Chi ha ucciso Anna Politkovskaja?
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Il tribunale di Mosca ha condannato i cinque esecutori dell'omicidio della giornalista russa ma il mandante resta impunito. Prima di morire, la reporter aveva denunciato minacce dal Cremlino a causa delle sue inchieste sulla seconda guerra in Cecenia.
Sono stati condannati i cinque presunti assassini di Anna Politkovskaja, la reporter russa uccisa otto anni fa a causa delle sue inchieste sulla Cecenia. La sentenza, pronunciata lo scorso 9 giugno dai giudici del tribunale di Mosca, ha riconosciuto i responsabili dell’omicidio, anche se non è ancora stata fatta luce sulle vere ragioni dell’agguato né sono stati individuati i legami tra l’assassinio e le minacce ricevute dalla giornalista prima del 2006.
Venticinque mesi prima di essere assassinata, era stata vittima di un'intimidazione mentre si trovava a bordo di un aereo che l’avrebbe condotta nel cuore del Caucaso. In una scuola di Beslan, in Ossezia del Nord, centinaia di minori erano stati presi in ostaggio. E i media russi descrivevano la vicenda oscurando i motivi reali di quel sequestro, un sequestro lampo che verrà ricordato come la Strage di Beslan per il numero di bambini (186) e di adulti che furono massacrati a seguito dell’intervento degli agenti russi.
L’intento di Anna Politkovskaja era quello di andare a scavare lì dove i giornalisti schierati dalla parte del Cremlino non erano mai arrivati. Chi tentò di ucciderla a bordo dell’aereo per l’Ossezia? “Avvelenata da Putin”, titolava il Guardian il 9 settembre 2004, pubblicando un articolo scritto proprio dalla Politkovskaja ed in cui la giornalista accusava i vertici del governo russo di aver ordinato l’attentato ai sui danni.
ASSASSINATA NEL GIORNO DEL COMPLEANNO DI PUTIN
Tre, invece, furono i colpi di pistola che condannarono a morte la giornalista. Era il 7 ottobre 2006, Vladimir Putin compiva 54 anni mentre Anna Politkovskaja veniva ammazzata nell’atrio della sua abitazione, a Mosca. Ad ucciderla un commando di almeno cinque persone, tutte riconosciute colpevoli, lo scorso 9 giugno, dal tribunale moscovita: Rustam Makhmoudov e Lom-Ali Gaitukajev, ritenuti rispettivamente la "mano armata" e la "mente" dell’assassinio, sono stati condannati all’ergastolo; condanne anche per due fratelli e un ex funzionario di polizia, che per il giudice avrebbero preso parte all’agguato ai danni della reporter. Le pene sono state comminate dopo che la Corte Suprema avevano annullato la prima sentenza di colpevolezza ai danni dei cinque per “vizi procedurali gravi” e mentre il tribunale di Mosca condannava un altro presunto mandante dell’omicidio. Si tratta di Dmitri Pavliutchenkov, ex colonnello della polizia, spedito al carcere duro per aver pedinato la giornalista e fornito agli assassini informazioni utili al fine di organizzare l’agguato.
È l’ex tenente colonnello, al momento, l’unico presunto mandante ad essere stato processato per l’omicidio della Politkovskaja. La sua decisione di collaborare con la giustizia, e quindi la notizia che l’agente fosse pronto a rivelare notizie scottanti sull’omicidio Politkovskaja aveva mosso la stampa di tutto il mondo. Ma le accuse di Pavliutchenkov erano presumibilmente tese soltanto ad incastrare i nemici di Putin: il mandante dell’omicidio riconobbe come organizzatori dell’agguato un separatista ceceno e un oligarca russo, entrambi acerrimi nemici di Vladimir Putin. “Pavliutchenkov dice solo quello che gli inquirenti vogliono che dica”, aveva commentato, in merito alle accuse dell’ex tenente, il vicedirettore de la "Novaja Gazeta", il quotidiano per cui la Politkovskaja lavorava al tempo dell’omicidio.
LE INCHIESTE PER SFUGGIRE ALLA CENSURA
Le notizie raccolte dai reporter russi in merito al caso Politkovskaja e i dubbi sulla vera identità del mandante dell’assassinio giungono in Europa principalmente grazie all’informazione che passa attraverso internet. Sì, perché i giornalisti anti-Cremlino continuano ad urlare il presunto silenzio pilotato della stampa russa e ad affidarsi ai mass media che sfuggono a una possibile censura. “È assurdo – scriveva la Politkovskaja in un suo articolo del 2004 - ma non era forse lo stesso durante il comunismo, quando tutti sapevano che le autorità dicevano idiozie ma fingevano che l'imperatore fosse vestito? Stiamo ricadendo nell'abisso sovietico (...) Tutto quel che ci rimane è internet, dove si può ancora trovare liberamente informazione. Per il resto se vuoi continuare a fare il giornalista, devi giurare fedeltà assoluta a Putin”.
I RACCONTI DEL MASSACRO IN CECENIA
I reportage di "Anja", come gli amici chiamavano la giornalista russa, descrivevano in profondità la realtà della seconda guerra cecena, quel conflitto tanto sanguinoso quanto blindato ai giornalisti russi e di tutto il mondo. Le cause delle ostilità tra la Federazione russa e la Cecenia erano apparentemente palesi a tutti: da un lato la democrazia russa, dall’altro bande di separatisti ceceni unite a gruppi di fondamentalisti che volevano la reintroduzione della sharia. Anna Politkovskaja voleva che venissero rivelate le vere ragioni del conflitto e soprattutto voleva raccontare le storie della popolazione cecena, vittima di un vero e proprio genocidio. E lo faceva in modo puntuale, andando nei villaggi sconosciuti all’opinione pubblica, lì dove il massacro di innocenti poteva compiersi nell’indifferenza comune. Era questo l’unico modo per ottenere notizie limpide, non filtrate dal servizio della stampa militare. Era questo l’unico modo per dare voce alle vittime silenziose. Un amore per la verità che l’ha fatta scappare via da un destino che per lei aveva in mente un ingresso facile nell’alta società russa e le ha fatto imboccare invece la strada della morte. “Essere una persona in Cecenia – si legge in un articolo firmato dalla Politkovskaja e riportato su ‘Internazionale’ - non ha lo stesso significato che in occidente. Una persona in Cecenia è un soggetto biologico privo di qualsiasi diritto e della possibilità di contare sulle strutture dello Stato”.