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Crisi in Thailandia: chi può fermare la repressione?  

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Politica

Il 17 agosto, a Bangkok un attentato ha causato 20 morti. Benché le indagini per trovare i responsabili di quell'attacco esplosivo siano ancora in corso, questo sanguinoso episodio rafforza il clima d'insicurezza che regna da più di un anno in Thailandia. E che l'UE segue troppo da lontano. Un'analisi.

Con una dura repressione, le forze armate controllano i thailandesi in un ambiente che rasenta quello delle peggiori dittature. Un processo che l'Europa guarda da lontano.

Le forze armate e la violazione dei diritti umani

Da quando l'Esercito thailandese ha compiuto un colpo di Stato e ha ottenuto il potere il 22 maggio 2014, il regime guidato dal Generale Prayuth Chan-ocha, non cessa di applicare misure sempre più repressive, che si traducono in un numero crescente di arresti arbitrari contro chiunque metta in discussione la monarchia o il potere militare. La libertà d'espressione, sia che provenga dai cittadini che dai media, è imbavagliata.

le forze armate attacano direttamente i giornalisti con l'intenzione di soffocare ogni forma di resistenza. «Non sei obbligato ad appoggiare il Governo ma devi raccontare la verità!» avrebbe spiattellato in faccia il Generale a un giornalista. Una frase che la dice lunga sullo sprofondamento della Thailandia in un clima inquietante, simile a quello che possiamo incontrare nelle grandi dittature mondiali.

In questo senso anche le manifestazioni o i raduni pacifici sono ora strettamente vietati, pena la prigione. Dopo l'instaurazione della legge marziale, anche gli assembramenti con più di 5 persone sono proibiti. «Questi arresti di massa e arbitrari costituiscono una violazione in flagranza degli accordi internazionali firmati dalla Thailandia in materia di diritti umani. Si tratta chiaramente di una politica persecutoria e di un tentativo di ridurre l'opposizione al silenzio» dichiara Richard Bennett, direttore di Amnesty International

Le accuse per crimini di lesa maestà si sono moltiplicate dall'avvento al potere del regime militare. Lungi dal rimanere estraneo a questa crisi, il sovrano Bhumibol Adulyadej, considerato un semidio in Thailandia, sostiene l'operato svolto da Prayut Chan-ocha, e giustificato come necessario per preservare la monarchia.

Secondo la giunta militare, la democrazia è una minaccia per la monarchia. Una minaccia rappresentata dai due ultimi Primi ministri eletti dal popolo, i fratelli Shinawatra, entrambi poi destituiti da colpi di Stato. Con il pretesto di voler favorire la «riconciliazione nazionale» tra i sostenitori e gli oppositori degli Shinawatra, le forze armate hanno esteso ormai da più di un anno la loro autorità sul popolo thailandese e indeboliscono ogni giorno di più il tessuto democratico del Paese. Le prossime elezioni sono state rinviate e il Generale Prayut per ora non mostra alcuna intenzione di voler lasciare le redini del potere.

Ad oggi, centinaia di persone sono state costrette a segure delle «sedute di rieducazione comportamentale», degli intensivi richiami all'ordine in commissariato che avrebbero l'obiettivo di mettere in riga tutti gli individui che hanno osato alzare la voce contro il regime militare. La libertà di espressione e di azione è un lontano ricordo per i thailandesi che restano impotenti di fronte a questo aumento della repressione. In uno stato di totale angoscia e incapacità di opporsi, sotto la costante minaccia di finire in prigione o di essere condannato a morte, il popolo thailandese si ritrova inoltre isolato. La comunità internazionale, per ora, svolge uno ruolo di osservatore, lasciando che il caos  si insedi sul territorio.

I legami spezzati con l'UE

Dall'ascesa al potere della giunta militare, i legami tra Thailandia e Unione europea si sono considerevolmente allentati. Importante partner commerciale del Regno, l’UE ha fatto sapere sin dall'inizio che solo un preciso piano di ritorno alla democrazia potrebbe garantire nuovamente il suo appoggio.

«Seguiamo gli attuali sviluppi con grande apprensione,» ha dichiarato lo scorso anno l'Alta rappresentante della diplomazia europea Catherine Ashton, per poi aggiungere: «Facciamo appello ai dirigenti militari perchè liberino tutti coloro che in questi ultimi giorni sono stati arrestati per ragioni politiche e perchè aboliscano la censura».

Per ora, gli accordi, siano essi di natura diplomatica o commerciale, tra l’UE e la Thailandia sono sospesi. Le trattative in seno all'ASEAN (l'Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, n.d.r.) restano a un punto morto, penalizzando l'economia thailandese. Anche le visite ufficiali sono state interrotte in attesa della promessa di un ritorno all'ordine costituzionale.

Di fronte alla crisi, l'UE ha deciso di cessare ogni dialogo con il Paese, nella speranza che questo fatto potesse mettere sotto pressione il regime autoritario. Gli ultimi mesi hanno dimostrato che ciò non è stato sufficiente e che l'autorità dell'Esercito è anzi cresciuta. Sperando di influenzare il potere ormai stabilito e favorire il ritorno alla democrazia, l’UE deve quindi ritornare al tavolo delle trattative con una strategia più offensiva, senza limitarsi a escludere la Thailandia dalla sua cerchia di partner commerciali per indebolire il generale Payut e le sue forze armate.

Translated from Crise en Thaïlande : qui pour arrêter la répression ?