Due settimane dopo gli attentati: Paris, ça va?
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Veronica MontiDue settimane dopo gli attentati, Parigi oscilla tra stato di emergenza e normalità. Il terrore ha lasciato le sue tracce. La leggendaria leggerezza di spirito dei francesi per ora è solo un ricordo.
Le sirene della Polizia, insieme alla secca chiusura delle porte della metro o al tintinnio dei bicchieri nei caffè, fanno parte dei suoni familiari di Parigi. Ma dal 13 novembre 2015 il tono è cambiato. Le risate e le conversazioni ai tavolini dei bar si sono fatte più discrete, mentre il suono delle sirene si è fatto più forte. Parigi ha perso il suo equilibrio. L'unico punto fermo sono le quattro pareti di casa. Tra l'armadio e il soggiorno c'è sempre lo stesso stendibiancheria. Nel lavandino ci sono ancora i piatti. Dal 13 novembre qui non è cambiato molto. È un pensiero tranquillizzante quando il resto della città si è trasformato in un campo minato.
Per quanto riguarda la paura e la diffidenza, sono fissazioni di breve durata. Ogni volta che un'auto rumorosa si ferma di colpo al bordo della strada, ogni volta che un motociclista si toglie il casco e il passamontagna resta sul suo volto, ogni volta che un corriere porta un pacco sospetto in mano. In un attimo iniziano le paranoie. Si risveglia l'agente segreto che è in ognuno di noi. Uomini scuri con la barba e dai vestiti lunghi fino alle ginocchia diventano terroristi, donne coperte dal velo complici. In queste ultime settimane rappresentano il terreno più propizio per il pensiero islamofobico.
Il malessere e l'angoscia restano
Dimostrazioni di solidarietà come #NousSommesUnis ("noi siamo uniti", n.d.t.) sono la reazione alle generalizzazioni che non distinguono il jihadista radicale dal musulmano praticante facendo di tutta l'erba un fascio. In molti luoghi, e non solo al Congresso di Versailles dove il presidente François Hollande ha ribadito l'unità nazionale, si intona la Marsigliese. Le attrazioni turistiche rifulgono del tricolore francese. Ai piedi della statua della Marianne in place de la République ondeggiano controvento le luci di innumerevoli candele. La cera di oggi si scioglie sopra la cera di quelle candele che furono accese, nello stesso posto, in occasione dell'attentato contro Charlie Hebdo. Nonostante le molte espressioni di coraggio: #NotAfraid, #PrayforParis, "Je suis en terrasse" ("sono seduto ad un tavolino", parafrasando il più celebre "Je suis Charlie" di gennaio, n.d.r.), restano il malessere e l'angoscia.
La normalità ha un altro sapore
Dagli altoparlanti del mercatino di Natale sugli Champs-Élysées risuonano le note delle 10 canzoni natalizie più conosciute, tra cui Last Christmas e Walking in a Winter Wonderland. Il profumo dei waffel appena sfornati e del vin brulé annebbia la mente, per un momento dà l'idea di un mondo pacifico e prenatalizio. Neve artificiale e ghirlande luminose fanno il resto. Non fosse per i soldati pesantemente armati e in tuta mimetica, che danno un sapore amaro a questa dolce visione del mondo. La normalità ha un altro sapore.
Prima che la Francia torni alla normalità passerà molto tempo. L'imminente Conferenza sul clima (COP21) e le elezioni regionali del 6 e 13 dicembre devieranno l'attenzione generale su altri campi di battaglia, sia in politica nazionale che internazionale. Il tempo cura tutte le ferite, si dice. Ma quanto ci vorrà ancora prima che questo pensiero ci lasci: «Tra quelle 130 vittime avrei potuto esserci anch'io?».
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Pubblicato originariamente su Neue Osnabrücker Zeitung.
Translated from Zwei Wochen nach den Attentaten: Paris, ça va?