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E la ratifica? Ci vuole un referendum unico

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La Convenzione avrà almeno avuto il merito di redigere una Costituzione per l’Europa. Ma per vincere le reticenze degli Stati, bisogna fare appello al popolo europeo.

Con la fine dei lavori della Convenzione europea, è ormai chiaro che niente più sarà come prima: il trattato costituzionale che abbiamo preparato sarà la prima costituzione dell’Europa politica. E forse anche il suo ultimo trattato.

Si, sarà una costituzione. E’ una vittoria iniziale, che dobbiamo al lungo battersi dei federalisti da Altiero Spinelli in poi. Ripreso dall’intergruppo “Costituzione” creato nel 1999 nell’ambito del Parlamento europeo, garantito dal Parlamento intero sul rapporto d’Olivier Duhamnel nell’ottobre 2000, scandito in tutte le lingue di Nizza dalla manifestazione federalista il giorno del Consiglio europeo, evocato da allora da grandi dirigenti, messo al primo posto nell’agenda dell’intergruppo che abbiamo costituito nell’ambito della Convenzione, l’obiettivo era già sufficientemente maturo per poter essere trasformato in proposizione formale da Valéry Giscard d’Estaing nel momento delle prime sessioni della Convenzione.

Il cambiamento non si limiterà ad una disquisizione sul vocabolario. Tutti i trattati sono gettati via e sostituiti da un testo comune, concepito come una costituzione: con un preambolo che richiama l’obiettivo storico dell’impresa; uno zoccolo duro di valori fondamentali tratti dalla Carta europea dei diritti; una netta ripartizione di competenze tra l’Unione e gli Stati membri; un sistema di decisione molto più chiaro e democratico, che distingua il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Una quarantina d’articoli comprensibili da tutti i cittadini costituiranno le regole di base della nostra vita comune.

Fine dell’unanimità

Le competenze dell’Unione si accresceranno, soprattutto in materia di libertà, sicurezza, giustizia, ossia nello “spazio delle persone”, dopo lo spazio delle merci e della moneta razionalizzati dai trattati precedenti. E’ il metodo comunitario che prevarrà, a scapito di un modo di decisione basato sul modello federale: monopolio del potere propositivo per l’organo esecutivo, uscito dalla Commissione europea; voto di ogni legge da parte di due organi dotati di poteri equivalenti: il Consiglio che rappresenta gli Stati e il Parlamento che rappresenta i cittadini. E l’esigenza paralizzante dell’unanimità nel Consiglio dovrebbe sparire quasi totalmente. Si tratta dunque di una vera e propria costituzione.

Ma questa Costituzione politica sarà davvero l’ultimo trattato europeo, nel senso giuridico del termine? La battaglia non è ancora vinta. Restano tre ostacoli da superare:

1. Nell’ambito stesso della Convenzione, resta da stabilire il dibattito sulla legittimità democratica del “Signor” o della “Signora” Europa, il capo dell’esecutivo europeo. La chiave di tutto dovrebbe essere l’elezione del Presidente della Commissione da parte del Parlamento europeo, dunque, di fatto, da parte dei cittadini stessi. Da un anno, nonostante le prudenze dei due grandi gruppi politici, l’idea non ha smesso di fare progressi, e l’intergruppo vi ha instancabilmente contribuito. Il giorno in cui esisterà un “Signor Europa” (poco importa se le competenze dell’Unione restano incomplete in materia di politica estera –cosa che la crisi irachena rende molto verosimile-), l’opinione pubblica europea avrà il suo portaparola, ed il movimento federalista si realizzerà in tutto e per tutto.

2. Una volta ottenuta la Convenzione, verrà la fase governativa. Che faranno i dirigenti nazionali? Se si ritengono abilitati a correggere tutto nell’ambito della conferenza diplomatica, il processo nel suo insieme ne risulterà compromesso. Se invece accetteranno il testo in toto, o se si investiranno la Convenzione del compito di correggere i punti che a loro sembrino inaccettabili, allora sarà chiaro che questa assemblea di politici europei e nazionali ha una legittimità politica più forte dei soli governi: la diplomazia intergovernativa avrà vinto.

Un referendum per tutti gli Europei

3. Verrà infine la decisione ultima: la ratifica. Chi sarà chiamato a ratificare, e quale sarà la condizione di validità? Se è richiesta l’unanimità, la costituzione non verrà mai data alla luce: dei venti cinque Stati coinvolti, è inevitabile che due o tre rifiutino un’Europa integrata. E la questione si riproporrà più tardi sulla revisione della costituzione stessa: se è richiesta l’unanimità, non succederà nulla; se basta una maggioranza, anche super-qualificata, allora… si sarà approdati ad un’oscillazione nel sistema federale. Questo obiettivo non è al di fuori della nostra portata, se è associato ad un “diritto di ritiro” offerto agli Stati che non accetteranno la revisione costituzionale: per esempio, uno Stato vocato alla neutralità che rifiuterebbe un’Unione Europea della difesa.

Nell’ambito della Convenzione, federalisti e fautori della sovranità militano insieme affinchè la ratifica sia demandata dappertutto, non solo ai Parlamenti, ma ai popoli stessi, attraverso un referendum organizzato ovunque lo stesso giorno. Ciò permetterebbe di organizzare per la prima volta un vero dibattito europeo, allo stesso tempo, in tutta Europa, e di permettere ai cittadini di avere infine l’ultima parola. I fautori della sovranità sperano in una reazione nazionale anti-europea. I federalisti, dal canto loro, sanno che, quasi ovunque, i cittadini sono più europei dei dirigenti nazionali, e che l’Europa politica non potrà essere fondata che sui popoli stessi. Sarà un grande voto di fiducia nel dialogo contro la forza, nell’apertura contro il ripiego, nell’avvenire contro il passato.

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