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E se tornasse il piccolo principe?

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Se tentare di rendere il globo un luogo migliore è un obiettivo concreto, la sfida delletica nelle relazioni internazionali diverrebbe, paradossalmente, realismo politico e dare un volto umano alla globalizzazione una questione di volontà politica.

Se oggi il piccolo principe del romanzo di Antoine de Saint-Exupéry compiesse nuovamente il suo meraviglioso viaggio in cerca di un amico credo che fuggirebbe dalla terra ancor prima di sentire in sé la nostalgia per la sua amata rosa. Proverebbe orrore dinanzi ai drammi di Srebenica, Ruanda, Somalia, e Afghanistan. Piangerebbe sulle macerie delle Twin Towers, riflettendo sulle sorti di quelli che guadagnano un dollaro al giorno pur faticando sedici ore e che trascorrono unesistenza senza futuro in cui non proveranno mai le sensazioni più forti che la vita sa offrire, non potranno sognare, amare, conoscere, giocare e non avranno nemmeno pochi attimi per ridere felici o per guardare il sole che sorge. Il loro destino viene soffocato nella culla solamente perché il primo respiro è tra le braccia di una madre che ha la sola colpa di essere nata nella parte meno fortunata del globo. Il piccolo principe fuggirebbe impaurito, sapendo che un milione di persone muoiono ogni settimana, che in tanti non hanno il diritto di esprimere unopinione, di avere un dubbio, di pregare un Dio perché cè chi vuole essere sovrano anche nellintimità di una coscienza, e di tutto questo egli non potrà parlarne con tutti se la malasorte lo pone al cospetto di uno dei due milioni di analfabeti che passeggiano ignari sulla terra senza poterla comunicare. Dopo aver sorseggiato tutto questo per pochi secondi egli, sconsolato, chiuderebbe gli occhi per tornarsene a casa.

Forse sono un sognatore, ma come John Lennon, fischiettando "Imagine", spero di non essere solo. Credo che qualcosa si possa cambiare e - anche se, come lo sceriffo in una canzone di De Gregori, i miei proiettili sono a salve - vorrei gettare qualche sassolino nello stagno delle idee, e seminare qualche tarlo nella mente di ognuno di noi proponendo un approccio metodologico fondato sulla convinzione che i principi etici non possono essere dei semplici ideali, ed anzi sono questi a determinare lazione.

E necessario introdurre letica nel sistema delle relazioni internazionali, sia a livello globale sia a livello locale; e nelle parole che seguiranno tenterò di dimostrare come questo sia possibile e come in qualche modo possa essere realismo e quindi anche interesse politico.

I fautori del relativismo culturale non comprendono che questo non è in opposizione ad un universalismo dei valori. Per questo motivo si deve pensare ai valori universali come ad una sovrastruttura che rende possibile la convivenza tra diversi modelli culturali. Altrimenti il relativismo diventa una semplice presunzione del vero, una giustificazione per gli orrori; e questo significa la volontà di porsi su di un piano superiore rispetto allaltro, divenendo a sua volta pretesto universale. La parole chiave che sfugge ai relativisti è "reciprocità". Lidea che non esista unopinione superiore, un Dio migliore o un atmosfera valoriale più salutare da respirare non sono proprietà di una cultura ma il cielo sopra ad ogni "cultural pattern", ad ogni "regola culturale" che permette unaccettazione reciproca, e questi sono - riflettendoci - tutti principi universali che possono, solo essi, legare insieme diverse visioni di mondo, dando cosi' ossigeno ad un sistema inter-culturale. Un universalismo di alcuni principi elementari e minimi diverrebbe in questa ottica anche realismo in quanto funge da collante per le infinite sfumature culturali che colorano il nostro pianeta.

Scendendo le scale che dalla sovrastruttura portano nella struttura sub-sistemica di ogni particolare cultura, è necessario parlare di relativismo intraculturale. Il diritto di esprimere unopinione, di peccare, di pregare - alla vita - di parlare la propria lingua e il dubbio sono valori universali che dovrebbero essere patrimonio di ogni essere umano perché ognuno deve poter essere sovrano del proprio vascello e nessuna cultura, classe, etnia o religione elevata a feticcio simbolico può rubare ad un uomo questo privilegio. La reciprocità anche in questo caso è la chiave di lettura. Una convivenza tra etnie e religioni differenti ed una difesa delle minoranze è possibile solamente con lintroduzione di questo relativismo interno. Scongiurare una pulizia etnica è realismo politico in quanto è da intendere come metodo di prevenzione dei conflitti; cosi' come evitare aree destabilizzanti sul pianeta è nellinteresse di tutti.

In molti risponderanno che nessuno può imporre dallesterno i propri valori calcandoli nel modo di essere di un popolo.

Credo che a queste persone sfugga un punto: non si tratterebbe, infatti, di introdurre dei valori faziosi ma quegli unici principi in grado di rendere possibile la convivenza tra le faziosità cui ogni cultura ha diritto - solamente pero' se nel nome di queste non compie barbarie tentando di cancellare larbitrarietà altrui. Io credo che esistano delle cose sbagliate senza né "ma" né "però": non posso accettare che ad una donna iraniana venga tolta la semplice possibilità di scrutare il cielo perché ha osato rendere cieco un uomo che tentava di violentarla; che un bambino ancora ignaro della sporcizia che può ostacolare unesistenza, debba essere preso a sassate davanti ad una scuola in Irlanda del Nord perché cattolico; o ancora che una multinazionale possa sfruttare la miseria per arricchirsi, perché ha bisogno di vestire una città di marchi da vendere ai suoi abitanti affamati di superficialità. Provo rabbia nel sentire spiegazioni becere quanto ipocrite, che spiegano e quindi giustificano queste piaghe - anziché condannarle nel nome di un universalismo minimale, urlare il proprio disprezzo dinanzi a ciò che non è giusto, e ragionare su come far ragionare. Se è vero che ogni uomo ha una sua idea di bene è altrettanto vero che intorno allidea di male e di sofferenza si ha una convinzione universale. Il "kamikaze" di Hamas sa che il suo gesto, anche se giusto nella sua prospettiva, infligge dolore e spavento allaltro, ed è nel nome di questa idea comune di sofferenza, e nellopposizione a questa, che è legittimo un universalismo minimo.

Proposte queste premesse ideali dobbiamo comprendere come procedere ragionando sullapproccio da percorrere per attuarle. Credo che esistano quattro livelli su cui poter intervenire: culturale, sociale, economico e diplomatico-istituzionale - tutti retti da uno stesso supporto giuridico.

Sul piano culturale debbono operare le organizzazioni internazionali non governative, ognuna specializzata in un proprio ambito. Ad esempio attraverso il lancio di programmi di scambio studentesco, lo "start up" di progetti che vanno a posarsi sulle fondamenta delle società di cui uno dei pilastri è listruzione: lalfabetizzazione e la conoscenza sono delle ottime armi contro le ingiustizie. Compito delle istituzioni a questo livello è di favorire il fiorire di queste iniziative.

Nel secondo piano, quello sociale, è altrettanto necessario il ruolo delle associazioni specializzate (come ad esempio lo può essere un progetto per abbattere il gap tecnologico tra paesi) che può essere congiunto a quello delle istituzioni internazionali che possono procedere parallelamente con delle iniziative per sostenere una crescita sociale intervenendo allinterno di unottica di lungo periodo e non solo per spremere nel breve periodo le risorse di uno stato.

Ci sono parti del mondo dove esprimere unopinione, votare o scegliere i vestiti da indossare al mattino appare oggi scontato, ma anche in queste aree non sempre è stato così. I tempi in cui si bruciava una donna sul rogo, un bambino moriva in una miniera o si sterminavano altri esseri umani allinterno di un campo di concentramento non sono poi così lontani. La spinta riformista in questi paesi è sorta dallinterno e alcuni suoi abitanti hanno conquistato la democrazia anche al costo di guerre e spargimenti di sangue. In altre parti del mondo questa spinta endogena pare improbabile ed anche il minimo soffio di un vento di cambiamento viene represso in una piazza sotto ad un carro armato o lapidato dalla bieca furia popolare. Per questo motivo è necessario introdurre il dubbio dallesterno attraverso interventi sociali e culturali che scuotono i pilastri in quei luoghi dove oggi lunico dubbio è come procurarsi il prossimo pasto.

A livello economico e diplomatico è invece centrale il ruolo delle istituzioni internazionali e quindi degli stati. Chiudere il rubinetto dei finanziamenti internazionali ad un regime non-democratico, proporre dei requisiti minimi per poter partecipare ad una convenzione internazionale, ratificare un accordo per linstaurazione di un tribunale penale internazionale (anziché respingerlo perché ostacolo ad assassini di stato) e il far rispettare degli standard lavorativi internazionali (perlomeno quando ad operare sono aziende occidentali) dipendono dalla volontà politica delle personalità internazionali. Il paradosso, a mio avviso, sta nel fatto che queste azioni etiche sarebbero atti di realismo politico come lo potevano essere tanti altri. Se è vero che il secondo capitolo della carta delle Nazioni Unite parla di sovranità nazionale e di non interferenza negli affari interni di uno stato è altrettanto vero che un intervento qualora esistano le condizioni di minaccia alla sicurezza internazionale sia legittimo: Intervenire in Somalia poteva evitare che il paese diventasse una base per i terroristi di Al-Qaida.

Per gli stessi motivi sono fermamente convinto che una Multinazionale possa applicare dei principi etici alla sua catena di montaggio. Non credo che in molte toccherebbero il baratro del fallimento ritoccando le spese folli di marketing nei loro paesi dorigine e migliorando le loro politiche sociali e le condizioni di vita dei lavoratori nei paesi del terzo mondo introducendo un living salary. Anche in questo caso si tratterebbe di realismo politico perché si eliminerebbero i tanti movimenti di disordine contrari ad un mercato globale. Il ruolo dei governi nazionali in questo gioco dovrebbe essere di proteggere i diritti dei lavoratori potenziando i sindacati internazionali, tutelare lambiente e far evitare accordi con governi non-democratici che peraltro hanno bisogno del supporto dei capitali provenienti dalle imprese occidentali: trovo ancora una volta che dipenda dalla volontà politica di questi soggetti che al contrario, spesso, rivestono volontariamente il ruolo dello spettatore impotente.

Il palcoscenico su cui si dovrebbe alzare il sipario di questo nuovo approccio è il mercato globale.

A differenza di quanto alcuni possano credere la globalizzazione non è la fonte dei mali che affliggono la nostra società e che costringe molti a vivere sul davanzale dellAde. Il digital divide ad esempio esisteva anche prima del mercato globale, questo caso mai ha allargato il gap e reso visibile il problema ma anche proposto a mio avviso una potenziale soluzione. Semmai il dramma si nasconde in ciò che è diventato il mercato globale e nelle crepe di vuoto in cui si è insinuato. La globalizzazione è lo sviluppo naturale del mercato libero, il suo passo successivo, e il mercato libero è il gemello siamese della democrazia: non cè luno senza laltra essendo il mercato non solo un luogo dove si scambiano liberamente delle merci ma alla base della sua ragion dessere ci sono i principi etici fondamentali. Come affermava Winston Churchill tra tutti i sistemi imperfetti, la democrazia è il meno imperfetto.

Data questa affermazione si dovrebbero esportare quelli che sono i valori della democrazia e quei principi etici minimali con cui ho dato inizio al viaggio lungo questo excursus. Anziché fare questo, attraverso la costituzione del villaggio globale si ha avuto lo sfruttamento della povertà e di situazioni di miseria per accrescere la ricchezza di una parte limitata degli abitanti del pianeta trasformando la periferia del globo in una succursale da spremere per i propri interessi. Lo sfruttamento è stato reso possibile da una parte da questa latenza democratica e dallaltra da una mancanza di regole. Il mercato per essere davvero globale deve far viaggiare insieme agli scatoloni di scarpe Made in Pakistan quei valori liberali che le hanno fatto dono dellossigeno di cui ha bisogno per esistere. Linstaurazione di un sistema regolamentare è invece compito da una parte delle autorità internazionali e dallaltra delle multinazionali stesse, che le dovrebbero poi anche rispettare. Solamente in questo modo si potrà assistere ad una crescita globale ed avere una globalizzazione dal volto umano. Credo che si possa parlare nuovamente di volontà politica (non alzando ad esempio delle mura tariffarie, non permettendo ad unazienda di tappezzare le mura di una città con i suoi loghi o di scaricare in mare rifiuti tossici): di volere veramente un mercato globale, anziché sventolarne la bandiera solamente nella retorica per poi cucire ad hoc un abito per i pochi invitati alla festa delle sfarzosità mentre gli altri svestiti sono obbligati a fare da camerieri. Prendendo in prestito le parole di Carlo Rosselli potremmo domandarci cosa se ne fa un uomo della libertà di stampa se non ha nemmeno i soldi per comprarsi un giornale?

Naturalmente trasformare tutto ciò su cui ho tentato di ragionare in pratica non è facile ma, non credo sia un buon motivo per non fare nulla. Molti dei drammi e delle piaghe che ricoprono il pianeta ed hanno gettato un cielo nero nel futuro dei milioni di piccoli principi che popolano la terra erano delle tragedie annunciate e poco, ahimè, si è fatto per evitarle. Spero che il sassolino che ho gettato nello stagno venga trascinato in un fiume di cambiamenti e non si perda nelle acque torbide di un labirinto senza uscita. Fondamentale sarà, soprattutto, la volontà di cambiare qualcosa, ma se lobbiettivo è donare un sorriso ai piccoli principi che un domani passeggeranno per le vie del mondo allora applicare letica e dei valori universali allinterno del sistema delle relazioni internazionali e del villaggio globale è realismo politico. Se lobbiettivo fosse invece un altro, e i principi valoriali appartenessero solo al regno della retorica, voltatevi dallaltra parte.

Credetemi però, anche voi, immaginariamente malati di cecità, udirete il singhiozzio del piccolo principe.