Cosa è successo alla rossa Toscana?
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L'analisi post-voto di Cafèbabel Firenze: abbiamo intervistato il professor Marco Tarchi, ordinario di Analisi e Teoria Politica dell'Università di Firenze e politologo esperto di populismo.
Il 31 maggio 2015 si sono svolte le elezioni regionali in sette regioni italiane fra cui la Toscana. Nonostante il PD sia riuscito a vincere, qui come nelle altre regioni, si registra l’indiscutibile avanzata della Lega Nord e del “partito dell’astensione”. Il leader del partito leghista Matteo Salvini, con i suoi discorsi intrisi di populismo, è riuscito a far breccia anche nella rossa Toscana? La sub-cultura rossa fatta di civismo e attivismo politico sta cedendo il passo all’astensione?
L’analisi dei flussi elettorali, svolta dal CISE - Centro Italiano di Studi di Elettorali - ci mostra come quella di Rossi sia un po’ una vittoria a metà: solo il 48,3% degli aventi diritto ha votato e, nonostante il presidente uscente sia riuscito a riconfermarsi al primo turno, ha perso quasi 12 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2010. La Lega invece avanza, posizionandosi come secondo partito con il 20% dei voti.
Chi ha votato Lega Nord?
Il partito di Salvini in Toscana è riuscito a guadagnare 10 punti percentuali rispetto al 2010, 14 in più rispetto alle europee del 2014 e 15,5 punti rispetto alle politiche del 2013. I flussi mostrano che l’erosione è stata fatta a destra, ossia attingendo voti dal bacino elettorale degli altri partiti ex alleati. Forza Italia e Ndc-Ucd, infatti, non possono che dirsi i veri sconfitti di questa tornata. La destra “moderata” continua ad essere il grande assente del panorama italiano e se nella Prima Repubblica i beneficiari della mancanza di alternative erano i democristiani, oggi lo sono i populisti della Lega, ancor più di quelli del M5S. Il risultato quasi scontato che ci aspettava in Toscana non deve quindi tranquillizzare, il PD rischia di diventare una nuova balena bianca, magari con sfumature di rosso, mentre chi non vede alternative a destra si radicalizza o si astiene.
E’ anche vero che partiti come la Lega hanno spesso un andamento altalenante, per cui ora fanno il pieno di voti e ora li perdono, ma allo stato attuale non sembra esserci dietro l’angolo un nuovo calo. L’abilità di Salvini di parlare alla pancia dell’italiano medio forse è più pericolosa dell’analoga che aveva ai suoi tempi Bossi, quando il nemico era il Terrone e non il Neggar. Ora abbiamo più occhi puntati addosso e la situazione economica sembra sempre più bloccata, tutti elementi che messi insieme non fanno pensare ad un futuro radioso per l’Italia che vorrebbe dirsi europea.
L'intervista al prof. Marco Tarchi
Abbiamo scelto dunque di intervistare il politologo Marco Tarchi, professore ordinario di Analisi e Teoria Politica dell’Università di Firenze, nonché esperto di populismo (recentemente uscita la nuova edizione de “L’Italia populista” - edizioni il Mulino).
CB:Professore, le elezioni regionali in Toscana hanno registrato la vittoria del PD, tuttavia rispetto alle elezioni europee dell'anno scorso il partito di Renzi perde quasi il 10%. Come va interpretato un tale risultato in una regione considerata “rossa”?
MT:Dipende dalla prospettiva che si adotta. Se lo si compara con quanto accaduto in Umbria e per certi versi anche in Emilia-Romagna, per il PD può essere considerato un esito rassicurante. In assoluto, il discorso è diverso, perché veder scomparire nell’astensione una parte non indifferente del proprio elettorato è, per un partito abituato a riscuotere la rendita di una forte identificazione dei sostenitori edificata nel corso di decenni, un segnale allarmante. Una separazione temporanea può ricomporsi, ma può anche essere l’anticamera di un divorzio.
CB:In molti sostengono che la causa del regresso generale di consensi del PD sia da individuare nel calo di fiducia in Renzi da parte degli elettori più radicali, tuttavia il candidato toscano Enrico Rossi è un esponente della “minoranza” del partito. Secondo Lei quali sono le cause specifiche che hanno portato Rossi ad un risultato così basso?
MT:Per poter rispondere con relativa certezza bisognerebbe basarsi su un sondaggio condotto all’uscita dei seggi o nei giorni successivi, per avere il riscontro almeno di un campione degli elettori, e non mi risultano disponibili dati di questo tipo. Se ci si limita alle congetture, si può ipotizzare che il suo profilo di “fedele alla linea” (Pci-Pds-Ds) abbia consentito a Rossi di contenere la libera uscita degli elettori di sinistra tradizionali, mentre non è improbabile che la componente “moderata” che era stata attratta nel 2014 dalla figura del Renzi trionfante, deciso ad imprimere una svolta al centro (se non a destra) al partito, per questa volta abbia deciso di restarsene alla finestra. Quanto al giudizio sulle politiche del governo regionale, non so quanto abbia davvero pesato in una regione dove, nel bene o nel male, l’atteggiamento di fondo dell’elettorato pare quasi congelato.
CB:Un risultato che ha destato molto scalpore è stato il 20% ottenuto dal gruppo Lega Nord – Fratelli d'Italia, che l'anno precedente si era fermato al 5,8%. Come si spiega un tale exploit? E secondo Lei ciò indica che il futuro della destra italiana sarà sempre più estremista?
MT:Il risultato era prevedibile, tanto che io stesso lo avevo ipotizzato in alcune interviste prima del voto. La Lega intercetta i consensi di cittadini preoccupati di alcuni fenomeni su cui gli altri partiti, per timore di sporcarsi l’immagine, si limitano a formulare bonari auspici, primo fra tutti l’enorme crescita dei flussi migratori. Al di là delle opposte schermaglie polemiche e retoriche, si tratta di questioni serie, che suscitano inquietudine in strati sempre più ampi di popolazione. Se Salvini e i suoi resteranno gli unici a farsene carico, il fenomeno non potrà che ampliarsi. Quanto alla presunta svolta a destra del leghismo, ho molti dubbi: da un lato, le posizioni rigide su questi temi erano già state tenute dal Bossi dei suoi tempi d’oro; dall’altro, non è solo un pubblico di destra a dimostrarsi sensibile alle proteste leghiste. Bisogna semmai parlare di un elettorato di sentimenti populisti, che proviene da sinistra, da destra, persino dal centro. È un fenomeno già constatato in vari paesi, nella Francia del Front National ma non solo.
CB:Un altro dato molto eloquente è stato quello relativo all'affluenza alle urne, fermatosi al 47,83% (ossia 1.303.663 votanti). Ciò è indice di uno scarso interesse verso le Elezioni regionali oppure rappresenta un ulteriore allontanamento dalla politica già in atto?
MT:In sé, le elezioni regionali non sono mai state sottovalutate dai cittadini; men che meno quando vi confluiscono, come in questo caso, richiami e umori collegati strettamente alla politica nazionale. Il motivo del costante aumento dell’astensione è quel misto di delusione e insofferenza nei confronti della classe politica che si è ormai diffuso nella popolazione. Constatare ogni giorno il dilagare degli scandali fra i politici di professione e la loro subordinazione ai centri di potere economico e affaristico non può che produrre questo tipo di effetti. Molti hanno l’impressione che il loro voto non serva a niente e che la rappresentanza loro concessa non sia altro che una finzione, perché ogni decisione che davvero conta è sottratta al controllo dei cittadini.
CB:Nella propaganda elettorale dei vari partiti in corsa per queste elezioni, in Toscana come altrove, si è parlato molto poco delle questioni prettamente regionali e molto di più delle azioni del governo Renzi. Come pensa che sia stata gestita la comunicazione politica per queste elezioni e, più in generale, negli ultimi tempi?
MT:È stato proprio Renzi, e non da oggi, ad imporre lo stile comunicativo che ha fatto da sfondo sia a questa campagna elettorale, sia a quella delle europee dello scorso anno. Fedele agli insegnamenti di manuali e specialisti del marketing, l’attuale presidente del Consiglio ha voluto scavalcare, se non annientare, le classiche funzioni di interlocuzione con l’elettorato dei partiti, incluso il suo, facendo in modo da concentrarle in sé. Questa nuova ondata di personalizzazione, susseguente a quella del cosiddetto ventennio berlusconiano, ha messo per forza di cose la politica nazionale, e prima di tutto quella governativa, al centro della scena.
CB:Dopo questo risultato, che ha visto una vittoria numerica del PD (5 regioni su 7) ma un calo di consensi corposo per Renzi e avvisaglie di divisioni interne sempre più marcate, come pensa che potrà risentirne l'azione di governo a livello nazionale?
MT:Per il momento, Renzi non mi pare propenso a mettere in sordina la vocazione a presentarsi come l’“uomo del fare” che scavalca critiche ed obiezioni e avanza come un rullo compressore. Nel suo carattere e nella sua mentalità, le mediazioni sono viste negativamente, sono perdite di tempo. Però bisogna vedere se l’alleato Ncd lo seguirà fino a suicidarsi elettoralmente.