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Costituzione, si riparte da Madrid

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Perché il testo della Convenzione sarà varato a giugno. Grazie al forcing dell’asse Blair-Zapatero. E nonostante Berlusconi.

La svolta sulla Costituzione europea è arrivata, come era prevedibile, dalla Spagna. Scandita in parte dal tragico fragore degli attentati di Madrid, in parte dall’esito delle elezioni politiche. Se è vero che molti presagivano che con l’uscita di scena di Aznar le acque si sarebbero smosse anche per il negoziato sulla Costituzione, è innegabile che l’affermazione del leader socialista Zapatero ha fornito un nuovo e decisivo impulso alla ripresa del processo costituzionale.

Effetto 11 marzo

Cambiando nettamente rotta rispetto al suo predecessore, il leader socialista ha da subito assunto un’iniziativa forte su Europa e Costituzione, facendo cadere il pregiudizio sulla ponderazione del voto in Consiglio che, in asse con il governo polacco, aveva fatto arenare il negoziato lo scorso dicembre. E il governo polacco, nel timore di rimanere completamente isolato, si è prontamente adeguato manifestando, in occasione del recente incontro fra il premier Miller ed il cancelliere tedesco Shroeder, rinnovati segnali di apertura e dialogo.

Al segnale lanciato da Zapatero ha prontamente risposto l’intera classe dirigente europea. Gli attentati di Madrid hanno infatti rinnovato la consapevolezza che a dicembre era rimasta imbrigliata nella rete delle rivendicazioni nazionali, che l’Europa ha urgente bisogno di uno scatto politico per dotarsi degli strumenti che le consentano di agire con più unità ed efficacia sulla scena internazionale. Ma anche per rispondere compatta alle emergenze che la colpiscono. E la nuova Costituzione, pur con tutte le mediazioni che contiene, è certamente lo strumento principe.

Blair vuole la Costituzione per giugno

I tempi sembrano voler essere stretti: si parla addirittura di una approvazione prima delle prossime elezioni europee (13 giugno), recuperando dal cestino il calendario stilato subito dopo la fine della Convenzione. E ad imporre questa scadenza sembra essere, udite udite, proprio l’Inghilterra, che a dicembre aveva fatto da sponda silenziosa a Spagna e Polonia per affossare il tutto. Le ragioni sono di agenda politica interna: dopo l’estate in Gran Bretagna inizierà il dibattito in vista delle elezioni politiche che Blair vuole convocare nella primavera del 2005, e fra le tante castagne sul fuoco che già gli bruciano il leader inglese non vuole trovarsi anche quella della Costituzione europea, che tanti dolori di pancia suscita fra la gente del suo paese. D’altro canto il premier inglese, in calo di popolarità a causa del mancato ritrovamento delle armi di distruzione di massa in Iraq e delle conseguenze nefaste di quella guerra, ha anche bisogno di ricostruirsi una sponda di alleanze in Europa. Se Costituzione dev’essere, dunque, che sia in tempi rapidi.

Fifty-fifty o 55-55?

Dal punto di vista tecnico i problemi ancora da risolvere sono essenzialmente tre: il primo, come noto, è quello del sistema di voto in Consiglio, rispetto al quale si avverte un ritrovato ottimismo: la proposta che circola di più è quella di una ponderazione della maggioranza basata sul 55% della popolazione e sul 55% degli Stati. Questa proposta, avanzata dai tedeschi, non è stata ancora assunta ufficialmente da parte della presidenza di turno irlandese perché non convince fino in fondo gli spagnoli. La proposta della Convenzione, respinta da Aznar, era del 50% degli Stati e del 60% della popolazione. Ma la novità di questa soluzione rispetto al sistema attualmente in vigore, è quella di non consentire più la costituzione di minoranze di paesi in grado di bloccare le decisioni.

Il secondo problema riguarda la composizione della futura Commissione: invece di mantenere il sistema di un rappresentante per Stato membro (che nell’Unione allargata porterebbe ad un organismo ingovernabile di 25 membri) si pensa ad un ridimensionamento a dodici membri, ma che entri in vigore a partire dal 2014, al termine di una fase di transizione successiva all’allargamento.

Il terzo problema è quello di più difficile risoluzione, e riguarda le materie cui estendere il voto a maggioranza qualificata: se si rispettassero i paletti posti da ogni singolo paese non si farebbe un solo passo in avanti. Si stanno dunque cercando soluzioni di compromesso che non siano al ribasso.

Fino a questo momento la Presidenza irlandese sta svolgendo un lavoro silenzioso ed apprezzabile, basato su incontri bilaterali piuttosto che riunioni collegiali. L’ultimo rapporto sullo stato di avanzamento della CIG segnala il delinearsi di un clima favorevole alla risoluzione dei principali problemi. Il testo su cui si basa la ripresa del negoziato è quello messo a punto dalla Presidenza italiana e lasciato aperto nel vertice di dicembre scorso a Bruxelles, che non si discosta molto, nel complesso, da quello approvato dalla Convenzione.

Unica voce fuori dal coro in questo quadro di complessiva ripresa dello spirito costituente europeo, è stata paradossalmente proprio quella del capo del governo italiano, preoccupato della brutta figura che farebbe se la Presidenza di turno successiva a quella italiana riuscisse dove egli ha fallito. Ma è una valutazione sbagliata. Se si giungesse davvero ad approvare prima dell’estate la nuova Costituzione, sarebbe un successo per la Convenzione, per le Presidenze italiana e irlandese che hanno guidato la Conferenza intergovernativa, nonché per tutta l’Unione europea. Oggi, a poco meno di un mese dalla strage di Madrid, abbiamo tutti più che mai bisogno di questo rilancio europeo.