Egitto, Se l'islam non basta
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Il presidente dell'Egitto, Mohamed Morsi, è stato destituito dai militari. Il successore, il giudice costituzionale Adly Mansour, ha già giurato. Il popolo è di nuovo in piazza. Questi i fatti nella notte tra mercoledì sera e giovedì mattina. Perché questo colpo di stato proprio ora? Ecco lo scenario.
La situazione economica in Egitto è al momento ancora tragica. L'alta disoccupazione, soprattutto tra i giovani e i laureati, e i bassi salari uniti al peso della corruzione, sono stati i fattori scatenanti la rivolta contro il regime di Husni Mubarak nel 2011. È in questo contesto che, nel mese di giugno dello scorso anno, i Fratelli Musulmani hanno vinto le elezioni, con il loro leader Mohamed Morsi.
Durante questo anno di governo, hanno insistito sulle riforme morali e giuridiche del paese, sulla nuova costituzione e sul ruolo dei principi della sharia. Ma gli islamisti hanno fatto troppo poco per l'economia e sono sembrati deboli per quel che riguarda lo sviluppo di politiche economiche chiare e incisive. La loro priorità politica è stata ed è ancora la moralizzazione della sfera pubblica e solo in parte la diminuzione del ruolo dello stato nella vita dei singoli. Questo in un paese come l'Egitto, dove lo stato stesso è molto sviluppato e gestisce ancora, soprattutto tramite l'esercito, vasti settori dell'economia.
visti dagli altri
I tentativi fatti da Morsi di recuperare investitori e credibilità economica all'estero hanno dato esiti inferiori alle attese. Le trattative con l'FMI sono ancora aperte e le visite dell'ormai ex presidente in Europa, in Germania a gennaio in particolare, hanno dato scarsi frutti. Anche gli sceicchi del Golfo sembra non siano interessati a investire nel nuovo Egitto.
Morsi era un buon candidato, ma un anno fa. Quando s'era dimostrato capace di saldare le anime urbane della rivoluzione del 2011 con la popolazione agricola dell'Egitto, molto più tradizionale. La società egiziana è infatti divisa in modo profondo. Ci sono ampi strati della popolazione saldamente ancorati alla tradizione, soprattutto fuori dai grandi centri urbani e nei quartieri poveri delle grandi città. Le altre forze sociali si dividono tra nazionalisti arabi (un mix di socialismo e nazionalismo con un pizzico di religione) e forze liberali con ideologie più occidentalizzate. Le forze nazionaliste arabe sono quelle che negli ultimi quaranta anni, dalla prese del potere dei giovani ufficiali di Nasser fino al faraone Mubarak, hanno guidato il paese. Le forze liberali di stampo occidentale sono radicate pressoché solo nei grandi centri urbani, insieme ai movimenti sindacali e quelli di stampo comunista. I movimenti sindacali hanno avuto un peso decisivo nella rivoluzione del 2011. Secondo diversi corrispondenti occidentali, sono stati molto più determinanti dei social media.
di nuovo a piazza tahrir
Queste sono le forze che si fronteggiano sul campo. La vecchia guardia di militari nazionalisti arabi ha deciso di riprendere l'iniziativa politica di fronte alla rottura definitiva tra forze liberali e islamiche, che in un equilibrio troppo precario guidavano la fase di transizione dopo la rivoluzione. Probabilmente vogliono difendere i propri interessi economici e le loro posizioni di potere relativo, anche se le aperture dell'economia volute dagli organismi internazionali non sono necessariamente la panacea dei mali dell'Egitto, dato che le privatizzazioni sono state condotte in modo molto opaco e a vantaggio di una ristrettissima élite, con un grande shock per la forza lavoro e la distribuzione del reddito. Per alcuni osservatori proprio queste privatizzazioni avrebbero messo in moto i meccanismi che hanno esasperato le differenze e portato la gente a piazza Tahrir.
Ora il popolo è sceso di nuovo in piazza e i militari hanno approfittato dell'occasione per sancire la fine dell'esperimento islamico moderato in Egitto. Quale futuro si delinei per la rivoluzione è ancora incerto. Questo dipenderà dalle alleanze e dagli scontri tra forze politiche ed economiche. Il mondo, intanto, resta a guardare.