Costituzione: e ora inizia il bello
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La firma del Trattato costituzionale a Roma è solo l’inizio di una lunga via crucis. Fatta di referendum dall’esito per niente scontato. Analisi.
La firma del Trattato costituzionale il 29 ottobre a Roma è la coronazione simbolica del “sogno europeo”, il modello culturale e politico del Vecchio Continente cui allude l’ultimo best-seller del sociologo americano Jeremy Rifkin? Certamente no, anzi. Il nuovo Trattato riorganizza piuttosto l’esistente, e le difficoltà che si addensano lungo il sentiero della sua ratifica sono piuttosto espressione della crisi politica che attraversa l’Unione Europea. E che rischia di diventare irreversibile.
Bombe a orologeria
Il Trattato di Nizza attualmente in vigore, infatti, già problematico per un’Unione a 15 paesi, è assolutamente inadeguato a garantire la vita politica di un organismo ormai composto da 25 membri. Se il nuovo Trattato non dovesse entrare in vigore (basterebbe la bocciatura anche di un solo paese), il contraccolpo politico sarebbe quindi enorme e potrebbe davvero spingere molti a celebrare il noto “ognun per sé, Dio per tutti”.
Dopo le profonde divisioni della guerra in Iraq e la scarsa partecipazione alle ultime elezioni del Parlamento europeo in giro per l’Europa non tira certo una bell’aria. In questo clima dieci paesi europei hanno deciso, sull’onda del dibattito e delle polemiche sviluppatesi intorno alla Convenzione europea e alla Conferenza intergovernativa, di convocare dei referendum per la ratifica, che potrebbero rivelarsi delle vere e proprie bombe ad orologeria sulla strada della Costituzione. A partire da quello in Gran Bretagna, dove la maggioranza euroscettica del paese, capeggiata oltre che dall’opposizione interna anche dall’autorevole settimanale The Economist, vuole sfruttare questa opportunità per affondare definitivamente Tony Blair sull’altare di uno dei suoi cavalli di battaglia, quello appunto dell’europeismo.
Sindrome irlandese: perseverare diabolicum?
Non meno a rischio la situazione in Francia, dove il Presidente Chirac, dopo aver perso le ultime tornate elettorali, ha lanciato il referendum europeo sapendo che su questo tema la sinistra, in crescita, si sarebbe spaccata. Il complicarsi poi del dibattito politico in merito all’adesione della Turchia all’UE rischia di complicare una situazione dagli esiti già estremamente incerti. Una bocciatura francese, evitata per un soffio nel ’92 col Trattato di Maastricht in un clima completamente diverso, aprirebbe una crisi senza precedenti nel cuore dell’Europa.
Incognite pesanti gravano anche su Irlanda e Danimarca, già protagoniste di clamorose bocciature dei trattati ed ancora oggi attraversate da forti umori euroscettici. In caso di mancata ratifica sarebbe più difficile delle precedenti occasioni tornare dai cittadini a chiedere di pronunciarsi di nuovo come fatto in passato. Più positiva è invece la situazione negli altri paesi che hanno deciso di chiamare i cittadini alle urne: oltre a quelli del Benelux, anche Spagna, Portogallo e Repubblica Cèca dovrebbero approvare senza problemi.
E l’Italia? Nel paese tra i più filoeuropei dell’Unione, la ratifica per via referendaria (inizialmente auspicata da molti) avrebbe richiesto una riforma costituzionale dai tempi lunghissimi. La via parlamentare che si è scelta, certamente più rapida, consentirà all’Italia di essere la prima a ratificare il nuovo Trattato, probabilmente già entro dicembre. Tempismo dal chiaro – e speriamo ben augurante – significato politico che limita, tuttavia, un ampio dibattito nazionale.
La costituzione europea ha dunque davanti a sé mesi, o forse anni, davvero difficili. La posizione degli europeisti delusi che sperano in una bocciatura del Trattato per poi riscriverne uno migliore è suicida. Se non passerà questo Trattato non ce ne saranno altri. Quella parte della classe dirigente europea che usa il delicatissimo tema della ratifica pensando solo a logiche di politica interna mostra di non capire il valore della posta in gioco. Forse mai come oggi essa è stata così alta.