davanti alle porte, tutti aspettano sorseggiando cocktail o fumando sigarette, parlando delle aspettative sul concerto e incrociando le dita speranzosi di ascoltare il pezzo preferito.
«Il teatro è davvero uno scenario meraviglioso,» ci racconta Luca Ferrari, batterista del gruppo, «abbiamo trovato il pubblico sempre più coinvolto e presente. All’inizio della nostra carriera abbiamo suonato molte volte in città, ed è sempre molto bello tornarci».
Certamente il pubblico presente non frena il proprio entusiasmo: quando finalmente i Verdena compaiono sul palco, attorno alle 22, nel teatro si leva un’ovazione. È l’inizio di un concerto che non concede un attimo per riprendere fiato, dove i pezzi si susseguono l’uno con l’altro senza pause, in una mescolanza di suoni che da un lato uniscono nuove sperimentazioni con beat e distorsioni elettroniche all’anima grunge, mentre dall’altro propongono la pulizia melodica delle note di un pianoforte, che nei pezzi come Dymo arriva quasi a ricordare il primo rock anni '60.
La creazione è figlia del caso
L’accento è ovviamente sui brani dell’ultimo lavoro del gruppo, Endkadenz vol.1 e Endkadenz vol.2(2015), apparentemente "figlio del caso", manifestatosi nella forma di un registratore rotto.
«Sì,» conferma Luca «abbiamo iniziato dalla sala prove e, causa registratore guasto, non ci siamo più mossi. È stato meraviglioso! Era tanto che non componevamo tutto lì. Nell’attesa del nuovo registratore abbiamo anche introdotto un pianoforte a muro, che ci ha letteralmente aperto un mondo: abbiamo creato centinaia di canzoni. Da lì, poi la necessità di un doppio album. Abbiamo cercato di dividere i brani in maniera imparziale, cercando di equilibrarli: quattro brani con piano a muro nel primo volume, e quattro nel secondo, quattro con chitarra elettrica nel primo e quattro nel secondo, e così via...».
Lo stile rimane però quello dei Verdena fino in fondo: la voce distorta che intona gli inconfondibili testi surreali, la batteria che esplode su ogni singola battuta, e il groove ipnotizzante dei suoni ricorrenti del basso.
"Il piano a muro ha stravolto tutto"
Eppure è un concerto dal sound diverso, i cui brani sembrano riproporre melodie amate e familiari allo stesso tempo deviando da queste in modi sorprendenti ed inaspettati.
«Endkadenz è un album che ci ha entusiasmati molto sin dalla sua composizione. All’inizio i brani sembravano anche più semplici da suonare, quasi come fossero pezzi rock da pub, e questo è stato davvero molto stimolante. In Wow il piano era digitale ed erano presenti molte più distorsioni sonore: qui il piano a muro ha stravolto tutto, creando nuove atmosfere che in sala registrazione hanno dato vita a qualcosa di straordinario».
Non per niente, in questo nuovo tour il gruppo ha acquisito un nuovo elemento. «Ci siamo accorti sin da subito che avevamo bisogno di una quarta figura, di cui spesso ci serviamo durante le nostre performance. Anche perché nei nostri pezzi ci sono molte distorsioni che durante il live sono possibili solo con questo nuovo componente. Si chiama Giuseppe Chiara, di Bergamo anche lui, lo abbiamo trovato mettendo un annuncio anonimo online a cui hanno risposto tanti bravi musicisti. Ne abbiamo provati una dozzina circa e alla fine abbiamo scelto lui: non ha particolari esperienze alle spalle, ma è davvero molto bravo».
This is the end
Si potrebbero spendere giorni a rintracciare le possibili influenze musicali di ogni singolo pezzo. Eppure il risultato è profondamente innovativo.
«Diciamo che da Requiem in poi abbiamo cercato di non farci influenzare più da nessuno, andando avanti per la nostra strada, con la nostra originalità. Certo è chiaro che poi io personalmente sono cresciuto con i Led Zeppelin e i Nirvana,» continua a raccontarci Luca, «e nella mia musica rimangono un po'. L’album poi ha qualcosa dei primissimi U2 o dei Beatles».
Alla fine del concerto siamo tutti esausti. Sono passate due ore e mezzo, e persino il bis è durato ben quattro pezzi. La testa sembra leggerissima, le orecchie rieccheggiano ancora delle note delle canzoni. Un'esperienza intensa ed estenuante, e non siamo i soli a sentirci così: «Sono letteralmente stremato,» ci confida Luca, «per un batterista c’è un importante impegno fisico in un concerto, e subito dopo ho a malapena la forza di mangiare qualcosa».
E se la stanchezza reclama il suo dazio, possiamo solo ringraziare Luca Ferrari e gli altri componenti della band per quella che rimarrà una serata memorabile.
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