Come la cultura pop britannica ha dato vita alla Brexit
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Christian CaponeDa decenni, i film e gli show televisivi di produzione britannica censurano, ripulendolo, il passato controverso e violento del Regno Unito, gettando così le fondamenta della cultura pop nazionalista alla base della Brexit.
Se pensate che la televisione sia morta, ricredetevi: in quanto alla sua capacità di modellare le nostre percezioni e di influenzare la nostra mentalità, la televisione è più potente che mai. Magari non siamo più incollati ai canali tradizionali, attendendo con ansia che qualcosa vada finalmente in onda, ma nell'era di Netflix e degli smartphone i nostri occhi sono costantemente appiccicati allo schermo. La televisione non è morta: sta semplicemente dormendo. E quanto più noi siamo dipendenti dai nostri schermi, tanto più i contenuti che consumiamo informano e riflettono le società in cui viviamo. Da migrante italiana residente nella Gran Bretagna della Brexit non potrei rendermene conto meglio.
Mi ha colpito il fatto che l'ambasciatore tedesco in Regno Unito, Peter Ammon, abbia rilasciato un'intervista con il quotidiano The Guardian sui pericoli del rappresentare il Regno Unito come unico vincitore della Seconda guerra mondiale, un'"imprecisione storica" apparsa di recente in entrambi i film Dunkirk e Darkest Hour. Ammon ha sottolineato come questa immagine abbia determinato la crescita dell'euroscetticismo britannico. Le parole di Ammon mi hanno fatto rendere conto del fatto che non ero sola, né che mi stessi immaginando delle cose inesistenti. Il nazionalismo esclusivo, tema chiave della campagna a favore della Brexit, stava affondando i propri artigli nella cultura britannica e la stessa cosa stava avvenendo con la televisione. Questa nostalgia storica ha corroborato la decisione del Regno Unito di lasciare l'Unione Europea e, da allora, non ha fatto altro che divenire sempre più pronunciata, rendendo impossibile il compromesso politico.
La nostalgia storica non è nuova alla televisione britannica. Per quanto gli altri Paesi europei non siano di certo estranei a questo fenomeno, il fatto che il Regno Unito abbia vinto entrambe le guerre mondiali significa che il Paese non ha mai dovuto fare i conti con devastazioni e sconfitte importanti, bensì unicamente con una riduzione della propria estensione territoriale. E questa glorificazione del passato del Regno Unito ha sempre costituito un elemento inevitabile della televisione britannica. Da qualsiasi parte si guardi ci sono programmi televisivi ambientati nel passato - sono abbastanza sicura che l'ultima interpretazione delle avventure della Regina Vittoria verrebbe trasmessa persino in un bunker sotterraneo. Un costante afflusso di programmi come I Tudors, The Young Victoria e il famigerato Downtown Abbey, appunto, costituisce un precedente importante per una percezione ripulita, acritica del passato della Gran Bretagna. È un modo subdolo di trincerare il nazionalismo esclusivo nella psiche britannica. Vedere queste trasmissioni dal mio punto di vista di outsider rispetto alla società in cui vivo mi ha fatto capire che non sarei mai grado di raggiungere un tale livello di britannicità. Quest'idea dei successi del Regno Unito - a prescindere dagli altri Paesi e con la premura di evitare la quasi totalità dei capitoli più bui della storia britannica - ha fatto sì che la campagna a favore della Brexit potesse cementificare l'idea della Gran Bretagna come di un Paese 'diverso' e 'speciale', un Paese che non ha bisogno di cooperazione internazionale, ma che, come ha sempre fatto, può avere successo per conto proprio.
E la situazione non ha potuto che peggiorare. Incoraggiata dal successo dei voti a favore del leave, la televisione britannica rispecchia perfettamente il crescente nazionalismo nel Regno Unito. La collaborazione internazionale e il multiculturalismo britannico vengono cancellati con un colpo di spugna, aprendo la strada ad una Gran Bretagna che d'ora in avanti andrà letteralmente isolandosi in un mondo sempre più interconnesso.
Ammon aveva ragione. Sunkirk e Darkest Hour, per quanto siano entrambi film godibili, costituiscono parte del problema. Churchill non era così timido ed esitante come viene rappresentato nel film, ma era notoriamente autoritario e si comportava da privilegiato. Una scena del film lo ritrae intento in un dialogo con dei comuni cittadini in metro, a seguito del quale si convince a stracciare i trattati di pace e a continuare la guerra alla Germania. Questo non è mai successo. In realtà, i trattati di pace Churchill non li ha mai nemmeno presi seriamente in considerazione. Questo avvenimento fittizio, combinato con l'agire falso dell'attore e con discorsi nazionalisti sensazionalistici è scioccante: come può un film che manipola la storia in modo così palese godere di tanta popolarità? Ci si può chiedere - e questo, forse, è un aspetto più interessante - se il film voglia deliberatamente ripulire una figura politica controversa (io, come tanti altri, ritengo che Churchill venga ingiustamente celebrato come il portatore della libertà e della democrazia per aver sconfitto i nazisti, mentre non gli venga sufficientemente riconosciuta la responsabilità della carestia del Bengala). Il suo discorso finale nel film fa venire i brividi: non si tratta di nient'altro che di un'aperta glorificazione del nazionalismo britannico di fronte alla quale una "straniera" come me non può che preoccuparsi rispetto al proprio futuro nel Paese.
Analogamente, la più evidente imprecisione storica contenuta in Dunkirk è rappresentata dal whitewashing delle truppe intrappolate sulla costa francese. In un colpo solo, gli sforzi delle compagnie della Royal Indian Army Services così come quello di quattro membri dell'equipaggio a bordo di vascelli mercantili battenti bandiera britannica provenienti dall'Asia meridionale e dall'Africa orientale sono stati cancellati. Per quanto fornisca un ritratto vulnerabile della mascolinità e della guerra, che per certi versi è innovativo, Dunkirk perpetua l'immagine del Regno Unito come del Paese più glorioso in assoluto quando si tratta di agire per conto proprio. Vista in questa luce, la battuta finale "we're going home", pronunciata da Kenneth Branagh mentre volge lo sguardo alle coste britanniche, non si limita ad essere un lieto fine per un gruppo più o meno grande di soldati psicologicamente traumatizzati che fanno ritorno alle proprie famiglie, bensì viene seguito dal discorso di Churchill e da immagini di titoli di giornale che annunciano la vittoria britannica, facendo eco ad un nazionalismo che rassicura i sostenitori della Brexit del fatto che il Regno Unito non ha mai avuto bisogno di nessun altro.
Un altro film che vale la pena nominare è Victoria e Abdul, che ingigantisce a dismisura la probabile simpatia della regina Vittoria nei confronti di un servitore indiano, ritraendo l'amicizia tra i due come la cosa in assoluto più importante che le sia mai capitata. L'assurdità del film - condito da battute fatte a spese delle donne islamiche con lo scopo, ancora, di ripulire e infantilizzare completamente la figura della regina Vittoria - è semplicemente irresponsabile. La scena finale del film, in cui viene inquadrata una statua della regina Vittoria in India, racchiude alla perfezione il ritratto del regno spietato della regina come imperatrice d'India, più che come un divertente scambio culturale. L'unico personaggio che di tanto in tanto richiama all'attenzione la violenza del dominio britannico in India viene letteralmente eliminato. Ancora una volta, qui, viene riportata alla memoria dei sostenitori della Brexit la facilità con la quale il Regno Unito conduceva i propri affari al di fuori dei confini nazionali e come esso sia uscito relativamente incolume dall'era coloniale.
È un fatto noto, sebbene spesso dimenticato, che la televisione non rappresenti unicamente lo specchio dello Zeitgeist, bensì dia anche un contributo importante alla sua creazione. Mentre ci inebriamo guardando milioni di show e film, il nostro modo di percepire e di processare la realtà va pian piano modificandosi. Alla fine è attraverso la cultura in tutte le sue forme che noi non solo impariamo ad interpretare la realtà, ma anche ad immaginare cosa sia possibile. Da decenni, la televisione britannica censura, ripulendolo, il passato controverso e violento del Paese. Così facendo, ha gettato le fondamenta di un nazionalismo che ha portato alla Brexit. Per quanto il nazionalismo non sia di per sé del tutto negativo, diventa problematico laddove questo assume un carattere esclusivo e xenofobo.
Invece di amplificare questi sentimenti di matrice nazionalista, la televisione potrebbe costituire l'antidoto perfetto contro di essi. Approcciando la storia in modo critico, possiamo conoscere la violenza del nazionalismo esclusivo e i meriti della cooperazione transnazionale, esistente in Europa da secoli. Ciò significa mettere a disposizione di quei registi che affrontano la storia da un punto di vista critico ed obiettivo una piattaforma mainstream, così che le persone possano sposare, scegliere e confrontare tra loro diverse chiavi di lettura.
Il fatto che in Europa manchi una piattaforma simile non aiuta di certo. La gente, però, non ne può più di dibattiti stagnanti sul tema Brexit e di costante disinformazione. Un'analisi chiara e trasparente dell'Europa di ieri e di oggi nel cinema e nella televisione potrebbe essere proprio quello che ci vuole.
Questo articolo è frutto di una partnership al 100% europea con Are We Europe, la rivista cartacea più cool del continente. L'obiettivo? Conquistare il mondo attraverso storie senza confini sull'Europa, oltre Bruxelles.
Translated from How British pop-culture gave birth to Brexit