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Cracovia: un viaggio attraverso l'islamofobia della Polonia

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Non sono pochi i polacchi che temono una "islamizzazione" del Paese, o quantomeno solo un quarto della popolazione si dice aperto verso i musulmani. Eppure nella cattolica Cracovia, su 761 mila abitanti, poche centinaia credono in Allah. Per capirne di più, abbiamo incontrato chi dice No all'accoglienza, chi combatte questa deriva nazionalista e una 20enne polacca che si è convertita all'Islam.

A poche centinaia di metri dall'elegante Rynek Główny, la piazza del mercato che primeggia sulla città vecchia, alcuni signori indiani di religione musulmana guardano confusi verso un palazzo giallo. Sono a Cracovia per affari ed essendo venerdì vorrebbero pregare. Qualche giorno fa hanno trovato su internet l'indirizzo di una moschea e così hanno deciso di visitarla. Eppure, una volta raggiunto il civico, davanti a loro trovano solo un anonimo edificio con il portone serrato.

Dopo un'attesa piuttosto lunga, un ragazzo dall'aspetto mediorientale attira il loro sguardo. Si dirige verso il portone e lo apre. Decidono di seguirlo e dopo essere scesi nello scantinato e aver attraversato alcuni stretti corridoi, raggiungono una stanza umida e buia, dove una dozzina di persone sta pregando. A Cracovia i luoghi di culto per musulmani si presentano così. Del resto il centro islamico di cui stiamo parlando ha deciso di togliere l'insegna dopo l'aumento di aggressioni nei confronti dei fedeli. Come quando, alcuni mesi fa, i muri del palazzo che ospita il centro sono stati imbrattati da scritte offensive e islamofobe, che invocavano una nuova guerra agli “infedeli” dopo la battaglia austro-turca che si consumò a Vienna nel 1683, quando i polacchi combatterono gli ottomani.

C’è chi dice No, chi ha paura e chi si addestra

Un crescente clima di paura, con una escalation di atti xenofobi senza precedenti. «Ti fanno chiaramente capire che non sei il benvenuto,» mi spiega Ibrahim, una guida turistica egiziana che si è trasferita in Polonia nel 2011, dopo l’inizio della Primavera araba e degli scontri al Cairo. Spera che la situazione dell'Egitto si stabilizzi, così da poter tornare a casa ed «evitare che i miei figli crescano in questo clima di sospetto».

Dopo i massacri di Parigi, Łukasz Wantuch, consigliere in uno dei municipi della città, ha organizzato insieme a un'altra attivista un sit-in di risposta alla grande manifestazione promossa dai partiti di destra per invitare il Governo polacco a dire No ai rifugiati. «Ho subito pensato che la cosa giusta da fare fosse chiedere ai miei concittadini di rimanere uniti contro l'islamofobia e, soprattutto, di non confondere rifugiati e terroristi. Così ho lanciato un appello via email ai miei contatti, chiedendo loro se fossero interessati ad organizzare insieme una manifestazione,» racconta il consigliere. «La maggior parte non se l'è sentita, erano spaventati dall'idea di essere aggrediti dai simpatizzanti dell'estrema destra. Alla fine eravamo meno di 25 persone, mentre il corteo anti-immigrati era pieno di gente. Avevamo paura, la polizia ci ha dovuto scortare. Pensa, persino la mia ex moglie era in pena per me». Sorride per un secondo, poi torna serio. «Avevamo in mente alcuni progetti per promuovere nelle scuole la cultura dell'accoglienza. Ma ora non è proprio il caso. Dobbiamo rimanere in silenzio e aspettare tempi migliori».

Uno degli attori principali della campagna contro i rifugiati è la divisione locale di Mlodziez Wszechpolska (Gioventù di tutta la Polonia, n.d.r.), un'organizzazione nazionalista affiliata al Ruch Narodowy (Movimento nazionale, n.d.r.), collettore di movimenti di destra con diversi rappresentanti in Parlamento. Incontro uno dei suoi leader in un bel bar del centro. Szymon Kasinski è un giovane ingegnere informatico con idee granitiche: «Dove non c'è omogeneità etnica, c'è terrorismo». Durante l'intervista mi ripete questa frase svariate volte, come se fosse un mantra. «Guarda la Francia e il Belgio: ecco cosa succede ad accogliere. Non permetteremo che ciò accada anche in Polonia».

Il suo partito organizza addestramenti paramilitari, si ispira al conservatorismo nazionale di Orbàn e sogna un'alleanza strategica con Ungheria, Slovacchia e Romania. Quando chiedo a Kasinski cosa pensa delle migliaia di suoi giovani connazionali che ogni anno lasciano la Polonia – la Gran Bretagna è abitata quasi dallo stesso numero di polacchi di Cracovia, – liquida la faccenda asserendo che loro «lavorano per poi tornare in patria e rendere la Nazione più forte, non per instaurare un califfato».

"Sta succedendo qualcosa di profondamente sbagliato"

Le posizioni di Mlodziez Wszechpolska non sono sostenute solo da una sparuta minoranza. Secondo uno studio del 2015 sull'atteggiamento dei polacchi verso l'Islam, solo un quarto della popolazione si ritiene aperto verso i musulmani. Eppure nella cattolica Cracovia, su 761 mila abitanti, appena alcune centinaia credono in Allah. Non stupisce quindi che solo un adulto su otto (il 12%) abbia conosciuto personalmente almeno una persona di fede islamica. Adam Bulandra, tra gli organizzatori di Interkulturalia, un festival che ogni anno porta in città arti e culture da tutto il mondo, ritiene che alla base ci sia «un'apatia culturale immensa: migliaia di persone sono politicamente e socialmente passive».

«Sta succedendo qualcosa di profondamente sbagliato. E ciò che è più spaventoso è che l'Olocausto è stato perpetrato a soli 60 chilometri da qui,» mi dice un’attivista locale che chiede l’anonimato. Le fa eco Konrad Pedziwiatr, professore dell'Università di Cracovia e profondo conoscitore delle dinamiche sociologiche legate alle migrazioni nell'Est Europa, che punta il dito contro la disinformazione dei media polacchi. «Le notizie dal Medio Oriente sono coperte da giornalisti che non hanno le competenze appropriate per poterne parlare,» sostiene il docente, «questa ignoranza influisce sul modo in cui chi fruisce di queste informazioni vive la presenza di stranieri. Non sbagliamo dicendo che in Polonia i musulmani sono i nuovi ebrei».

Se da una parte molti musulmani cercano di mantenere un profilo basso e alcuni hanno persino paura di uscire non accompagnati, c'è chi considera la fede un motivo di orgoglio. Come Kamila Dudkiewicz, una ventenne che si è convertita dopo un anno di volontariato nei campi profughi della Giordania. La incontro in un bar vicino al quartiere ebraico, frequentato principalmente da hipster. Tra un’ordinazione e l’altra, la cameriera butta uno sguardo sul velo azzurro che nasconde i suoi capelli. «Dopo la mia conversione ho perso circa 400 contatti su Facebook. Qualcuno mi ha chiesto se davvero voglio essere bruciata viva come le donne afgane». Racconta Kamila. «C'è molta ignoranza a proposito dell'Islam, ma io ho coraggio e voglio che i cittadini di Cracovia, tramite me, conoscano il vero volto della mia religione». Eppure quando le chiedo se vede il suo futuro a Cracovia, mi risponde in maniera sorprendente: «Lascerò la Polonia. Voglio viaggiare e poi stabilirmi in un Paese dove noi musulmani non siamo considerati un gruppo di terroristi».

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Questo articolo fa parte della serie di reportage EUtoo 2015, un progetto che cerca di raccontare la disillusione dei giovani europei, finanziato dalla Commissione europea.