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Discriminazione linguistica al Politecnico di Torino: Il Governo (non) risponde

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Le politiche linguistiche

Cari amici,

Il Governo italiano infine risponde all'interrogazione parlamentare fatta qualche mese fa dall'Onorevole Perduca e dall'Onorevole Poretti riguardo discriminazione linguistica operata dal Politecnico di Torino.

Riportiamo qui sotto la risposta del Governo, (clicca qui per l'originale ).

Come si vede, il Governo non risponde e non chiarisce la propria posizione, ma si fa di fatto portavoce del Rettorato del Politecnico che adduce motivazioni ingannevoli a sostegno di una politica linguistica manifestamente discriminatoria, inaugurata del 2007 e rinnovata nel 2008.

PRESIDENTE. Segue l'interrogazione 3-00138 sui corsi di laurea in lingua inglese presso il Politecnico di Torino.

Il rappresentante del Governo ha facoltà di rispondere a tale interrogazione.

PIZZA, sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, con riferimento alle osservazioni espresse dagli onorevoli interroganti riguardanti notizie apprese dalla stampa su alcune tipologie di diplomi di laurea rilasciati dal Politecnico di Torino, si risponde sulla base di elementi informativi riferiti dal rettore.

Nelle scelte operative del suddetto Politecnico, l'internazionalizzazione dei percorsi formativi rappresenta un valore strategico ed è stato quindi ritenuto fondamentale offrire agli studenti italiani la possibilità di una preparazione che possa costituire un vantaggio competitivo sia nell'ottica del proseguimento degli studi, che in quella lavorativa, grazie all'approfondimento della lingua inglese, considerata veicolare soprattutto nelle discipline tecnico-scientifiche.

L'ateneo, pertanto, garantisce ai suoi studenti un'ampia offerta formativa, consentendo loro di scegliere, all'interno di alcuni corsi, la possibilità di poterli seguire, parzialmente od interamente, in lingua inglese. Infatti, tutti i corsi di 1° livello che si svolgono presso la sede torinese prevedono, limitatamente al primo anno, la possibilità di optare per una frequenza a lezioni tenute in italiano o in inglese, evitando naturalmente la duplicazioni dei corsi; dal secondo anno i medesimi sono erogati in italiano.

Al fine di incentivare gli studenti italiani alla scelta del percorso in lingua inglese, è prevista l'esenzione dal pagamento delle tasse, limitatamente al primo anno, nel rispetto della normativa vigente, ed in particolare dell'articolo 3, comma 4, del Decreto del Presidente della Repubblica del 25 Luglio 1997, n. 306, recante «Regolamento recante disciplina in materia di contributi universitari».

In proposito, si ritiene che tale esonero dal pagamento delle tasse rientri nell'ambito di una autonoma valutazione dell'ateneo, purché il conseguente minor gettito delle entrate non vada a ricadere sull'importo maggiorato della tassazione per gli altri studenti, nonché sulla qualità ed entità dei servizi per i quali sono previsti contributi, come indicato all'articolo 2, comma 2, del citato decreto.

La mancata previsione del pagamento, ed insieme la sollecitazione verso la scelta di percorsi in lingua inglese, hanno motivazioni di elevato valore formativo e sociale, riferite a specifici input del sistema socio-economico e ad un forte interesse del sistema territoriale, anche nell'ottica di una facilitazione nel dialogo con altre realtà universitarie ed imprenditoriali e nell'approccio verso la produzione scientifica internazionale, dove la lingua inglese è quella maggiormente adottata.

Pertanto, l'agevolazione economica riconosciuta non può qualificarsi come una discriminazione verso gli altri studenti italiani proprio perché, in funzione del suo obiettivo, rappresenta un incentivo per quegli studenti che si propongono per percorsi formativi più impegnativi e non determina conseguenze negative a livello professionale per l'inserimento nel mercato del lavoro italiano ma, al contrario, favorisce l'inserimento medesimo nel mercato globalizzato.

Nei confronti degli studenti stranieri che seguono corsi in inglese, il piano di studi prevede, comunque, che la loro formazione tecnica sia completata da quella linguistica in italiano con lo specifico obbligo, nel percorso di studi, del superamento di un insegnamento di lingua e cultura italiana, al quale è attribuito il valore di dieci crediti.

Non esiste, in realtà, alcun danno per la lingua e la cultura italiana come conseguenza delle azioni poste in essere dall'Ateneo, che, al fine di perseguire i suoi obiettivi istituzionali, mira ad una formazione dei propri studenti tale che in futuro possano operare al meglio quale classe dirigente di un mondo internazionalizzato: nel mondo reale di oggi, infatti, la marginalizzazione è data proprio dalla difficoltà di interfacciarsi, anche a livello linguistico, con il resto del mondo.

La conferma di quanto esposto si rileva dalle richieste che provengono dal mondo del lavoro, aziende nazionali ed internazionali, di personale laureato con conoscenza linguistica di carattere professionale. Riguardo il corpo docente si precisa che, pur non essendo di madrelingua inglese, è professionalmente preparato per la realizzazione dei percorsi formativi in parola.

Si ritiene, pertanto, che scelte diverse da parte del Politecnico di Torino, risulterebbero anacronistiche e che, quindi, le opportunità offerte agli studenti, anche riguardo alla formazione in lingua inglese, siano assolutamente positive per il loro futuro, com'è d'altronde dimostrato dalla crescita del tasso di iscrizione, a fronte del calo demografico.

Per una più completa informazione sull'organizzazione dei corsi in parola, si riferisce quanto segue: i corsi di laurea di 1° livello in ingegneria dell'autoveicolo si svolgono sia in italiano che in inglese; il corso di laurea in ingegneria tessile presso la sede di Biella è svolto in inglese; tale scelta è dovuta a specifici input del sistema socioeconomico anche da ascrivere ad una rispondenza più qualificante della preparazione alle richieste di mercato.

Per i corsi di primo livello presso la sede di Vercelli viene proposto un primo anno sia in italiano che in inglese; dal secondo i corsi di laurea in ingegneria civile e meccanica si svolgono in italiano, mentre quelli in ingegneria elettronica in inglese. Tali corsi peraltro sono, specularmente, offerti in italiano presso la sede di Torino o altre sedi dell'ateneo nel territorio piemontese.

PERDUCA (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERDUCA (PD). Signora Presidente, ringrazio il Sottosegretario per essersi fatto portavoce del rettore perché mi pare che, più che aver avuto un'impressione o un giudizio del Governo, abbiamo appreso di cose che si possono trovare sul sito dell'università e che chi ascolta radio radicale ha potuto sentire nelle varie interviste durante le quali sono state poste le stesse domande che poi, grazie all'associazione radicale esperantista, abbiamo inserito nell'interrogazione con la senatrice Poretti.

Non si riesce, quindi, a capire quale sia la posizione del Governo italiano relativamente a questa decisione che, per come è stata riassunta nella risposta data, sembra più andare nella direzione di formazione di personale altamente qualificato e specializzato perché vi è una domanda di un determinato tipo di specializzazione. Non si prende in considerazione il fatto che le università italiane - speriamo ancora per molto - formano non necessariamente per uno sbocco lavorativo per una compagnia internazionalizzata, ma anche per la ricerca pura e perché ci può essere, visto e considerato che in questo Paese esiste il valore legale dei titoli di studio, la necessità di portare a casa un pezzo di carta. Come però non siano saltati agli occhi gli elementi di discriminazione nei confronti di chi decide di scegliere il primo anno di uno dei corsi di laurea in inglese vedendosi così abbonata l'iscrizione all'università mi pare preoccupante.

Questo, tra l'altro, è un Governo che ha fatto dell'italianità non soltanto una bandiera della campagna elettorale, ma anche un motivo per il quale alcune delle nostre imprese non avrebbero mai dovuto cadere nelle mani degli stranieri. In questo caso, però, non si prende in considerazione il percorso umano, culturale, ma anche economico di chi arriva a 19 anni conoscendo bene una lingua e chi, invece, arriva a 19 ani non conoscendo bene una lingua. È molto più probabile che qualcuno abbia appreso la lingua recandosi all'estero piuttosto che studiandola in Italia. È molto più probabile che chi ha la possibilità di recarsi all'estero abbia uno stato economico diverso da chi non è potuto recarsi perché magari deve lavorare per mantenersi agli studi o, comunque, non ha sufficiente sostegno familiare per poter fare tutto questo.

Il problema resta; l'insoddisfazione, ahimè, relativamente alla risposta data resta tutta con un'ulteriore preoccupazione relativamente a quei corsi di laurea che, come è stato ribadito nella risposta, sono stati organizzati esclusivamente in lingua inglese. Se qualcuno oggi volesse studiare in Piemonte ingegneria tessile lo potrebbe fare solo nella lingua di Shakespeare. Io non ho assolutamente niente contro la lingua di Shakespeare essendomi laureato in letteratura nordamericana e parlando altre tre o quattro lingue, ma questo non mi deve far avere un accesso privilegiato a un servizio scolastico pubblico.

Torneremo sulla questione anche in altre formulazioni perché, oltre a tutto ciò che abbiamo cercato di evidenziare nella nostra interrogazione relativamente alla discriminazione nei confronti di chi non ha potuto per vari motivi, che non devono interessare lo Stato, studiare una lingua, ci sono degli aspetti economici della diseguaglianza linguistica che vanno assolutamente presi in considerazione; disuguaglianza linguistica di cui noi italiani già soffriamo, vista la qualità dell'insegnamento delle lingue in Italia. Noi, però, continuiamo ad incamminarci su una strada che non va verso il pieno recupero della nostra lingua. Lei, per fortuna, tranne digital divide, input e e-government oggi si è salvato dalla tentazione di usare una lingua che non ci appartiene e che cerca di veicolare purtroppo dei concetti che non appartengono alla nostra cultura.

Sempre con l'associazione esperantista radicale stiamo preparando una proposta di legge di tutela e promozione della lingua italiana. Io le ho portato uno studio che cerca di quantificare cosa avviene all'interno esclusivamente dell'Unione europea.

Il 3 per cento del prodotto interno lordo dell'Unione è dedicato a tutto ciò che attiene l'insegnamento delle lingue. Tra i 27 Stati membri ce c'è né uno, la Gran Bretagna, che ne porta a casa un'ampia fetta.

Se veramente abbiamo a cuore il sistema educativo italiano, e anche l'italianità, perché tra opera lirica e opere di letteratura l'Italia non ha sicuramente niente da invidiare a nessuno, forse bisognerà prendere in considerazione anche l'aspetto della lingua italiana oltre a tutto ciò che le ruota intorno.

PRESIDENTE. Lo svolgimento dell'interpellanza e delle interrogazioni all'ordine del giorno è così esaurito.