Cronaca di una sconfitta annunciata
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All’indomani delle elezioni politiche in Italia, la mia casella di posta è intasata di messaggi a catena trasudanti amarezza, incredulità, disprezzo ( per l’Italia di Berlusconi-Bossi) e rassegnazione per il risultato conseguito dal leader del centro-destra Silvio Berlusconi, sulla ribalta della scena politica da ormai 15 anni.
In realtà l’esito delle elezioni del 13 e 14 Aprile era già stato ampiamente pronosticato dagli osservatori politici, i quali tutt’ al più paventavano un’ipotesi di pareggio, che avrebbe portato al cosiddetto “inciucio” (declinazione peggiorativa di accordo post-elettorale), teorizzando un franksteiniano “Veltrusconi”.
Altro pronostico che mi sentivo di condividere e che è stato invece puntualmente smentito è l’alto tasso di astensionismo; l’Italia non ha ceduto alle sirene dell’antipolitica e ha dimostrato che il voto è l’unico strumento che abbiamo di cambiare le cose. Dunque la mia trovata di citare Saramago e la rivolta delle schede bianche di “Saggio sulla lucidità” è naufragata miseramente, così come la mia personale risposta “antipolitica” (o forse anti-democratica) di non andare a votare.
Senz’altro nessuno avrebbe scommesso ,io no di certo, sulla vittoria dell’ Obama “di noi altri”, la cui scelta lessicale nel tradurre il “yes we can” democratico lasciava ampiamente presagire una sconfitta appunto annunciata (“si può fare” in italiano perde molto dell’entusiasmo del motto made in USA).
I due anni di governo Prodi non sono stati rimossi quindi dal pullman di Walter (Veltroni, sempre sulla scorta del modello americano, ha raggiunto tutte le province italiane a bordo di un pullman diventato simbolo della campagna elettorale democratica). Le parole farcite di belle speranze sono facili da portare a bordo, ma la zavorra costituita nell’ordine da: lotte intestine, riforme poche e incoerenti (vedi le liberalizzazioni), riforme mancate (formazione, precarietà, sicurezza sociale, giustizia, legge sul conflitto di interessi, per citarne alcune), era davvero troppo pesante per il motore PD.
Forse Veltroni sarebbe stato l’uomo giusto nel 2006, forse allora gli Italiani stanchi dell’eterna messinscena berlusconiana avrebbero creduto alle sue promesse e un cambiamento sarebbe stato possibile.
Ma la storia non si fa con i se, e se c’è una certezza adesso è che l’Italia che appena due anni fa si era detta stufa di Berlusconi ha cambiato idea.
Difficile spiegare il motivo di quello che Le Figaro e la Repubblica hanno definito “L’eterno ritorno del Cavaliere”, un Berlusconi che per altro ha perso molto del suo smalto iniziale in questi ultimi mesi,e ha condotto la sua campagna elettorale all’insegna di un insolito realismo (a detta del Corriere della Sera “senza bacchetta magica”).
Io, in quanto Erasmus circondata tutta la giornata da stranieri, sono ormai vittima dello scherno generale, e non posso esimermi dal fare una riflessione che vada aldilà dello scontato e inopportuno ritornello “mi vergogno di essere italiano”.Perchè i fardelli si portano insieme, e questo se proprio di fardello si tratta è il prodotto di una mentalità largamente diffusa in Italia, direi di un modo d’essere dal quale nessuno è esente.
Berlusconi è l’Italia, il paese dove vieni preso in giro se studi troppo, se non rimorchi abbastanza se sei maschio,e se rimorchi troppo se sei femmina, dove “donna femminile e capace” è un ossimoro, dove nessuno pensa davvero che una raccomandazione sia sbagliata (l’espressione italiana “metterci una buona parola” è più che eloquente), dove studiare tutto il giorno non dipana la nebbia sul mio futuro.
Questa italianità malcelata durante gli anni del governo DC è esplosa nel ’94 con la celebre discesa in campo dell’ex uomo nuovo, l’ex anomalia del panorama politico italiano ormai divenuta una costante, quasi un salvatore della patria.
Perché aldilà della mia grossolana analisi sociologica,la presenza di Berlusconi risponde a un vuoto, all’inefficienza di una classe politica più “tradizionale”, di scuola; Berlusconi intercetta di volta in volta le paure e i bisogni del popolo, questa volta stanco di promesse non mantenute e desideroso solo di tornare al vecchio, al meno peggio insomma.
Il voto popolare ha traghettato il paese verso una nuova era, Berlusconi 3, da cui il volto politico del paese esce piuttosto trasfigurato: per la prima volta nella storia della Repubblica i due partiti artefici della lotta antifascista, socialisti e comunisti, sono fuori dal parlamento, registrando un calo di consensi inaspettato. Parallelamente un partito tradizionalmente estremista,a vocazione antisistema e razzista, La Lega Nord di Bossi, si è rivelato decisivo per la vittoria di Berlusconi, cartina di tornasole di un’Italia impaurita e reazionaria.
Gli scenari possibili in questa nuova conformazione dell’emiciclo italiano sono stati ampiamente dibattuti e sviscerati direi nella conferenza-dibattito tenutasi il 16 Aprile a Sciences Po a Parigi, organizzata in collaborazione con la Luiss Guido Carli di Roma, alla quale hanno partecipato tra gli altri Ilvo Diamanti , J.P. Fitoussi, Marc Lazar.
Ciò che di più interessante è emerso, oltre gli innumerevoli problemi a cui il neonato governo dovrà dare una risposta, dai rifiuti a napoli all’assenza di una rete di servizi sociali passando per la crescita zero, è stata la riflessione sull’assenza di un dibattito sull’Europa in campagna elettorale.
Nessuno dei due candidati ha parlato di Costituzione, di federalismo, di riforma della politica agricola comunitaria.
Ma l’annuncio della nomina alla Farnesina di Frattini (vice-presidente della commissione UE) farebbe ben sperare in un cambiamento rispetto agli anni 2001-2006, dove i sistematici inviti a cena di patron-Berlusconi nel palazzotto di Arcore rivolti (e ricambiati) a Bush e famiglia avevano allontanato inevitabilmente l’Italia dai palazzi di Bruxelles.
Una citazione ad effetto di Napoleone in sala ci ricorda cha la politica internazionale di un paese è funzione della sua posizione geografica; e dal momento che l’Italia è geograficamente la periferia dell’Europa , il ruolo marginale nello scacchiere europeo sarebbe scontato, nonostante il pur menzionato ruolo chiave nella costruzione europeista assolto da italiani illustri quali Spinelli ma anche De Gasperi e Andreotti(di quest’ultimo viene evocata la sua sagoma inquietante).
Insomma, l’Italia è davvero un ospite silenzioso nel condominio Europa? E Berlusconi saprà raccogliere l’auspicio che finanche Ezio Mauro( direttore de La Repubblica) gli ha rivolto di iniziare a governare finalmente per il bene del paese?
E a Bruxelles il nostro nuovo premier saprà spogliarsi dello scherno e della diffidenza generale collaborando alla crescita del progetto europeo?
A voi lettori la risposta.
Alessia Farano