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Dirsi cristiani: dire il vero?

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Ottavio Di Bella

In Europa centrale la religione sta riguadagnando terreno. Dalla cattolicissima Polonia all'"atea" Repubblica Cèca, ecco i nuovi contorni del fenomeno.

Con l’allargamento a Est, la spinosa questione della religione e della sua influenza, s’imporrà presto all’attenzione degli stati membri dell’Unione europea. Nonostante condividano storia e cultura, paesi come Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia – anche noti come gruppo di Visegrad – differiscono sul modo in cui risolvono la questione cruciale della separazione fra Stato e Chiesa.

Polonia: il cattolicesimo come stereotipo nazionale?

La cattolicissima Polonia, culla di Papa Giovanni Paolo II, si è stranuamente battuta per una menzione della cristianità nel preambolo della futura costituzione dell’Europa. Durante il recente passato comunista del paese, le chiese appoggiarono attivamente il movimento in favore della democratizzazione del paese. Nel 1989 tuttavia, all’epoca del tramonto del comunismo, questa si trovò ad affrontare una scena già vissuta allorchè un numero crescente di polacchi ebbe a risentirsi per il suo immischiarsi negli affari di goverrno, nel tentativo di fare pressione per sviluppare un’agenda sociale più conservatrice.

La recente firma di un concordato tra governo polacco e Vaticano offrirà un piedistallo più solido alla chiesa locale per difendere più efficacemente le sue ricette sociali. Chiese evangeliche che nascono come funghi ed una richiesta crescente del diritto all’aborto sono alcuni dei problemi crescenti con cui deve combattere questa potente istituzione. Il suo lobbyng attivo sta tuttavia pagando. Una recente alleanza con lo schieramento pro-vita del paese ha spiazzato ogni speranza perché passasse un sistema favorevole e comprensivo verso la scelta dell’aborto.

In una nazione in cui l’insegnamento della religione è favorito anche nelle scuole pubbliche e in cui i crocifissi pendono nella camera alta e in quella bassa dei rappresentanti della Repubblica, il dibattito sulla seperazione fra Stato e Chiesa, che sta infiammando tutta l’Europa occidentale, è del tutto inesistente.

Ungheria: una tempesta in un bicchier d’acqua

La Chiesa, il suo consolidamento ed il suo ruolo nella società contemporanea sono problemi caldamente contestati anche in Ungheria. Il recente bando di uno studente omosessuale da parte dell'Università della Chiesa Riformata Gaspar Karoli, ha ulteriormente infiammato il dibattito ed ha portato un numero enorme di persone a interrogarsi sulla crescente influenza delle chiese che, peraltro, per poter funzionare dipendono principalmente dai conti pubblici. I regolamenti sull’assegnazione dei fondi sono stati recentemente modificati nella legislazione ungherese, sicché i sussidi vengon distribuiti secondo le dimensioni della chiesa piuttosto che sulla base della tabula rasa delle donazioni fiscali. In Ungheria, proprio come in Polonia, bastano 100 individui per creare una chiesa ufficialmente riconosciuta e pubblicamente finanziata. E’ molto più dura invece nella Repubblica ceca e nella vicina Slovacchia in cui la procedura di riconoscimento può impiegare fino a dieci anni e la richiesta del sostegno economico prevede decine di migliaia di membri attivi.

Slovacchia: uno Stato confessionale?

Nella Slovacchia la fede è un fatto inevitabile. I partiti politici si segnano apertamente come cristiani ed i loro programmi difendono senza tregua l’eredità cristiana del paese. Mentre però le panche della chiesa si riempiono sempre più di professionisti, la religione ed il suo ruolo nella società rimane un problema caldamente contestato. Fatti come le polemiche sugli alti costi legati alla recente visita del Papa o l’introduzione di un corso di religione opzionale nelle scuole statali, stanno spingendo alcuni a dire che il paese sta diventando uno Stato confessionale.

Gli ultimi eventi, tuttavia, indicano il contrario. Il riferimento va al partito comunista locale che ha guadagnato dei seggi in Parlamento per la prima volta dalla rivoluzione di velluto del 1989, ed ancora ad una recente decisione di tagliare il numero delle organizzazioni basate sulla fede candidate ai fondi pubblici: tutto ciò mostra il consolidamento di una galoppante separazione pubblica fra Chiesa e Stato.

Repubblica ceca: la pecora nera della famiglia

Da tutto questo oceano di devozione la Repubblica ceca si tien fuori. La maggioranza dei cechi (59% secondo un recente sondaggio) si proclama atea. E solo il 5% dei cattolici frequenta regolarmente la chiesa, contro il 58% in Polonia. Queste statistiche mettono la Repubblica ceca in linea con l'Europa occidentale, in cui la frequentazione della chiesa è ormai ai minimi record. Il rapido declino della religiosità negli ultimi 15 anni può essere solo in parte addebitato al comunismo e alle tradizioni ateistiche che hanno dominato nell’Europa orientale per la maggior parte del XX secolo. A questo si aggiungono le amare dispute che intercorrono fra Stato e Chiesa circa la restituzione delle terre confiscate durante il comunismo. Di tutti i paesi di Visegrad, la Repubblica ceca resta l’unica a non aver firmato un concordato col Vaticano.

Translated from Keeping it Christian, Keeping it Real?