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E l'Europa dov'è?

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Quando George W. Bush, per una volta, dà una bella lezione di democrazia al Vecchio Continente. Pungente.

In “Power and Weakness” Robert Kagan descrive un’Europa immersa in un mondo post-storico, nel quale è possibile promuovere una politica estera multilaterale sulla base di strutture di cooperazione, anche giuridiche, come la Corte Penale Internazionale, la Convenzione contro le mine antiuomo, i protocolli di Kyoto, per non parlare delle istituzioni di matrice onusiana. Ma Kagan si chiede ripetutamente: si tratta di un atteggiamento prodotto dalla virtù o dalle circostanze?

Le domande di Kagan si rivolgono innanzitutto ai leader europei, ma chiamano in causa anche i cittadini europei. Le manifestazioni per la pace in Iraq, così come le ripetute espressioni di grandeur di Chirac, nascondono un interrogativo: quei milioni di persone in piazza erano anti-americani o pacifisti pro-iracheni? Lo stesso sospetto ci spinge a chiederci, pur nel più spaventoso silenzio, dove sono finite le folle urlanti in favore del popolo iraniano? O ancora: la sovranità di una crudele dittatura può essere considerata più sacra dei diritti civili di più di settanta milioni di iraniani?

Questione di scelte...

Con il fallimento di Khatami, gli studenti in piazza e la classe media che li sostiene non hanno più un leader. Si pensava che il presidente Khatami e suo fratello, il leader del cosiddetto partito riformista, volessero difendere il diritto di protestare. Ma non hanno fatto nulla per non arginare le proteste. Il presidente, pronunciandosi pubblicamente soltanto all’ottavo giorno di manifestazioni, ha dichiarato: “se quelli che sono contro il sistema sono solo 200, 500 o 1000 e si lamentano per le condizioni degli studenti, allora siamo fieri di poter dire che siamo fortissimi”. Abbastanza spaventosa, questa “ricostruzione” creativa degli eventi (il governo avrebbe in seguito ammesso di aver arrestato ben 4000 persone) non si discosta affatto dalle tattiche che il regime ha sempre utilizzato: una deliberata falsificazione degli eventi, che riduce gli Iraniani a semplici agenti delle potenze straniere, in particolare degli americani. Parallelamente, il fratello di Khatami bollava i vigilantes con l’appellativo di “canaglie” e condannava i manifestanti che osavano insultare i leader del regime.

Ma cosa potrebbe fare l’Europa? Innanzitutto prendere posizione. Dopo il silenzio dettato da ragioni di opportunismo economico e mero provincialismo, dopo questi ultimi sette anni, possiamo ancora continuare a credere alla capacità di Khatami di riformare dall’interno il sistema teocratico? L’Europa e gli Stati che la compongono potrebbero iniziare, in questa occasione almeno, a prendere una lezione dall’uomo che troppo spesso snobbano: George Bush. Il 18 giugno scorso Bush ha pubblicamente osannato “quelle anime coraggiose che si esprimono per la libertà in Iran”, dichiarando che “l’America si schiera apertamente al loro fianco” e auspicando che l’amministrazione iraniana “li tratti con il massimo rispetto”. Ovviamente, finchè il resto della comunità internazionale resta in silenzio, dichiarazioni del genere possono essere manipolate dal regime iraniano per fomentare la propria retorica anti-americana. Sarebbe molto più difficile difendersi da un coro di voci nel quale sia inclusa l’Europa.

Con ciò, ovviamente, non si sostiene che Khatami sia il vero problema. Egli è chiaramente un passo nella giusta direzione. Ma bisogna ammettere, se non vogliamo essere catturati dalla melma dell’ipocrisia, che non è abbastanza.

L’UE, primo partner commerciale dell’Iran

In secondo luogo, l’Europa deve sviluppare proposte concrete nel più ampio contesto di una politica che abbia un certo peso dietro le parole. Sfortunatamente, nelle conclusioni del Consiglio europeo del 16 giugno 2003, la necessità di migliorare la situazione dei diritti umani in Iran è citata in maniera più che vaga, solo una volta, mentre le questioni relative alle installazioni nucleari occupano 6 punti su 7 del documento. D’altronde, la proposta presentata recentemente nell’Europarlamento, che chiedeva al Consiglio europeo di esercitare pressioni sul regime iraniano per permettere un referendum sulla democrazia, sotto il controllo di osservatori internazionali indipendenti, costituisce un primo promettente passo in avanti. Ovviamente, un referendum sulla democrazia non potrebbe de facto che trasformarsi in un referendum che stravolgerebbe la Costituzione in vigore. La Costituzione iraniana si vanta del fregio di “democrazia” islamica, ma rappresenta il più rigido ostacolo allo sviluppo di una vera democrazia in Iran: i poteri del Parlamento eletto sono sviliti perché subordinati all’autorità del non-eletto consiglio “del clero” che può annullare qualunque disposizione che sia reputata violare la legge islamica. In breve, pressione diplomatica e, se necessario, economica possono dare all’UE, primo partner commerciale dell’Iran, un ruolo da protagonista. E’ una questione di scelte.

In terzo luogo, i cittadini europei, possono far sentire la loro voce in piazza e nei media. Possono aiutare a chiarire le ambiguità dei loro leader che pur volendo spingere l’Iran verso le riforme, sono rimasti testimoni immobili di violenti attentati ai diritti fondamentali, come la chiusura di oltre 100 giornali, la censura dei siti internet e gli arresti arbitrari di manifestanti nonviolenti. Il sostegno morale di una comunità internazionale delle democrazie – la stessa della quale gli iraniani vorrebbero fare parte ha un valore inestimabile come non mai. Dobbiamo chiarire la nostra posizione – quella dei cittadini e dei leader – per far capire al regime iraniano, e soprattutto agli studenti, da che parte stiamo.

Translated from The EU's policy (or lack thereof) on Iran