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Difesa europea: la prospettiva inglese.

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L’attuale crisi irachena dimostra più che mai quanto sia difficile avere una sola “voce europea” sulla scena internazionale.

Mentre i rispettivi governi sono divisi dalle controversie a proposito dell’Iraq, i cittadini europei restano uniti da un più immediato svago. Come i quiz televisivi. “The Weakest Link” (“L’anello più debole”), un programma inglese in cui una squadra di concorrenti vota la persona più stupida in ogni partita (da cui il nome del programma), è stato tradotto ed esportato nella maggior parte del continente. Tony Blair, che fallisce nel convincere chiunque in Europa che la guerra contro l’Iraq è una buona idea, mentre Donald Rumsfeld afferma che l’America non ha comunque bisogno di lui, deve sentirsi proprio come i perdenti del quiz. Per il capo di Stato di un Paese che ricorda ancora vivamente la sua antica supremazia mondiale deve essere quantomeno irritante.

L’Inghilterra sembra attualmente lontana anni luce dalla politica di sicurezza e di difesa. L’Europa nel suo insieme è confusa al riguardo. L’UE ha sì una posizione comune su se e/o come ci dovrebbe essere una guerra in Iraq, ma tutti sembrano ignorarlo. La Politica Europea di Sicurezza e di Difesa (PESD) obbliga gli Stati membri a “supportare attivamente e senza riserve la politica estera e di sicurezza dell’Unione in uno spirito di lealtà e mutua solidarietà” ma, al momento, la maggior parte dei Paesi Europei è troppo impegnata a litigare in seno a ONU e NATO per farci caso.

Significati diversi a seconda dei governi

Il problema riguardante la PESD, come del resto quasi tutte le altre politiche europee, è che essa può assumere differenti significati a seconda dei governi – ed ognuno di loro può avere ragione. I suoi tortuosi meccanismi cercano di non ledere la sovranità di nessuno o di comprometterne la neutralità, consentendo allo stesso tempo la presa di decisione collettiva. Le varie interpretazioni degli scopi della PESD dipendono essenzialmente da due fattori: politica interna e opinione pubblica da una parte, ed ideologia dall’altra. Cosa possiamo dunque dedurre a proposito della visione britannica della PESD?

Primo, bisogna chiarire che l’ideologia predominante in tema di politica di sicurezza e di difesa Britannica è il cosiddetto “Neorealismo”. Il Neorealismo fa riferimento ad un sistema internazionale in cui gli Stati sovrani competono attraverso l’uso della forza (militare od economica) per il perseguimento dei propri interessi. L’Inghilterra sa che il mondo ormai è dominato da un nuovo ordine, perché questo è il modo in cui lo dominava un tempo. I suoi ricordi risalgono indietro nel tempo, e adesso non basta più essere solo relativamente importanti.

La sua stretta alleanza con l’attuale potenza egemonica mondiale, l’America, rappresenta allo stesso tempo il desiderio di dominio incontrastato, e la convinzione che gli interessi sia della Gran Bretagna che dell’Europa vengano protetti meglio dall’alleanza con Washington. Non solo, sarebbero danneggiati da una competizione con essa. Così l’ideologia cardine in voga a Londra risulta leggermente più sfumata del puro e semplice interesse dei realisti: infatti essa comporta anche una fede ben radicata nel valore del multilateralismo e della cooperazione in quanto meccanismi attivi di risoluzione dei problemi. Se così non fosse, perché Blair si sarebbe preoccupato di persuadere Bush a rivolgersi all’ONU?

E’ naturalmente l’alleanza con l’America, più che l’impegno nel multilateralismo, che è vista come fonte di ambiguità nella posizione britannica verso la PESD. L’Alleanza transatlantica assume le forme della NATO, e la lealtà del governo britannico ad essa è talmente nota quanto è irritante per alcuni dei membri europei. Ma tale lealtà non pone all’Inghilterra alcun problema ideologico nei confronti della PESD. L’Inghilterra vuole mantenere il più alto grado di sovranità possibile, esattamente come lo vogliono altri Stati di orientamento neorealista come la Francia.

Ciò riguarda tutte le politiche europee, non solo la sicurezza. L’Inghilterra è quindi una convinta fautrice della politica di sussidiarietà, in base alla quale niente dovrebbe essere portato a livello europeo a meno che non possa esser fatto diversamente. Perché dunque l’UE dovrebbe ad esempio includere una clausola di mutua difesa nella PESD (come suggerito da Francia e Germania) quando i membri non-neutrali sono protetti dall’art. 5 della NATO? Perché l’UE dovrebbe voler interferire con le politiche di difesa nazionale, quando queste sono condotte meglio dai governi nazionali?

D’accordo, quest’ultimo commento non è ancora neppure all’ordine del giorno. Ciò non impedisce agli Euroscettici di preoccuparsene fin da ora. Che ci piaccia o no, sono gli scettici che tendono a decidere l’ordine del giorno nell’opinione pubblica britannica. L’Inghilterra è più preoccupata a proteggere la sua sovranità che la propria posizione europea. Perché abbiamo bisogno di un esercito europeo, si chiede, quando ne abbiamo già uno perfettamente efficiente? La Francia potrebbe pensare che un esercito su base europea è qualcosa di cui essere orgogliosi, ma allo stesso tempo continua ad avere membri del Parlamento Europeo a far la spola tra Brussels e Strasburgo una volta al mese in nome dell’orgoglio del costoso (ed altrimenti inutile) palazzo parlamentare. Che vantaggi ne ricava da ciò l’Europa?

L’Inghilterra, un alleato allettante

Il fatto è che l’opinione pubblica inglese non è semplicemente anti-americana nella stessa misura in cui lo è il resto d’Europa. E’ frustrante pensare che faremmo ancora affidamento sugli USA per sottrarci ad una guerra civile, ma sviluppare una capacità di difesa in rivalità con la NATO non è, secondo il punto di vista inglese, un’opzione realistica. Il Regno Unito è il Paese europeo con la più elevata spesa militare, e nonostante ciò un recente resoconto del Ministero della Difesa rende noto che, per quanto valide siano le forze inglesi, esse non sono sufficienti ad affrontare qualcosa di più impegnativo della prima Guerra del Golfo. L’alternativa è quella di ridurre la difesa contando esclusivamente sui trattati e istituzioni internazionali (ma nessun governo europeo vorrebbe arrivare fino a tanto).

La via di mezzo, nelle parole del Ministro della Difesa è, naturalmente, quella di “migliorare la capacità europea di reazione in tempo di crisi”. Tale crisi può essere una minaccia convenzionale, un disastro umanitario o il bisogno di operazioni di mantenimento della pace: il punto è che le forze a disposizione dell’Europa hanno bisogno di migliorare. Non disponiamo della tecnologia o dei livelli di spesa militare necessari per difenderci effettivamente in caso di bisogno (non siamo neppure in grado di intervenire in operazioni di relativamente piccola scala come il Kosovo, senza l’aiuto degli USA). Secondo l’ottica inglese, il miglioramento della sicurezza e difesa europea dovrebbe significare un rafforzamento in ugual misura sia delle forze dell’UE che della NATO. In caso contrario, gli sforzi militari di entrambe le organizzazioni si troveranno in contrasto. Si prenda ad esempio il recente tentativo di Francia, Germania e Belgio di raggiungere una posizione “europea” nell’ambito della NATO, in favore della pace ed evitando una “logica di guerra” fino al punto di rifiutare di difendere un alleato. Essi hanno finito per creare una profonda divisione in seno all’alleanza. Ciò non rende l’Europa un alleato allettante. E come dimostra l’attuale crisi dell’ONU, se noi non ci dimostriamo alleati affidabili, gli USA faranno quello che vogliono senza di noi.

Tre possibili alternative

Ci sono tre possibili sviluppi per la PESD. Il primo è quello che vedrebbe l’Europa costruirsi come potenza militare senza coordinarsi con la NATO, politicamente come logisticamente. Entrambe le forze ne risulterebbero indebolite cercando senza successo di tenere il passo con gli USA.

Il secondo è quello che vedrebbe l’UE specializzarsi nelle operazioni umanitarie, di mantenimento della pace e di nation-building, che stanno diventando la ragion d’essere della sua politica estera in generale. L’UE avrebbe un potere di coordinamento e insieme agli USA attraverso la NATO, ma concentrandosi principalmente sul ristabilimento della pace piuttosto che sulle operazioni di guerra. Si può verosimilmente immaginare la maggior parte del pubblico europeo orgoglioso di una tale posizione. Ma la Gran Bretagna ha una lunga memoria storica delle sue coraggiose truppe in primo piano sulla scena mondiale: è poco probabile che l’orgoglio nazionale per missioni umanitarie equivalga alla forza di un sentimento che ancora esiste in favore di un esercito forte e della dominazione sul panorama internazionale che ne deriva.

La terza possibilità è che sia la NATO che l’UE siano rafforzate dalla PESD, rendendo l’Europa un attore globale pari a chiunque altro, libero di concentrarsi in operazioni di mantenimento della pace se lo desidera, ma anche in grado di far sentire la sua voce rispetto agli USA. La visione di Tony Blair è che il Regno Unito è al centro, facendo da ponte tra Europa ed America e rendendo ciò possibile. Ma il leader laburista non può procedere da solo. Il progetto funzionerà solo se il resto dell’Europa avanza nella stessa direzione per costruire al tempo stesso le capacità dell’UE e della NATO. Lavoro di gruppo in un’atmosfera di sfiducia e competizione (suonerà familiare agli spettatori dalla Spagna alla Scandinavia)... Ma la Gran Bretagna sarà il vincitore o l’“anello più debole”?

Translated from ESDP: the British perspective