Dal Freelance all'industria: i trucchi del make up
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Viaggio nel mondo del make-up e dei cosmetici, tra freelance e grandi marchi come l'Oréal. Vi raccontiamo, attraverso i numeri e i protagonisti, un mercato in crescita (non solo tra le donne) che non conosce crisi e in grado persino di "truccare" la realtà.
Nell’epoca della crisi economica onnipresente, il mercato cosmetico e del make-up è uno dei pochi a contrapporsi a un declino che per gli altri sembra ineluttabile. Sul web, le varie tesi del “mens sana in corpore sano”, “è importante sentirsi bene con se stessi” spopolano e donano una giustificazione romantica di questa resistenza anti-ciclica. Ma il mondo cosmetico è veramente a prova di crisi? Non si può negare che da Cleopatra in poi, le donne non hanno più fatto a meno del trucco e gli uomini non hanno mai smesso di apprezzarlo. In realtà, secondo uno studio del 2010, sembra che quest’ultimi stiano addirittura recuperando il gap: il 30% delle vendite del settore si devono proprio agli uomini. Insomma, donna o uomo che sia, creme, fondotinta, ombretto, mascara e rossetto sembrano essere la droga leggera del mondo d’oggi. E la sua produzione e distribuzione comprende un’enorme filiera di soggetti, dalle multinazionali, alle aziende di famiglia, passando per botteghe e artisti.
Look good, Feel better
"Nessuno vuole privarsi di un tocco di bellezza ogni tanto", afferma Charles Gillman, 27, mentre la scia di un aereo taglia in due il cielo sopra alle nostre teste, più in alto della torre Eiffel. È dicembre e al Trocadero di Parigi fa freddo. Una modella indossa soltanto un vestito di seta rosso a coprire un corpo magro, quasi scarno. Charles regge in mano uno specchio che riflette la luce del sole - ancora basso all’orizzonte - sul volto della ragazza. Lui è un make-up artist. Già, perché prima di essere un professionista, “si sente un artista”. Ha studiato a Norwich, prima di trasferirsi a Londra e poi a Parigi, dove ormai lavora come freelance da 4 anni. “Ma quale glamour … Una volta ho dovuto assistere a una sessione fotografica in una cella frigorifera di un ristorante kebab. L’odore della carne era … beh, puoi immaginarlo!”, racconta, quando insinuo che il mondo della moda sia una goduria.
Che Charles svolga un lavoro particolare lo possono intuire tutti; quanto sia bizzarro lo sa soltanto lui: una volta, per un capriccio di un fotografo, è dovuto salire sul tetto di un palazzo di dieci piani nel 5° arrondissment di Parigi, senza misure di sicurezza. Mentre camminiamo si trascina dietro una piccola valigia trolley quadrata. Dentro c’è 'l’arsenale' del make-up artist: “6000 euro di ‘materiale’ ", afferma. Poi ci sono tutte le spese di self marketing: un nome e un’identità da gestire, i contatti e la clientela, il sito internet. Ma non si lamenta troppo: è contento del suo lavoro, con il quale riesce a pagarsi una vita nella capitale della moda europea. Dalle indossatrici, alle coppie di sposi, passando per la gente comune: non c’è una regola precisa per identificare la sua clientela. A maggior ragione, se si pensa che ha anche lavorato per Look good, feel better, una ong che assiste persone sotto chemioterapia. Tramite il make-up, queste persone vivono meglio la loro degenza. “Può sembrare assurdo, ma è lì che ho capito che il mio lavoro è più di un’arte. Se il make-up non può salvarti la vita, sicuramente, in certi momenti, può renderla meno dura”, confessa.
Charles è una ruota nell'ingranaggio del mondo cosmetico. Per essere un freelance guadagna bene, soprattutto se si paragona agli autonomi di altri settori. Ma la carriera di Charles è un segnale dello stato di salute di questo mercato? Di sicuro, l'esperienza che ha avuto in un paio di grandi aziende del settore lo ha aiutato a pianificare il suo business privato e affinare le sue capacità "manageriali e di marketing", che secondo lui sono fondamentali.
crescita a base di export
L’Oréal è il leader mondiale nella cosmetica e impiega più di 50mila persone nel mondo (per dare un’idea della dimensione di questa multinazionale, basta pensare che l’intera filiera della cosmetica italiana conta 15mila impiegati). David, 32 anni, è una di queste. Viene da Ancona ed è diventato un “lorealiano” - così chiama se stesso e i suoi colleghi - 7 anni fa. Dopo aver lavorato a Torino come controller finanziario (analisi entrate uscite e aspetti finanziari dell’azienda) si è trasferito a Parigi. Mi spiega che l'azienda si compone di 4 grandi divisioni - pubblico (supermercati, nda.), cosmetico, farmacologicao e lusso (profumi, nda.). Secondo lui, sono proprio “i settori cosmetico e farmacologico a resistere meglio alla crisi”. Avendo sottomano i dati relativi ai singoli Stati europei, afferma però che, per quanto riguarda L’Oréal, “in Europa la crescita delle vendite nei Paesi del nord compensa il calo del sud". Inoltre, la crescita di questo gigante deriva soprattutto dalle acquisizioni di altri brand: sotto l’ombrello L’Oréal si nascondono tutti i profumi Armani, Diesel e Ralph Lauren (per citarne soltanto alcuni). Quanto dell'aumento del fatturato di queste aziende rispecchia dunque una crescita economica basata sulla spesa dei cittadini? Allo stato attuale, per quanto riguarda i Paesi del sud Europa, la risposta è chiara: non molto.
Se si lascia la lente di osservazione della multinazionale per analizzare il complesso dell’industria cosmetica italiana, per esempio, si scopre che la relativa resistenza di quest'ultima alla crisi dipende soprattutto dalla crescita dell’export (+12% nel 2013). Dove vanno i nostri prodotti? Secondo David, “nonostante il Vecchio Continente rimanga il più grande e solido mercato cosmetico al mondo, l’America del sud e l’Asia stanno vivendo un boom pazzesco”.
Insomma che il make-up si venda ancora bene è chiaro. Chi sia a usarlo, un po’ meno. Dietro ai numeri positivi di questa industria ci sono un’infinità di sfaccettature. In Italia, il settore resiste, ma soffre il calo di potere d’acquisto dei cittadini e, almeno in questo caso, non c'è trucco che regga.