Egregio Presidente Prodi...
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Le elezioni europee lo dimostrano: l’Europa sta male. Lettera aperta a Romano Prodi.
Egregio Presidente Prodi,
Le confido che non so perché scrivo proprio a Lei. In questi giorni di elezioni, cercavo qualcuno che potesse incarnare l’Unione Europea, quel famoso “numero di telefono” dell’Ue che Henry Kissinger reclamava in nome di un’idea semplicissima: l’accountability, la responsabilità democratica. Certo, avrei potuto scrivere a Bertie Ahern, il premier irlandese: in fondo è lui il Presidente di turno dell’UE. Ma, dopo sei mesi di attività, tra una ventina di giorni se ne andrà senza aver potuto fare molto per l’Europa. O a Valéry Giscard d’Estaing, che ha presieduto la Convenzione che aveva il compito di redigere una “Costituzione per l’Europa’. Ma anche l’ex Presidente francese ha terminato il suo mandato, tra l’altro senza che la Costituzione fosse approvata. Ho quindi scelto Lei. Perché, in fondo, ha sempre cercato di ritagliarsi un ruolo – anche mediatico – di vero e proprio “Presidente” europeo. Spero solo che, nonostante il suo ruolo di leader del centro-sinistra in Italia, possa trovare qualche minuto per rispondere.
Il paradosso dell’Europa che sta male
Ebbene, egregio Presidente, l’Europa sta male. Tra il 10 e il 13 giugno 340 milioni di europei sono stati chiamati alle urne per la più grande elezione transnazionale del pianeta. Ma, ahimé, l’affluenza alle urne ha a stento superato il 40%. Confermando un trend in corso da anni. Come spiegarlo?
Non le sembra un paradosso che più l’Europarlamento acquisisce poteri, più l’astensione sia destinata ad aumentare? Eppure dovrebbe essere il contrario: con degli Stati nazionali in crisi e un’Europa sempre più decisiva per le nostre vite, l’interesse dell’opinione pubblica dovrebbe salire. Invece cala. Precipitosamente.
Non le sembra un paradosso che più le sfide per l’Ue aumentano, più si diffonda un sentimento di disaffezione e di apatia? Non credo mi contraddirà: il riscaldamento del pianeta, la crisi economica che attanaglia la zona euro, la riforma dello Stato sociale, i problemi del commercio mondiale, l’adesione della Turchia, l’invecchiamento demografico, la crisi della ricerca sono tutti problemi che non possono non essere risolti a livello europeo.
Non le sembra un paradosso che, nonostante la creazione della moneta unica, la realizzazione del più grande allargamento della storia dell’Ue e la stesura di un Trattato Costituzionale, nonostante tutti questi successi – gli europei non riescano proprio a sentirsi coinvolti in una costruzione europea che va avanti da più di cinquant’anni?
Maggioranza e opposizione
La responsabilità di questa stasi è anche Sua, Egregio Presidente. E di tutta la classe dirigente europea che, nel bene e nel male, Lei rappresenta. In fondo, le cose da fare erano due:
1)Presentare all’opinione pubblica un bilancio della Commissione da Lei diretta durante i cinque, più intensi anni della costruzione europea. Difendendolo ed esponendolo al fuoco delle critiche. Un bilancio, tra l’altro, di cui può anche esser fiero ma di cui, a parte café babel e il Financial Times pochissimi hanno parlato.
2)Mettere a punto dei veri e propri programmi di governo per l’Europa dei prossimi cinque anni. Non 2500 programmi per le centinaia di partiti e partitini dei 25 paesi europei ma, nella migliore tradizione anglosassone, dei programmi realizzabili da coalizioni di uomini e donne, di accenti e background diversi, ma con una sola determinazione: gestire il futuro del sistema Europa. La triste realtà è invece quella di vuoti e inutili dibattiti iper-nazionalizzati.
Tutto ciò sarebbe dovuto essere sottoposto a un dibattito. Un dibattito aperto e multilinguistico. Al di là delle frontiere nazionali che ancora ci dividono. Un sogno? Forse, ma per realizzarlo nulla è stato fatto dai nostri dirigenti europei. E’ quanto ha cercato di fare, a livello mediatico, la rivista europea café babel con tre numeri-chiave per aprire il dibattito sulle elezioni europee: “Per chi votare”, “Il bilancio del “governo” Prodi” e “Turchia: ritorno alla realtà”.
Ma la Sua Europa e quella dei Giscard d’Estaing, dei Bertie Ahern, dei Berlusconi, dei Zapatero e dei Kwasniewski, è troppo “nazionale”, troppo scaltra e troppo allergica a questo tipo di “difficilissime” prassi democratiche. No, Egregio Presidente, non so proprio perché ho scritto a Lei.