Difendere la maternità surrogata in modo etico
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(Opinione) L'appello lanciato a dicembre da alcune "femministe" italiane e rivolto alle istituzioni europee ha fatto scalpore: una netta presa di posizione contro la surrogazione di maternità. Se molte coppie gay (e anche eterosessuali) sarebbero favorevoli a questo metodo di fecondazione assistita, un acceso dibattito si consuma tra le diverse correnti del femminismo.
Un po' a sproposito, mentre in Italia si discute di stepchild adoption e del disegno di legge unioni civili, è stato diffuso un appello sul cosiddetto "utero in affitto", seminando confusione nella mente delle persone. Sia chiara una cosa: in Italia non si sta discutendo di legalizzare in alcun modo la surrogazione di maternità, cioè di permettere ad una donna di portare a termine una gravidanza per conto di un'altra coppia, donatrice dell'embrione.
«Noi rifiutiamo di considerare la "maternità surrogata" un atto di libertà o di amore. In Italia è vietata, ma (...) "committenti" italiani possono trovare in altri Paesi una donna che "porti" un figlio per loro. Non possiamo accettare, solo perché la tecnica lo rende possibile, e in nome di presunti diritti individuali, che le donne tornino a essere oggetti a disposizione». In questi termini si esprime il collettivo per i diritti delle donne Se non ora quando, invitando le istituzioni europee a scartare la possibilità della gestazione per altri.
Un po' di chiarezza, quando si parla di "libertà"
Dopo queste parole, sono piovute le critiche: «Fanno le femministe con l'utero delle altre,» tuona una donna, «per l'aborto l'utero è il loro, ma per la surrogacy devono decidere per le altre?», dichiara un'altra attivista LGBT sui social media. L'esito di una scelta non è di per sé è un atto di libertà. È il fatto di avere una reale possibilità di scelta a costituire una libertà legittima.
Se da una parte, parlare indiscriminatamente di "atto d'amore" sa di buonismo e semplifica la questione della gestazione surrogata; anche una condanna in tutto e per tutto non appare molto sensata. Sono altrettanto valide le ragioni delle coppie gay ed eterosessuali – non dimentichiamolo, – sia quelle delle femministe che si preoccupano della mercificazione del corpo della donna.
Oggettivamente, questo rischio è una triste realtà in molti Paesi, soprattutto in quelli in via di sviluppo. Il Centro per la riproduzione umana in Ucraina propone un nascituro per 9.900 euro; la clinica di lusso moscovita Sweetchild parte dal prezzo di 35 mila euro; in Nepal le cliniche per la maternità surrogata spuntano come funghi, rivela El Pais. Spermatozoi e ovuli provengono da bianchi caucasici; le gestanti, invece, sono autoctone. Tutto ciò esiste ed è vergognoso. Ma la surrogacy non si limita a queste "fabbriche" di neonati.
Anzi, occorre capire che è proprio l'assenza di leggi nazionali in materia a spingere molte coppie all'estero e al ricorso di metodi "avvilenti". Per dirla con le parole della sociologa (e femminista) Irène Théry su Libération: «È esattamente come se si paragonasse l’adozione internazionale etica, secondo le norme, al più abietto traffico di neonati».
La maternità surrogata etica
Non tutte le femministe sono contrarie alla gestazione per altri. Irène Théry, che si è occupata dello storico rapporto sulla famiglia Filiation, origines, parentalité (Filiazione origini, genitorialità, n.d.r.) ha detto che «per alcuni/e il fatto di voler portare in grembo il bambino di un altro/a sembra un gesto impossibile, inconcepibile,» ma gli studi su queste gestazioni sono accessibili ed è possibile informarsi.
Inoltre, Théry individua nelle cause di questo rifiuto un gap generazionale, più che ideologico o politico: «Molti over-60 (non ho nulla contro di loro, ne faccio parte) sembrano vedere questo come la fine del mondo umano». Un analogo divario esiste anche fra le diverse ondate del femminismo. Per esempio, ad opporsi alla surrogacy in Francia (dove si è molto discusso, ma nulla di concreto è stato messo in atto) sono personalità come Sylviane Agacinski, femminista contraria anche al matrimonio omosessuale.
La filosofa francese Elisabeth Badinter, invece, si dice favorevole ad una "maternità surrogata etica", secondo il modello britannico. Nel 1985 il Regno Unito è stato il primo Paese in Europa occidentale a legiferare in materia (ad oggi la surrogacy è autorizzata in Belgio, Paesi Bassi, Romania, Polonia, Slovacchia e Irlanda). In Gran Bretagna, ad accedere alla maternità surrogata sono solo le coppie (omosessuali o etero) che per motivi biologici, psicologici o di salute, non possono portare a termine una gravidanza. Le donne portatrici sono volontarie non pagate e il rimborso massimo per le spese mediche durante la gravidanza è di 10 mila euro. Per essere portatrici le condizioni sono rigide: godere di buona salute e di una stabile situazione economica (per evitare qualsiasi rischio di mercificazione, appunto), oltre ad essere seguite da uno psicologo.
In Gran Bretagna, la gestante non può, per nessun motivo, portare a termine più di una gravidanza per altri nella propria vita, né essere donatrice. Sono le donne portatrici, per di più, a scegliere la coppia, e non il contrario. Tutte queste misure facilitano il processo di filiazione, non incidendo né psicologicamente né economicamente sulla scelta della gestatrice.
La necessità di un dibattito serio
Far parlare volti noti ma disinformati – cito la regista Cristina Comencini: «Una madre non è un forno», – non fa altro che mettere in risalto la totale confusione della popolazione italiana, firmatari dell'appello inclusi. Adottare la politica dello struzzo di fronte alla maternità surrogata, corrisponde indirettamente a favorire lo sfruttamento di quelle donne dei Paesi in via di sviluppo, in certi casi, sì, realmente costrette a "sfornare" figli.
Oppure si vuole essere femministe solo per alcune donne, abbastanza "bianche" da non dover portare in grembo i figli altrui? Se è legittima la libertà di scegliere con coscienza di causa, perché proibire a chi lo desidera di essere la portatrice del figlio di un'altra coppia, all'interno di un rigido quadro legale? Perché partire dal presupposto che chi lo sceglierebbe "non capisce", o non sia legittimata ad aver voce in capitolo?
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