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Da Berlino a Duisburg: storie di rifugiati in Germania ai tempi del COVID19

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Default profile picture Federica C

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Il 9 settembre 2020, il campo profughi di Moria, sull’isola di Lesbo, in Grecia, prende fuoco, e circa 13mila persone devono lasciare la zona. La Germania annuncia l’accoglienza di 1500 persone sul suo suolo. Non è la prima volta che il governo tedesco accoglie profughi nel contesto della politica migratoria europea. Nel settembre 2015, Angela Merkel apriva le frontiere tedesche ai rifugiati con il suo famoso "Wir schaffen das" ("Ce la faremo", tdt.). Ma dietro ai dati e al termine "rifugiato", si nascondono storie di vita, come quelle di Khalid, Nadil e Sumou.

L’appartamento di Khalid odora di rosa. Letteralmente. In un piccolo magazzino, sono conservate dozzine di bombe da bagno alla rosa, geranio e cannabis (CBD) che questo ragazzo castano dal look sportivo confeziona da solo. Sul tavolo della cucina emerge una stampante 3D, grazie alla quale produce gli stampi delle bombe. Nel bagno, si serve della vasca per testare le sue creazioni. A 28 anni, Khalid ha appena lanciato il suo marchio, HMP. La sua bomba da bagno è già in vendita in numerosi negozi locali e conta sul grigiore invernale per un aumento delle vendite. Un appartamento situato a Prenzlauer Berg, uno dei quartieri altolocati di Berlino e una start-up sulla via del successo: qualche anno fa, Khalid non avrebbe mai immaginato di poter avere tutto questo.

Khalid
Le bombe da bagno di Khalid © Lucile Gagniere

Il giovane siriano è arrivato a Berlino sei anni fa, nel 2014, fuggendo dal regime di Bashar al-Assad poiché si era rifiutato, tra l’altro, di svolgere il servizio militare. Dopo essersi rifugiato due volte in Libano, e a Dubai mentre portava a termine i suoi studi in ingegneria informatica, Khalid è stato reclutato, a distanza, per un lavoro in Germania grazie alle sue competenze. «Sono stato il primo ingegnere assunto dall’impresa Retention Grid», precisa con fierezza. Mentre Khalid cercava un lavoro in Germania dal Libano, centinaia di migliaia di siriani attraversavano le frontiere per raggiungere il Vecchio continente, scappando anche loro dalla guerra.

Dal 2014 al 2019, l’Ufficio federale della migrazione e dei rifugiati (BAMF) ha rilevato circa 2 milioni di richieste di asilo, con un picco di 745.544 domande nel 2016. Ma questa dinamica ha avuto origine in precedenza. Infatti, è dal 2012 che si è iniziato a osservare un aumento delle richieste. Il numero delle domande d’asilo si è di nuovo considerevolmente abbassato in seguito (165.938 nel 2019). Facendo un confronto, l’Ofpra (Ufficio francese di protezione dei rifugiati e degli apolidi) ha registrato 85.244 richieste nel 2016 e 132.826 nel 2019. In ogni caso, la Francia e la Germania sono gli stati membri dell’Ue che hanno accolto il maggior numero di rifugiati nel 2019. In tutta l’Unione europea, ci sono state 676.250 richieste in questo anno, un numero minore rispetto alle domande presentate in Germania nel 2016.

Il salto nel vuoto

Tra i richiedenti asilo in Germania, la maggior parte proviene dalla Siria. Di solito, sono persone che fuggono dalle atrocità commesse dal regime di Bashar al-Assad e dalla guerra. Ma questi dati non prendono in considerazione la totalità di persone esiliate nel paese. Moltie di queste sono potute venire grazie a un visto per il lavoro o a un titolo di raggruppamento familiare. È il caso di Khalid, appunto, che si definisce fortunato per non aver dovuto attraversare la "fase della domanda d'asilo".

Detto ciò, venire in Germania non è stato affatto facile nemmeno per lui. «È andato tutto bene, a parte il mio permesso di soggiorno», racconta Khalid. «Ho dovuto vivere un’esperienza umiliante presso l’ambasciata tedesca in Libano: sono arrivato in orario all’appuntamento, ma mi hanno fatto aspettare sette ore in una sala affollata». Dopo essere arrivato in Libano, Khalid ha dovuto iniziare a lavorare perché l'elaborazione del suo permesso di soggiorno ha richiesto del tempo.

Ad ogni modo, è riuscito poi a raggiungere suo fratello che lavorava già a Berlino. Poi, grazie all’aiuto del capo di quest’ultimo per le procedure amministrative, tutta la famiglia di Khalid si è trasferita nella Capitale. Ma i due fratelli si sono dovuti prendere a carico la totalità delle spese dalla famiglia per tre anni, fino a quando la richiesta d’asilo dei loro genitori non è stata qualificata positivamente.

Verso la start-up

Nel corso di questi tre anni difficili, Khalid è riuscito a mettere da parte un po’ di denaro grazie al posto da ingegnere informatico, con l’obiettivo di lanciarsi nell’imprenditoria. E nel giugno 2019 ha deciso di licenziarsi. «Non volevo lavorare come ingegnere a tempo pieno per tutta la mia vita», confessa.

Tutt'ora, l’agenzia per il lavoro non sembra essere particolarmente entusiasta del suo progetto: «Mi trattano continuamente come un lavoratore temporaneo, niente di ciò che dico è preso sul serio. Per esempio, mi è stato detto che dovrei ritrovare un lavoro piuttosto che provare a lanciare una start-up. Mi hanno anche chiesto perché avessi lasciato il mio lavoro invece di fare in modo che il mio capo mi licenziasse. Ma io ho una dignità!».

Se il ragazzo tiene duro, è perché sente che il suo progetto corrisponde ad un vero e proprio bisogno: «Numerosi prodotti a base di CBD hanno preso d’assalto il mercato, ma molti sono di qualità mediocre», si rammarica. «Tuttavia, gli effetti del CBD sulla pelle sono davvero interessanti».

«La libertà che si da per scontata è praticamente inesistente in Siria»

In effetti, Khalid non avrebbe potuto sognare una città migliore di Berlino per realizzare il suo progetto. «Il paese è leader nel campo della tecnologia e della cultura. Ho l’impressione che il mio contributo sia molto apprezzato». «È molto piacevole vivere in una società aperta, democratica, che rispetta i diritti delle donne. La libertà che consideriamo scontata è praticamente inesistente in Siria». Khalid considera ormai Berlino la sua vera e propria casa. Ma, sottolinea che ha«lavorato duro per arrivarci». E si impegna tutt'oggi, perché nonostante si sia integrato perfettamente nel paese che lo ha accolto, non ha ancora la nazionalità tedesca. «Non ho diritto a votare mentre pago le tasse da più di cinque anni. Mi sembra ingiusto perché nonostante contribuisca al sistema, la mia opinione non conta». È per questo che, l’anno prossimo, prevede di superare gli esami necessari all’ottenimento della nazionalità.

Al momento, però, Khalid deve rinnovare il suo passaporto siriano ogni due anni poiché vale solo per questo breve periodo di tempo - rappresenta un costo di 800 euro ogni volta. Il governo tedesco «è consapevole che Assad fa uso di armi chimiche e tortura le persone». Anche per questo Khalid vorrebbe che le autorità tedesche lo aiutassero ad accedere alla nazionalità più facilmente, o almeno lo autorizzareo a non dover rinnovare il passaporto. Nel frattempo, continua a fabbricare bombe da bagno. E da poco, ha anche attivato il sito web, in inglese e tedesco ovviamente!

Nidal & Sumou

A primo impatto, Nidal, Sumou e il loro figlio Hussein sembrano una famiglia come le altre: mentre uno dei due parla, l’altro si occupa del piccolo. Se Nidal ha la barbetta e Sumou i capelli un po’ arruffati, entrambi sfoggiano occhiaie e un sorriso da giovani genitori. Lui è un ricercatore, lei un ingegnere e il loro figlio di un anno è entrato alla Kita (l’equivalente tedesco di un asilo nido). Dopo sette anni in Siria, si sono stabiliti a Duisburg, non solo perché la città offriva interessanti possibilità professionali, ma anche perché sono dovuti scappare dal loro paese.

Nel 2012, quando abitavano ancora a Damasco, alcuni loro amici erano stati imprigionati dal regime di Bashar al-Assad. Per fortuna, Nidal ha ottenuto un visto per la Francia un anno in anticipo rispetto al previsto, grazie al programma di partenariato tra l’Università di Damasco e Télécom Bretagne.

Ed è così che questo giovane uomo dai capelli ricci si è recato a Bresy (Francia) per terminare il suo Master - intanto Sumou resta in Siria e aiuta i civili della Ghouta, periferia di Damasco pesantemente bombardata dal regime. In effetti, la giovane donna viene imprigionata per due mesi, ma poi cerca il modo per raggiungere suo marito in Europa. Le procedure amministrative richiedono del tempo: «È stata una situazione terrificante perché ogni mese, nuovi colleghi venivano imprigionati», confida. «Contavo i giorni».

«Sono il ricercatore che ho sempre sognato di essere»

Poi, Nidal, trasferitosi dalla Francia alla Germania con un master in tasca, punta al titolo di Dottorato. «È molto difficile sostenere una tesi in Comunicazione in Francia», spiega. Ottiene rapidamente un contratto per un Dottorato all’Università di Duisburg-Essen e si trasferisce all’altro lato del Reno. Partecipa anche all’elaborazione del protocollo 5G su scala europea. «È stata un’opportunità rara e molto stimolante offertami dalla mia Università», racconta sorridendo. Così, nel 2019, presenta la sua tesi ottenendo la votazione più alta nel suo gruppo. Ancora oggi, lavora all’Università di Duisburg-Essen come collaboratore scientifico. «Sono il ricercatore che ho sempre sognato di essere», afferma entusiasta.

Nidal
Nidal © Ibtisam Dimashqi

Per quanto riguarda Sumou, ha finito per ottenere un visto per il ricongiungimento familiare. È arrivata in Germania alla fine del 2013. Nonostante una laurea in ingegneria e un inglese corretto, ha faticato a trovare lavoro. Così, ha approfittato del tempo libero per seguire dei corsi di tedesco, ottenendo il livello C1. Dopo due anni, è stata assunta come ingegnere presso una filiale Telecom, gigante delle telecomunicazioni.

Sumou
Sumou © Ibtisam Dimashqi

Oggi, la famiglia si è ormai stabilita a Duisburg e i tre hanno anche ricevuto la nazionalità tedesca qualche mese fa. «Comparata alla Siria, Duisburg è il paradiso», sostiene Sumou con uno sguardo frizzante. «E amo ancor di più questa città da quando ho un bambino». Un pensiero condiviso da suo marito: «Hussein ha una vita migliore qui e il sistema scolastico funziona meglio. Tuttavia, è importante che venga istruito alla cultura araba, affinché diventi un cittadino del mondo e comprenda ciò che succede altrove». Nidal apprezza ugualmente l’importante comunità internazionale e l’effervescenza economica della regione della Ruhr. Damasco non gli manca, poiché, a eccezione dei genitori di Sumou, la maggior parte delle persone a loro care sono andate via. «La Damasco che conosco non esiste più», afferma scoraggiato Nidal. «La città è completamente distrutta, non è altro che un campo di rovine», aggiunge sua moglie. «Non c’è elettricità, né riscaldamento in inverno». In tutto questo, la coppia di sente in una situazione un po’ «schizofrenica», come spiega Nidal: «Qui abbiamo tutto il necessario, ma ogni volta che guardiamo le notizie, vediamo persone che lottano per la sopravvivenza in Siria».

Nonostante a Duisburg si sentano a casa, Nidal e Sumou contano di ritornare a Damasco un giorno, quando il Paese non sarà più nelle mani di Bashar al-Assad. «Io mi sento obbligato a rientrare per ricostruire il paese», afferma lui con tono deciso. «Sicuramente rientreremo per aiutare», conferma Sumou. Ma nel frattempo, Duisburg è la mia casa», assicura nuovamente la giovane donna.

Se Khalid, Sumou et Nidal hanno potuto trovare lavoro e stabilità in Germania, non tutti hanno avuto la stessa fortuna. Nell’agosto 2020, 43.316 richieste d'asilo erano ancora in fase di elaborazione presso il BAMF. Molte altre persone non sanno se avranno la possibilità di restare in Germania e in quali condizioni. Nel 2019, una domanda di asilo richiedeva in media 6 mesi per concludersi. Una cifra che si è abbassata rispetto l’anno precedente (7,5 mesi nel 2018). Ma dopo l’inizio del 2020, i tempi di elaborazione si sono allungati nuovamente a causa del Covid-19.


Foto di copertina: © Lucile Gagniere

Translated from L'Allemagne et ses réfugiés qui réussissent