De Bello Latino: guerra sul fronte delle lingue morte
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Roberto Reale"Gallia est omnis divisa in partes tres" scriveva Giulio Cesare nel De Bello Gallico, ma in quante parti si divide l'Europa a proposito dell'insegnamento delle lingue classiche? Può servire la conoscenza del latino, e a chi? E può essere la panacea per i mali della gioventù?
Il primo libro degno di questo nome che io abbia mai letto, prendendolo in prestito dalla libreria dei genitori, è la Mitologia di Jan Parandowski. I ricordi di ogni precedente lettura impallidiscono al confronto di ciò che ho provato. In quell'occasione infatti scoprii per la prima volta che un ottimo rimedio per l'emicrania è la frattura (volontaria) del cranio (dal quale spunta poi vostra figlia), e che il modo migliore per sbarazzarsi del proprio nipote nonché erede al trono è inviarlo alla ricerca del dorato vello di un ariete dal passato complicato. Fu una rivelazione. E, così su due piedi, decisi che la Mitologia era il miglior libro del mondo, e che valeva la pena di imparare le lingue classiche.
Da allora un po' son cresciuta, la vita ha seguito il suo corso, e mi resi anche conto che forse era meglio dedicarmi allo studio delle lingue attraverso le quali comunicare con dei viventi. Nonostante ciò, mi accostai con grande piacere allo studio del latino al liceo e all'università. Non sono mai diventata una latinista (il mio sogno segreto nel cassetto), ma il latino non mi ha mai delusa: economico, razionale, poetico allo stesso tempo. Ogni parola ha un senso, ogni parola è necessaria.
Sempre con interesse ho seguito poi i ciclici tentativi di riportare in auge lo studio del latino nel mio paese, la Polonia. A questo proposito, è di qualche mese fa una lettera aperta indirizzata al Ministro della Pubblica Istruzione, scritta proprio con l'intenzione di rinverdire l'insegnamento del latino nelle scuole polacche. E io stessa, con il mio amore appassionato (pur se incompiuto) per questa lingua, non ho potuto fare a meno di chiedermi: ha davvero un senso tutto ciò?
Sistematicità e metodo
Diamo un'occhiata ad una carta d'Europa. In Belgio, Francia e Gran Bretagna lo studio del latino e del greco non è obbligatorio, benché esso faccia capolino di tanto in tanto in licei e università. Più tempo dedicano allo studio del latino Germania e Austria, dove gli studenti liceali sono tenuti a scegliere tra francese e latino come seconda lingua straniera (la prima è l'inglese). I più devoti agli studi classici sono, ovviamente, Grecia e Italia. In Italia il latino è insegnato nei licei, scientifico e classico. In quest'ultimo è obbligatorio anche l'insegnamento del greco antico. Un po' sorprendente è l'impostazione dei Paesi Bassi: i fondamenti di latino e di greco, includenti addirittura una "formazione continua" su almeno una di queste lingue, sono presenti in tutte le scuole secondarie. In quasi tutti i paesi europei, d'altra parte, le basi del latino sono richieste per l'accesso ad alcuni percorsi di studi, quali medicina, legge e lettere.
Sin qui in termini dei programmi ufficiali. Ma cosa ne pensano gli studenti?
L'atteggiamento è piuttosto positivo. Interrogati sulla questione, i giovani europei apprezzano in generale l'insegnamento delle lingue classiche, in particolare del latino, specialmente perché facilita l'assimilazione delle lingue moderne (soprattutto di quelle romanze). Si ripete anche spesso la classica argomentazione circa l'utilità del latino nelle professioni mediche e legali. Qualcuno accenna anche allo studio del pensiero logico-razionale.
Ma sinceramente è difficile trovare in queste risposte gli elogi idealizzati che genitori ed educatori preoccupati tributano all'educazione classica, convinti come sono che il latino non debba insegnare solo la grammatica, ma addirittura il vivere in armonia con l'ideale apollineo. Seguo, su uno dei più grandi forum per traduttori e linguisti in Polonia, una discussione sul ripristino dell'obbligatorietà dello studio del latino. Un tema che, nemmeno a dirlo, in questo ambiente suscita sempre discussioni vivaci. Uno dei commenti più popolari suona così: «Sarebbe una cosa buona per questi lazzaroni. Oltre alla lingua imparerebbero a faticare con metodo».
Chiamasi, in altre parole, "conflitto generazionale".
Latino per la Generazione Y
Non è un caso che la lettera aperta sopra citata sia stata inviata in occasione della discussione sulla nuova riforma dell'istruzione da parte dell'Istituto Lech Kaczyński. La fondazione, che si occupa di "diffusione e tutela della libertà e dei diritti umani", raggruppa alcune comunità vicine al partito attualmente al potere, noto per le sue posizioni conservatrici. Le lingue classiche, come la religione, l'etica, l'educazione patriottica e la storia, diventano un'arma – inoffensiva a prima vista, ma dalla forte connotazione simbolica – della lotta ideologica e politica. Lingue e culture antiche cessano di essere un campo indipendente e legittimo dello scibile: in questo conflitto di idee, esse contano ormai solo in quanto simbolo di una educazione classica, e dei valori tradizionali (nonché molto superficiali) ad essa associati.
Da un lato, gli ambienti conservatori dichiarano fedeltà alle lingue classiche. Dall'altro, però, essi non esitano a snaturarne il significato, in ossequio ai propri programmi ideologici. Il focus non è sulla sull'insegnamento della lingua, della storia e della cultura latina, ma sulla "rivitalizzazione spirituale e intellettuale", che ne sarebbe quantomeno teoricamente il fine. Il latino diventa uno strumento di punizione, come la bacchetta che si usava con gli alunni svogliati. Difatti è stato pubblicizzato un po' come la cura per tutti i mali: dalle difficoltà di memoria alla dislessia, passando per una "salute" generale di corpo e spirito. Un po' com se i "lazzaroni" vedendo una tabella della prima declinazione, smettessero immediatamente di fumare erba e di lamentarsi per la situazione del mercato del lavoro.
Dettaglio che forse indica che ci siamo dimenticati di quando le scuole dovevano insegnare cosa pensare anziché come pensare.
Coca Cola, laser, latino
Il latino piace ai giovani, quindi? Sì, nella misura in cui può aiutarli in futuro, e coadiuvare lo sviluppo di competenze "pragmatiche". E, in verità, la cosa non deve sorprendere. Un buon esempio di questa tendenza è l'Italia: benché il paese abbia una onorata e consolidata tradizione di studio del latino, molti non esitano ad argomentare che in una situazione difficile sul mercato del lavoro i giovani non possano più permettersi il lusso di continuare a studiarlo, specialmente se questo significa rinunciare a colmare vistose lacune nella conoscenza delle lingue straniere moderne.
È difficile resistere all'idea che una parte del problema sia lo stigma che bolla il latino (e gli studi umanistici in generale) come inutile. «Non studiamo il latino perché è latino, ma per la sua dignità e il suo significato» tuonava il mio insegnante al liceo. «Il declino del latino è strettamente legato al declino degli studi umanistici, che senza latino e greco non esistono. Queste lingue ci permettono di vedere delle cose della nostra cultura che altrimenti sarebbero invisibili. Si apre una dimensione extra». Tuttavia vale la pena costringere ad avventurarsi in dimensioni extra anche chi preferisce tenere i piedi ben saldi per terra? Dove sta la frontiera tra sensibilizzare e costringere la gente a diventare degli intellettuali?
Ho sempre desiderato imparare il latino. Però non ho mai voluto che esso fosse la sola mia scuola di vita. Sarei sorpresa se qualcuno credesse che basti un'ora (o anche cinque) alla settimana per formare una persona.
È un tantino più complicato di così.
Translated from O wojnie łacińskiej