Dare corpo a una moderna catarsi: intervista a Ledwina Costantini
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Poco prima dell'inizio dell'edizione 2015 di AltoFest ebbi l'occasione di intrattenere una piacevole chiacchierata con Ledwina Costantini, vincitrice del premio Operappartamento e in procinto di allestire lo spettacolo Koszeg presso la splendida dimora di Floriana Fiorellino, in via Pedamentina. Quest'intervista è il frutto di quel pomeriggio trascorso alla Pedamentina.
La salita della Pedamentina è un insieme di discese gradinate che, dall'area limitrofa alla Certosa di San Martino, conduce fino al centro di Napoli. Si tratta di uno dei numerosi sistemi di scale che congiungono vari quartieri della città che si sono sviluppate a partire dal quattordicesimo secolo: unica via d'accesso al Castel Sant'Elmo, la Pedamentina è stata usata nel corso della storia anche per fini bellici; oggi rappresenta uno dei patrimoni storico-urbanistici, nonché paesaggistici, della città.
A pochi passi dai piedi del castello si trova la casa di Floriana Fiorellino: è lì che, ospite della donatrice, ho avuto modo di incontrare Ledwina Costantini. L'artista elvetica era al lavoro sul suo spettacolo Köszeg, che ha presentato per la prima volta durante Alto Fest, utilizzando uno degli spazi più peculiari della casa: una cantina, scavata nel tufo della collina del Vomero.
CaféBabel Napoli: Eri mai stata a Napoli prima di esser invitata per Alto Fest?
Ledwina Costantini: Sì, ricordo vividamente la mia prima visita a Napoli: l’impatto con la città fu scioccante ed acuito dalle differenze tra Sessa, il paesino in cui vivo, ed i popolosi Quartieri Spagnoli, dove alloggiavo da un amico.
CBN: Come hai reagito quando ti hanno informato che saresti tornata?
LC: Quando ho saputo che la mia domanda per Alto Fest 2014 era stata accettata, il primo pensiero è stato: «Speriamo che sopravviva a quella città!». Non amo particolarmente le grandi città. Una preoccupazione che è stata smentita quando ho avuto modo di approfondire la conoscenza coi napoletani.
CBN: Non ti aspettavi di esser chiamata per partecipare?
LC: Ho partecipato al bando di concorso grazie alla segnalazione di Elisabetta Di Terlizzi che aveva vinto con il suo gruppo Progetto Brockenhaus l’edizione 2013 di Alto Fest. Ho riempito i formulari di Alto Fest in maniera molto spontanea, liberamente, lasciando spazio più alla creatività che alla precisione burocratica, allegando addirittura alcune foto davvero surreali. È stata una bella sorpresa, alla fine, apprendere d’essere stata selezionata!
CBN: Cosa ne pensi delle Operappartamento e del meccanismo d’accoglienza di Alto Fest?
LC: Non credo sia semplice ospitare per diverse settimane un artista che lavori nella propria casa, a contatto con il luogo ma soprattutto con le persone che ci abitano. Un progetto simile richiede impegno, generosità, apertura mentale e molta fiducia. Ho scoperto che il progetto funziona, e anche bene: che c’è gente che crede fermamente nell’idea proposta da AltoFest e che si impegna attivamente alla sua realizzazione, come per esempio Floriana Fiorellino, che oltre che ad ospitarmi per più di tre settimane, ha partecipato attivamente alla creazione della mia performance rendendosi costantemente disponibile per la risoluzione di problemi concreti, pratici e anche concettuali. Questo è stato, per me, fondamentale! Questa è la Napoli che ho conosciuto!
CBN: Floriana è una delle donatrici di spazi di AltoFest 2015 e, ringraziandoti per la tua ospitalità, vorremmo sentire cosa ne pensi di questa organizzazione.
Floriana: Lo studio di Ledwina Vanity - I hate this job ha colpito davvero tutti noi. Quando ho deciso di donare il mio appartamento ero piuttosto indecisa sulle possibilità di convivere, data la complessità di interazioni anche umane che la riscrittura del proprio spazio quotidiano mette in campo. Quando ho saputo che avrei ospitato proprio Ledwina, però, non ho avuto più remore; la sua sensibilità artistica mi aveva già conquistata e ho vissuto come un autentico privilegio prendere parte alla sua Opera mettendo a disposizione casa mia.
CBN: Da napoletana, quali ritieni siano gli aspetti peculiari di AltoFest ed in che modo l’opera di Ledwina possa racchiuderli e narrarli?
Floriana: Credo che un aspetto peculiare del lavoro di Ledwina e dell’intero AltoFest sia quello di proporre un’identità artistica autonoma e definita in un contesto fossilizzato ed eccessivamente autoreferenziale. Inoltre, Ledwina ha una formazione teatrale compiuta e trasversale, la capacità di attingere e mettere insieme linguaggi diversi, provenienti da culture teatrali autorevoli, risponde in pieno all’intento di Altofest di estendere l’offerta culturale alla scena internazionale complessivamente considerata.
CBN: Ledwina, in che modo Köszeg si differenzia da Vanity - I hate this job?
LC: L’aspetto visuale di Vanity - I hate this job era davvero disorientante e straniante. Quest’anno non so: potrebbe rivelarsi qualcosa di ugualmente forte, ma avrà certamente un taglio meno onirico.
CBN: Perché hai scelto di rifarti alla Trilogia della città di K. di Ágota Kristóf, raccolta dei primi romanzi della scrittrice ungherese Ágota Kristóf, pubblicati nei primi anni '90 in Francia e attualmente editi in Italia da Einaudi?
LC: La Trilogia della città di K. mi ha folgorato, specialmente Il grande quaderno: in esso si racconta di come i due gemelli Lukas e Klaus siano affidati dalla madre alle cure della nonna, nella speranza di risparmiare loro i disagi della guerra. I due crescono tra l'odio della nonna, gli stenti, la fatica e gli esercizi cui si sottopongono per rendersi immuni alla sofferenza fisica e spirituale. In particolare mi ha colpito l’etica di vita dei due fratelli, troppo adulta e feroce per due ragazzini. Dal racconto, principalmente duro, traspare anche il grande amore che i due provano l’uno per l’altro. Si tratta di una storia nera, dove tutto è reso feroce ed essenziale da una scrittura limpida e asciutta che non lascia spazio alle divagazioni. Un narrare dove tutto può essere il contrario di tutto.
CBN: Come hai deciso di avvicinarti al testo? Resterai fedele ad esso?
LC: Per questi primi due studi di Kőszeg ho deciso di allontanarmi dal testo. Il motivo di questa scelta è legato al contesto nel quale solitamente creo e vado in scena, la Svizzera italiana. È un territorio molto piccolo e il bacino degli spettatori è ristretto e fedele alla compagnia, è dunque mia premura, per ogni creazione, avviare nuove ricerche, indagare nuovi linguaggi artistici per mantenere vivo l’interesse nel mio lavoro e il dialogo con il pubblico. Gli ultimi due spettacoli che ho proposto in Ticino, Carneficine e Vanity - I hate this job, sono due opere dal forte impatto visivo ed emotivo a tratti estremamente violente. Per il testo della Kristóf volevo evitare una ripetizione estetica, mi sono concentrata più sull’aspetto ludico dei due fratelli piuttosto che sugli aspetti truci del testo. Inoltre, ritengo che il primo volume della trilogia sia un capolavoro e non cercherò di replicarlo parimenti. Piuttosto vorrei distaccarmene per presentarne la mia rielaborazione, la mia visione. Infine c’è un altro aspetto da considerare: inizialmente avevo cominciato a lavorare a questo spettacolo con due fratelli entrambi artisti della Svizzera italiana, Daniele e Giona Bernardi. Purtroppo Giona, inaspettatamente, è venuto a mancare di recente. Era un artista estremamente interessante che ha recentemente esposto al Museo del Novecento a Milano. La sua arte, la sua creatività hanno influenzato e permeato il progetto sin dall’inizio. Senza di lui lo spettacolo sarà sicuramente diverso: questo lutto non può non influenzare il nostro processo di sviluppo creativo.
Floriana: Vorrei aggiungere un altro aspetto che ha influenzato lo sviluppo creativo e che forse Ledwina non avverte: un lavoro come l’Operappartamento pone una serie di difficoltà ulteriori all’artista, come il fatto di dar vita ad un processo creativo in piena solitudine e in un ambiente ignoto o la scelta della location che costituisce sia un problema che un elemento di mediazione e visione narrativa. Il dato sorprendente è che, superato il primo impatto straniante, Ledwina si è perfettamente inserita nello spazio circostante, ha saputo interpretare le difficoltà come un’opportunità, rifiutando addirittura facilitazioni, anche sceniche, di cui avrebbe potuto approfittare.
CBN: A che punto sei della realizzazione dello spettacolo?
LC: Sto cercando di dare corpo alle immagini e alle idee avute riguardo al testo della Kristóf. Ho dunque cominciato a occupare, conquistare la cantina-grotta di Floriana, un luogo veramente suggestivo. Sto spostando le cose: assi, mattoni, legni, fiasche di vino, sporcandomi con la terra, prendendo freddo, facendo fatica. Credo che un artista debba sporcarsi le mani, debba far fatica; debba fare di tutto per esplorare la sua visione, la sua opera. Solo così il risultato risulterà, a mio avviso, autentico, onesto. Non credo molto al delegare i lavori legati al processo creativo. L’artista deve assumersi quanto più possibile il lavoro. Questo è complesso e porta spesso a sentimenti contrastanti. Io provo sempre timore e amore verso ciò che ho già creato e verso ciò che sto creando.
CBN: Come mai avverti un ‘timore’ nella creazione dello spettacolo? Sapresti dire da cosa possa essere suscitato?
LC: Sono un’artista prettamente ‘visiva’. Alcuni cominciano a creare a partire da un testo, da un suono, da dei numeri o da ritmi: io invece parto dalle immagini, da una serie di visioni che ho. Questa caratteristica suscita in me grande tormento nel momento in cui devo realizzare ciò che ho immaginato. Temo di non essere all’altezza delle mie visioni, e temo di non riuscire a dare loro il corpo e la forza che necessitano per toccare-trapassare lo spettatore e me stessa. Vivo in un costante stato di eccitazione e angoscia; eccitazione per le visioni che affollano il mio immaginario, angoscia per la paura di non riuscire a incarnarle.
CBN: Come cerchi di superare questa paura?
LC: Tento di posticipare il più possibile il momento in cui devo andare in sala, in questo caso nella grotta, e mettermi a lavorare. Ma non funziona a lungo e prima o poi devo affrontare il lavoro! Dunque comincio a provare le scene come le ho immaginate, spesso mi pare non siano buone, mi pare non vadano bene. Mi demoralizzo. Allora tendo a dar vita a nuove immagini. Tuttavia mi costringo ad approfondire l’idea, la visione originaria. Dopo vari tentativi, aggiustamenti, correzioni, delusioni, arrabbiature, esaltazioni e prove, arrivo alla forma più affine alla mia visione. A questo punto però il mio sentimento verso la scena che ho composto e l’immagine originaria non c’è più, l’eccitazione è scomparsa, soffocata dai tecnicismi del mestiere e dalle ripetizioni. Allora deve subentrare nuovamente e maggiormente il lavoro dell’attore per recuperare e incarnare il sentimento originario. Solo così arrivo allo spettatore.
CBN: Qual è lo ‘scopo’ del tuo percorso teatrale, il punto comune delle tue opere?
LC: Nella vita ci sono delle cose che mi colpiscono, m’incantano, mi terrorizzano, mi lasciano senza fiato, senza speranza, mi fanno ridere; col mio lavoro tento di parlare di queste cose nel modo più onesto e autentico possibile. Le mie creazioni sono in bilico tra l’innovativo e l’arcaico; sono opere che vogliono dare corpo a una moderna e destabilizzante catarsi, opere che mettono in discussione ogni tipo di classificazione e di pregiudizio trascendendo i generi estetici, sessuali e intellettuali. Questo è quello che faccio.
Il trailer di Vanity - I hate this job pubblicato su Vimeo
La carriera di Ledwina fino ad oggi: a diciassette anni si unisce alla compagnia teatrale Teatro delle Radici al seguito della regista Cristina Castrillo. Successivamente studia anche come costumista e scenografa nel Regno Unito ed in Svizzera, per poi trascorrere nove mesi in Cina per studiare il teatro tradizionale del paese. Tornata in Europa, nel 2008 fonda il suo gruppo Opera retablO, presente anche su Facebook. È stata selezionata dall’osservatorio critico di AltoFest vincendo il primo premio Operappartamento 2015 per Vanity - I hate this job.