Edimburgo: la creatività come ragione di vita
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Maria Elena VaiasusoConosciuta nel mondo per il Fringe, il festival del teatro che ogni estate porta in città migliaia di spettacoli, ad Edimburgo la creatività va oltre il palcoscenico. L’arte giunge sino agli ospedali, aiuta i bambini a combattere le malattie e trasforma la vita di quei giovani che, per motivi diversi, non hanno ancora trovato la propria strada.
In molti abbiamo sentito parlare di Edimburgo e del suo famoso Fringe Festival, che ogni anno attrae centinaia di compagnie teatrali provenienti da ogni parte del mondo. Ma tutto si ferma al festival? Sono andato nella capitale scozzese con l’intenzione di vedere fino a che punto l’arte e la creatività facciano parte della vita dei suoi abitanti e per capire cosa succede durante i restanti mesi, se il Fringe è la dimostrazione di ciò che avviene nella capitale durante tutto l’anno o se, al contrario, è solo un fuoco di paglia. Ciò che non mi aspettavo è ciò che alla fine ho scoperto. In Scozia, la creatività è molto più che cultura: è uno stile di vita o, meglio, la ragione di vita di tante persone.
L'arte in ospedale
Incontro la terapeuta Sheena McGregor al padiglione Caledonia dell’ospedale pediatrico Yorkhill di Glasgow, a due ore in treno da Edimburgo. Da 15 anni Sheena si dedica all’arteterapia, una disciplina nata in Gran Bretagna dopo la Seconda Guerra Mondiale. Da ciò che racconta la terapia iniziò ad essere praticata nelle carceri e negli ospedali su pazienti affetti da turbercolosi o con problemi psicologici.
Sheena, che lavora anche per l’associazione Creative Therapies, passa quattro giorni a settimana con bambini che presentano problemi psicologici, malattie cardiache, disturbi alimentari, stress emotivo. “Spesso i bambini dicono che stanno bene, in realtà non è così. Semplicemente non trovano le parole giuste per esprimere ciò che sentono”. In general non possono condurre la stessa vita dei compagni di classe, cosa che li fa sentire diversi e, in un certo senso, deboli. Una volta attraversate le porte del padiglione Caledonia, però, le cose cambiano ed è con Sheena che trovano il loro punto di forza: la creatività. “Non possono fare sport, né tante altre cose che fanno i loro coetanei, ma possono essere creativi e fare cose meravigliose”, commenta la terapeuta, mostrandomi i lavori realizzati qualche anno fa da alcuni suoi pazienti. “Tutto ciò è qualcosa di molto più personale, non tangibile. Non ci si basa su domande dirette, ma sull’osservazione del bambino, come respira, come entra in stanza. Ci si basa, essenzialmente, sulla relazione che si instaura tra di noi”.
Anche se l'arteterapia vanta una lunga tradizione nel Regno Unito, la dottoressa ammette che molti genitori sono scettici nei confronti del trattamento, un atteggiamento che cambia col passare del tempo. “Le infermiere hanno detto che mio figlio stava attraversando un periodo di “paura esistenziale. Andare lì a divertirsi, facendo piccoli lavori di manualità con altri bambini come lui, sembra lo stia aiutando molto, sta affiorado ciò che ha dentro”, ha affermato la madre di un bambino di 10 anni, paziente di Sheena. “Quando lo vado a prendere a scuola, lo trovo sempre stanco e di cattivo umore, ma quando torna dall’ospedale è diverso, è molto più comunicativo, spegne la radio e chiacchiera con me”. Inoltre, sono proprio i dottori a consigliare l’arteterapia durante le cure mediche perché “vedono la differenza, vedono che i bambini acquisiscono fiducia in se stessi, sono meno tristi, hanno più energia, tornano ad essere dei bambini normali”, aggiunge la terapeuta. “Il problema della medicina è che oggettivizza i bambini; con l’arteterapia, invece, smettono di sentirsi un 'problema cardiaco' e tornano a sentirsi degli esseri umani, esseri creativi”.
Intraprendere un cammino
Oltre alla terapia in senso clinico, ad Edimburgo esistono delle iniziative che combinano l’arte e la cretività con il sociale e la psicologia. Al Printworks, nella zona est della città, l’associazione Impact Arts promuove già da due decenni l’inserimento sociale e lavorativo degli adolescenti, grazie al progetto Creative Pathways. È mezzoggiorno e la sede dell’associazione si presenta come uno spazio diafano e abbastanza disordinato; ci sono tracce di creazione ad ogni angolo: schizzi, modelli, assi di legno, stoffe e matite colorate. Qui, ogni quattro mesi, 30 ragazzi tra i 16 e i 19 anni seguono dei programmi di formazione relazionati con le arti sceniche: recitazione e drammaturgia, disegno di costumi e di scenografia.
Sarah Wallace, direttora di opportunità, mi racconta come funziona l’associazione. “Creative Pathways nasce per mantenere viva la cultura e per dare ai giovani la possibiltà di formarsi professionalmente”. L’unico requisito per accedere al programma è quello dell’età, anche se “la maggior parte dei ragazzi ci viene affidata dai difensori dei minori o dagli assistenti sociali, perchè non sono stati ammessi a scuola o non hanno portato a termine gli studi”. Per questo, Creative Pathways non si limita ad impartire le conoscenze tecniche della produzione teatrale: dà ai ragazzi i mezzi necessari per andare avanti, trovare un lavoro e, in alcuni casi, rifarsi una vita. “Cerchiamo di trasformare la vita delle persone grazie all’arte. A livello personale, i ragazzi ritrovano la fiducia e l’autostima; l’arte li aiuta ad esprimersi ed a crescere”, aggiunge Simaica Carrasco, insegnante del corso di drammaturgia ed espressione corporea.
Matti è uno dei suoi studenti. Ha un’aria timida e, a prima vista, sembra isolarsi dal gruppo, però, man mano che gli si lascia spazio, inizia a sentirsi a suo agio e si trasforma in un chiacchierone. “Siamo intelligenti in maniera diversa e abbiamo un’altra visione del mondo. Non ci è andata bene con il sistema educativo tradizionale perchè siamo persone con altri strumenti razionali, siamo più creativi”, riassume in forma estremamente chiara, assicurandomi che il corso lo sta aiutando a “fare cose che prima credeva impossibili come, per esempio, parlare in pubblico”.
Alcuni di questi ragazzi, prima Neets scozzesi, si fermano a lavorare per l’associazione. È ciò che è successo a Rihanna: adesso, dopo aver seguito un corso in costruzione di scenografie, è assistente del professore. La ragazza aveva lasciato la scuola a 15 anni e per più di tre anni non ha trovato impiego. “Questo lavoro mi ha davvero aiutata a migliarare le capacità relazionali. Se mi avessero fatto tutte queste domande un anno fa, probabilmente mi sarei sentita in imbarazzo, ma adesso sono molto più sicura di me stessa e riesco ad aiutare questi ragazzi ad impegnarsi nello studio e ad incoraggiarli a fare sempre meglio”, mi racconta mentre serra un’asse di legno. Il palchetto commissionato da una compagnia teatrale locale deve essere pronto nei prossimi due giorni, il tempo stringe e c’è ancora molto lavoro da fare. Per fortuna, questi ragazzi sono pieni d’energia ed entusiasmo.
QUESTO REPORTAGE FA PARTE DI UN’EDIZIONE SPECIALE DEL PROGETTO “EU IN MOTION” DEDICATA AD EDIMBURGO. IL PROGETTO È FINANZIATO DAL PARLAMENTO EUROPEO E DALLA FONDAZIONE HIPPOCRÈNE.
Translated from Edimburgo: creatividad para salir adelante