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Croazia, il prossimo "castello di carte" dell'UE

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società

Manca un anno esatto all'ingresso della Croazia nell'Unione europea, e i giovani croati restano scettici riguardo i benefici per la loro carriera lavorativa.

Mancano pochi giorni alla chiusura delle scuole in Croazia. Nella piazza Ban-Jelačić è stato alzato un grande palco, sul quale delle bambine, con i capelli ornati da fiocchi verdi, cantano delle canzoncine. Gli scolari un po' più grandi presentano orgogliosi le proprie creazioni di moda, stravaganti vestitini fatti di CD o di bottoni. Altri provano coreografie complesse su una hit degli anni 90, "Gangster's Paradise" di Coolio. I genitori fotografano, gli insegnanti offrono da bere, l'atmosfera è rilassata. Ma quale futuro aspetta quei giovani ragazzi, che a breve avranno conseguito la maturità?

Sette università pubbliche, tredici Politecnici e ventotto scuole universitarie professionali private, assieme a numerosi indirizzi universitari, in un paese di soli 4,3 milioni di abitanti. Dopo che il governo croato ha aderito alla riforma di Bologna, il paese si trova sottoposto a importanti cambiamenti, al fine di adeguarsi agli standard europei. L'Istituto per l'istruzione superiore controlla la qualità delle lezioni, la presenza di una politica universitaria trasparente, meritocrazia nell'accesso ai percorsi formativi e borse di studio.

Ma cosa ne pensano i giovani croati? "Le università formano una forza lavoro giovane e altamente qualificata, anche se a lavorare sono in pochi", racconta Matija, 25 anni, capelli lunghi e studente a Scienze dell'Informazione. Il problema, secondo lui, è che troppe università con tasse basse e vari programmi di borse di studio hanno come risultato troppi laureati per pochissimi posti di lavoro qualificati.

Secondo l'ufficio per l'impiego (HZZ) della Croazia, la disoccupazione giovanile nel 2011 era pari al 45%. Il 47% dei laureati si vede costretto a lavorare in ambiti molto lontani dalle proprie competenze. Matija tuttavia sembra essere ottimista: "non mi immagino un futuro poi così nero. Vedremo cosa accadrà", dice, mentre prepara una sigaretta. Nel frattempo ha trovato lavoro come bibliotecario, esperienza pratica che potrà aggiungere al suo curriculum vitae.

Esperienza professionale + vitamina B = lavoro?

Esperienza: una parola magica che si aggira come uno spettro tra i discorsi dei giovani alla ricerca di un impiego. Siamo di fronte a un circolo vizioso: senza esperienza non c'è lavoro, senza il lavoro non si fa esperienza. Un ostacolo che anche altri neolaureati d'Europa devono superare, spesso con l'aiuto di stage pagati male o non pagati affatto. In Croazia possono essere d'aiuto i contatti personali.

"Molti datori di lavoro impiegano solo i conoscenti come i vicini di casa, vecchi amici di scuola, familiari", lamenta Klara, 28 anni, traduttrice. "Spesso si viene scelti non per le qualifiche o le competenze, ma per il grado di confidenza e conoscenza con l'azienda". Klara ha ora la possibilità di partecipare a un programma di stage retribuito presso la Corte dei Conti europea in Lussemburgo e nel frattempo concluderà un Master in Economia, attraverso il quale acquisirà ulteriori competenze. Ciononostante il suo futuro lo vede all'estero: come traduttrice per il croato e il francese ha buone chance di trovare un lavoro presso le istituzioni europee, tanto più che la Croazia farà a breve parte dell'Unione. Trova tra l'altro giusto dover affrontare un esame di ammissione anonimo, affinché uno stage diventi una vera e propria professione. Riguardo invece alla maniera in cui i datori di lavoro croati scelgono i propri dipendenti, pensa che la ragione risieda nelle guerre balcaniche, durante e dopo le quali la fiducia nel prossimo si è quasi dissolta.

La lunga ricerca di un lavoro può lasciare segni indelebili

Una teoria poco scientifica, ma che rispecchia una sensazione presente in molti discorsi di chi non riesce nell'ardua impresa di trovare un impiego. Margita, 35 anni, iperattiva, lunghe unghie viola, lamenta la perdita di fiducia che si ripercuote anche sul mercato del lavoro. Ha perso la speranza di lavorare nell'ambito di sua competenza, la tecnologia sanitaria. Si è laureata nel 2000 e da allora ha fatto i lavori più disparati: commessa, hostess per una compagnia di crociere americana, consulente assicuratrice per la Allianz.

"Combatto da troppo tempo, sono stanca. Non ho un uomo, non ho bambini. Mi mancano il tempo, lo spazio e i soldi per avere una famiglia". La lotta estenuante per la ricerca di un lavoro e di un futuro può lasciare dei segni indelebili nella vita di un individuo. "A volte ho la sensazione che ci sia ancora qualcosa nascosto dentro di me, che debba ancora dare, ma non riesco a far uscire questo qualcosa". Ha degli amici che sono entrati in un partito politico per crearsi dei contatti. Una possibilità del genere, tuttavia, Margita non vuole prenderla nemmeno in considerazione.

Il governo si è reso conto del problema dei giovani qualificati senza un impiego adeguato. Il ministro del lavoro Mirando Mrsic l'aprile scorso ha promesso la messa in atto di un provvedimento che avrebbe dovuto facilitare l'ingresso dei giovani nel mercato, e permettere loro una prima esperienza lavorativa. Gli impieghi sono previsti sia nel privato che nell'amministrazione pubblica. I contributi verrebbero pagati dallo Stato. L'onorario ammonta a 220 euro al mese, un po' poco se si pensa che secondo l'Istituto nazionale di statistica della Croazia lo stipendio medio annuo, al netto, ammonta a 5,499 HRK (917 euro/marzo 2012). Una proposta che ha suscitato indignazione tra i media croati. "Uno scherzo", secondo la giornalista Ana, 27 anni, in quanto i neolaureati verranno impiegati come tirocinanti e poi sostituiti da altri tirocinanti l'anno successivo.

"Chi può garantire che la Croazia non diventerà come la Grecia?"

L'ingresso nell'Unione europea previsto per luglio 2013 potrà cambiare la situazione già molto critica? Nel campus dell'università, dove gli studenti fuori sede hanno diritto al pasto anche nel fine settimana, l'atmosfera è alquanto scettica: "l'Unione europea non ci salverà", afferma Matija. "Siamo un paese giovane, con appena 20 anni di democrazia alle spalle, non ci sappiamo ancora gestire da soli. Non vogliamo dipendere di nuovo economicamente e politicamente da altri", aggiunge Petra. Secondo Ana, "la fiducia nella stabilità europea è scesa di molto dopo la crisi finanziaria. Chi può garantire che in Croazia non accadrà mai quanto accaduto in Grecia? D'altra parte, tuttavia, abbiamo bisogno di investimenti economici e della possibilità di viaggiare e studiare. Senza l'Unione europea crolleremmo come un castello di carte".

Quest'articolo fa parte di una serie di reportage sui Balcani realizzati da cafebabel.com tra il 2011 e il 2012, un progetto co-finanziato dalla Commissione Europea con il sostegno della Fondazione Allianz Kulturstiftung.

Foto di copertina di (cc) Pliketi Plok/ flickr/ pliketiplok.com/nedjelja/; nel testo, tutte © di Julien Faure Photo per 'Orient Express Reporter II', di cafebabel.com, Zagabria 2012.

Translated from Kroatische Studis sagen „Europa wird uns nicht retten“