Dove finisce l'Unione europea?
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Viaggio tra le nuove colonne d'Ercole dell'UE, tra valori giuridici e considerazioni geopolitiche.
Spesso, durante gli ultimi mesi, sono aumentate le voci di coloro che sperano in un futuro relativamente prossimo di vedere Israele entrare a far parte dell’Unione Europea.
Il dibattito circa l’allargamento dell’Unione è assai vivo, specie dopo la nascita della convenzione europea per le riforme, ed è forse necessario capire fin dove l’Europa si estenda o si possa estendere. Per esempio, non mi sembra che nessuno confuti il fatto che l’Albania sia in Europa, ma mai si parla del suo futuro inserimento nell’Unione. Altri si interessano del caso turco, forse il più discusso, mentre oggi aumentano le voci pro Israele e persino pro Russia (voci inimmaginabili fino a 5 anni fa).
La domanda a cui bisogna rispondere risulta sempre la stessa: dove finisce l’Europa?
Il confine a cui faccio riferimento non è solo geografico o geopolitico, bensì soprattutto culturale e valoriale.
Se l’Europa fosse concepita da un punto di vista prevalentemente geografico, molti sarebbero d’accordo su di un continente esteso fino al confine russo ad est e turco a sud-est, partendo dal presupposto che per quanto riguarda gli altri punti cardinali non vi siano problemi definitori.
Facendo fede a questa visione geografica, che trova conferma tra l’altro nella tradizionale rappresentazione cartografica europea, sia la Turchia che la Russia sarebbero per metà europee, non vi sarebbero dubbi circa l’Albania, mentre Israele non verrebbe nemmeno menzionato.
Spostando il punto di vista sul livello culturale, è chiaro che l’analisi diverrebbe più profonda, ma pur sempre agganciata alla domanda ricorrente: dove finisce l’Europa?
Da questo punto di vista sarebbe meglio definire prima quali sono i valori dell’Europa per poi porre delle divisioni. Gran parte della tradizione europeista trova le radici culturali europee nel cristianesimo, anche se sarebbe meglio parlare di cristianesimi, dal momento che nell’odierna Europa convivono cattolicesimo, protestantesimo ed ortodossia. Pertanto, se si facesse affidamento a questa ottica religiosa, bisognerebbe escludere dall’allargamento i paesi non cristiani come parte della Bosnia, Albania e Turchia, mentre sarebbe più facile allargarsi alla Russia ortodossa e ad Israele ebraico (considerando l’ebraismo come il fratello maggiore del cristianesimo).
Anche questa suddivisione non sembra soddisfacente, dal momento che è innegabile che Bosnia ed Albania siano europee al pari di Italia o Austria, mentre i dubbi circa la Russia ed Israele rimarrebbero lo stesso anche in presenza di affinità culturale.
Da un’ottica prevalentemente politica ritengo molto discutibile l’esclusione della Turchia, dal momento che lo stato turco storicamente ha gravitato più sul continente europeo che su quello asiatico, senza dimenticarci che è membro della NATO fin dai suoi inizi, precedendo in questo persino l’europeissima Germania: sarebbe meschino decidere che uno stato fa parte della nostra squadra solo quando ciò fa comodo e pertanto un siffatto criterio è da escludere.
Altri adducono il fatto che Berlino, capitale della Germania, è oramai divenuta la seconda città turca al mondo dopo Istambul. Ciò ci spinge a riflettere sulla dinamica inclusione-esclusione presente all’interno di società con altissimo tasso di immigrazione e sulla frattura che potrebbe sorgere da essa, ma non mi pare un motivo decisivo a favore dell’entrata della Turchia nell’Unione, perché se si seguisse tale logica bisognerebbe aprirsi al mondo intero!: quanti non europei vivono a Parigi o a Londra?
Il problema pertanto ha molteplici sfaccettature e risulta essere una issue assai rilevante.
Ciò vale anche per il caso della Russia e di Israele.
Il dibattito circa questi due stati è assai recente rispetto a quello riguardante la Turchia, ma ritengo che sia più facile da risolvere. Entrambi hanno notevoli affinità storiche, politiche e culturali con l’Europa, ma presentano limiti che, pur essendo di natura diversa, non permettono una piena integrazione.
La Russia è una grande potenza mondiale (l’Heartland a cui lo studioso inglese di geopolitica Mackinder ha dedicato pagine memorabili) e per tale motivo una sua inclusione altererebbe notevolmente gli equilibri di potenza esistenti, il che paradossalmente porterebbe l’Europa ad essere annessa alla Russia, invece del contrario. I rapporti con la Russia non devono però essere tesi in virtù di questa considerazione; le relazioni tra i due potrebbero seguire gli schemi del partenariato, cosi come avviene nei confronti degli Stati Uniti o del Giappone. Sarebbe davvero inimmaginabile vedere un’Europa che si estenda dall’Irlanda a Vladivostok!
Il caso di Israele presenta difficoltà più politiche che geopolitiche. Israele è stato creato dall’occidente, sotto forte spinta americana, apparentemente per ripagare lo scempio della shoah, realisticamente per avere un’avamposto occidentale in medio oriente, con lo scopo di influenzare le politiche di tale area.
La storia dello stato di Israele, dalla sua nascita ad oggi, non è certo idilliaca! Oggi ancora di più viene a galla il ruolo destabilizzatore di uno Stato concepito in quei termini, e che non si comporta certo seguendo i canoni di una democrazia europea, spazio politico di cui ultimamente vorrebbe far parte. Israele è mediorientale volens nolens, e se questo dato di fatto fosse maggiormente preso in considerazione dai suoi governanti, forse si potrebbero fare passi più certi verso la distensione con i vicini. Oltretutto il ruolo della religione ebraica e dei partiti che si fondano esplicitamente ed in modo intransigente su di essa sono determinanti all’interno del sistema politico israeliano - aspetto, questo, non esistente all’interno dell’Unione: come potrebbe uno Stato spesso gestito sulla “veritas” religiosa, che in quanto tale non ammette eccezioni, conformarsi all’”opinio” civile su cui si fonda il modello politico europeo? Le distanze sono notevoli.
Anche in questo caso la non integrazione non deve significare assenza di rapporti, bensì l’Unione e Israele possono rendere regolari le loro relazioni istituendo partenariati ad hoc ed infittendo i reciproci contatti diplomatici.
La questione della definizione di Europa è assai delicata, ma forse una risposta soddisfacente si può trovare facendo leva sul nuovo concetto di cittadinanza europea elaborato a Nizza nella carta dei diritti fondamentali.
Il limes dell’Unione pertanto potrebbe essere rappresentato dal rispetto dei diritti insiti nel concetto di cittadinanza europea, senza tralasciare né gli aspetti geopolitici a cui prima si faceva riferimento né quelli economici già noti. Questo permetterebbe di risolvere il problema rappresentato dalla Turchia e gli altri stati candidati, ferme restando le considerazioni precedenti su Israele e Russia.
La cittadinanza europea dunque si pone come il criterio base necessario, se non fondamentale, per decidere chi è europeo e chi no. Tale criterio non deve essere valido solo per chi desidera entrare ma anche per chi fa già parte dell’Unione: è chiaro che una Francia guidata da Le Pen, nel momento stesso in cui una sua politica vada a ledere i diritti fondamentali, si porrebbe al di là del limes che si è costruito.
La convenzione europea dovrebbe affrontare anche questo discorso che non è formale, come sembra, ma sostanziale. Se mi permettete la metafora, non è solo una questione di quantità, ma anche e soprattutto di qualità: la costruzione europea necessita di fondamenta chiare e solide e la carta fondamentale dei diritti può e deve esserne il pilastro portante.