Elezioni in Bosnia-Erezegovina: ha vinto l’appartenenza etnica
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I risultati ufficiali delle elezioni, a cui ha partecipato il 54,48% della popolazione, si avranno solo il 4 novembre, ma la Presidenza tripartita sarà a Nebojsa Radmanovic rappresentante serbo, Haris Silajdzic rappresentante bosniaco e a Zeljko Komsic per i croati. Una passeggiata per Sarajevo, dove sembra abbia vinto l’etnocrazia.
Bisogna aspettare che a Sarajevo si faccia tardo pomeriggio per notare, percorrendo la Marsala Tita, gli uffici dell’Onu. E pure quando i raggi del sole partono da occidente e s’infrangono sul palazzo di vetro, la luce fa rimbalzare lo sguardo sulla Centralna Banka Bosnei Hercegovine, ospitata in una struttura d’architettura fascista, o sulla vicina Fima Bank.
Un voto di appartenenza
La stampa nazionale ha annunciato da pochi giorni la riduzione delle truppe dell’European Union Police Mission (Eupm) da settemiladuecento dello scorso anno a millecentoquaranta, ed è forse per questa ragione che camminando per la capitale è raro incontrare un uomo in divisa. Le unità restanti, poi, si trasformeranno in Polizia Europea per controllare – insieme agli agenti locali – le nuove forme che sta assumendo la criminalità, qui dove non ci sono né soldi né investimenti, e gli edifici bancari superano per numero le moschee. Le filiali delle italiane Unicredit e Intesa San Paolo, in primis. Si inizia a leggere d’indagini ed arresti, per tangenti soprattutto. L’ultimo accusato di corruzione è un noto generale.
Sulla via dedicata a Tito però, nell’ultimo mese, i volti dei politici imperano. Sui cartelloni propagandistici i candidati ricordano le pose di attori da serial tv, fotografati a tre quarti su sfondo colorato e slogan in basso. Ottanta i partiti che si sono presentati alle elezioni comunali dello scorso cinque ottobre, in rappresentanza anche di piccole minoranze etniche, contro un misero cinquantacinque per cento di votanti, in maggioranza provenienti da “fuori Sarajevo”. Lo si capiva dai commenti in televisione e le camminate veloci di chi passava accanto ai manifesti senza prestare attenzione. «È stata una campagna elettorale concentrata troppo sui temi di rilevanza nazionale e poco su quelli che riguardano l’amministrazione dei comuni. Chi ha votato lo ha fatto soprattutto per appartenenza», racconta Jasmina, una giovane studentessa di Lettere, mentre corre all’università per una lezione. «Non ho votato», conclude.
Ci siamo convertiti dopo la guerra...
I dati elettorali definitivi saranno resi ufficiali solo il quattro novembre, come da obbligo di legge, assegnano trentadue sindaci all’Snds (Unione dei Socialdemocratici Indipendenti) e ventotto all’Sda (Partito dell’Azione Democratica), male invece per l’Sdp, il partito socialista. Sulla Ferhadija, una ricca via del centro, nelle ore di punta, si affollano ragazzi che escono dai licei e uomini in carriera. Qui per ricordarti – da turista – che c’è stata una guerra devi inciampare in una delle buche lasciate dalle granate, abbassare lo sguardo, chiedere perché sono state coperte con della calce rossa e aspettare che qualcuno t’illustri tutti gli espedienti a cui i bosniaci sono ricorsi per preservare la memoria. Il tutto mentre cammini a passo lento, interrotto dalla gente che sosta davanti alle vetrine, fuori dai negozi di griffe internazionali. Al tavolino di uno dei tanti bar chic, Sjnan, linguista di origine slava, legge la pagina politica di un quotidiano: «Hanno vinto i musulmani dello Sda e i socialdemocratici dell’Snds. Non è una sorpresa. Cosa ho votato io? Socialista», dice mentre sorseggia un caffè turco. «Si chiama Kahvc. Il gruppo “hv” si legge “ff”. Persino al Cairo ho sentito usare “kahvc” per dire ”Ragazzo, vieni qua”». Pensa, la parola “caffè” che è una delle più utilizzate in Italia (come anche tazza, d’altronde) è di origine orientale», spiega accompagnando la bevanda con zollette di zucchero grezzo.
Il caffè e la preferenza espressa nelle urne per i musulmani anticipano di qualche metro il quartiere turco, alla fine della Ferhadija. Le ragazze acquistano gli abiti sul corso e poi l’oro e le pashmine dalle bancarelle del mercatino sorto intorno alla Moschea di Gazi Husrev Beg. Nel luogo di culto lasciano entrare tutti, anche le donne senza velo, ma è obbligatorio togliere le scarpe. Le donne che percorrono i vicoli del quartiere portano in poche le pashmine colorate pur essendo quasi tutte musulmane. «Ci siamo convertiti dopo la guerra perché i mujahedin sono stati i primi, se non gli unici, ad aiutarci contro i serbi. Ma la nostra non è una fede fondamentalista o terrorista. Anzi, in Bosnia c’è molta tolleranza», dichiara Haris confidando il suo voto per l’Sda.
«Hai notato le stelline dell’Unione Europea sui manifesti?», chiede Marko – italobosniaco – «Qui tutti i partiti sono nazionalisti e al contempo tutti europeisti», lo spunto gli è stato offerto da un euro trovato a terra. Nazionalisti in modo diverso (tra bosniaci, serbi e croati) ed europeisti alla stessa maniera.
Il 90% dell’opinione pubblica vuole entrare in Europa
Ma è l’Ambasciatore italiano in Bosnia Herzegovina, Alessandro Fallavolita, a parlare dei rapporti del Paese slavo con l’Ue: «La Bosnia vuole entrare nella Comunità europea. Sta lavorando per questo, è il novanta per cento dell’opinione pubblica a chiederlo. Solo che la situazione politica qui è molto complessa, nonostante sia uno stato venuto fuori dagli accordi di Dayton. Centottanta ministri e tre parlamenti, benché sia una repubblica federale, sono troppi da gestire, c’è bisogno di snellire la burocrazia. Poi va completamente cambiata la classe dirigente: per superare alcune ostilità è meglio che al governo vadano persone giovani e non chi in passato è stato nemico. Va annullata l’etnocrazia: i bosniaci che tutelano la propria indipendenza, i serbi che vogliono l’unione e i croati che cercano più rappresentanza»Dà queste informazioni al termine di un reading di poesia del tutto indifferente alla confusione festaiola che ha intorno. «Il nazionalismo è un problema. Un primo accordo di Socializzazione e Stabilizzazione è stato firmato il 17 giugno scorso, bisogna continuare a lavorare per entrare nell’Ue: i Balcani sono il cuore dell’Europa e l’Europa non può che avere a cuore i Balcani».
È il lunedì che segue il giorno delle elezioni, il 6 ottobre. Da poche ore dalla Cnn si è saputo delle “difficoltà finanziare” dell’Unicredit: davanti a una filiale della banca italiana, nel centro di Sarajevo, le bandiere del partito socialista sono state intrecciate a quelle dell’istituto di credito. A stento si distinguono le une dalle altre (usano lo stesso rosso su fondo bianco e sigle in nero): intuizione di un balordo o, forse, spirito critico del vento.