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Che diavolo è il volontariato europeo

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Viola Fiore

Meno conosciuto rispetto a programmi più popolari come Erasmus o Leonardo, il Servizio Volontario Europeo (Sve) è arrivato al dodicesimo anno di attività e vede crescere il numero di partecipanti.

Lo Sve è una delle “azioni” del programma della Commissione europea Gioventù in azione e ha lo scopo di far partecipare ragazzi dai 18 ai 30 anni, qualunque sia il loro livello d’istruzione, a attività di volontariato all’estero. Si possono effettuare soggiorni da due a dodici mesi nei Paesi dell’Unione europea, nei Paesi aderenti al programma (Norvegia, Islanda, Liechtenstein, Turchia), in quelli confinanti con l’Ue (Paesi dell’area mediterranea, caucasica e dell’Europa sudorientale e orientale) e anche, in teoria, nel resto del mondo. In pratica, però, non è facile trovare partner che accolgano i volontari al di fuori dell’Europa. 

Come si diventa volontari europei?

Gli aspiranti volontari devono per prima cosa contattare un “ente di invio”, un’organizzazione sul loro territorio che li invierà all’estero. Per trovarla basta rivolgersi al punto Informagiovani della propria città o contattare l’Agenzia nazionale incaricata di gestire il programma nel proprio Paese di residenza. A questo punto, i volontari potranno iniziare a cercare il progetto Sve che fa per loro sul database del sito di Gioventù in azione. Le aree d’intervento sono molteplici: dal più tradizionale settore dell’handicap a quello dell’ambiente o della cultura. Una volta trovato il progetto giusto s’invia il curriculum e si aspetta una risposta. Chiaramente, più si è adattabili e più curricula si mandano, più probabilità si hanno di essere accettati dall’ente di accoglienza che ha elaborato il progetto.

Lo Sve di Lucie e Tzveta in Italia

Lucie e Tzveta sono due giovani volontarie, una francese e una bulgara, incontratesi a Borgomanero, un paesino in provincia di Novara, nel nord Italia. «Ho scelto di fare lo Sve perché volevo fare un’esperienza all’estero», dice Lucie. «Non conoscevo lo Sve, avevo provato con l’Erasmus ma non mi avevano presa. Studio italiano da tre anni e volevo veramente andare in Italia. Così alla fine ho trovato questo progetto, e sono partita». E il progetto non l’ha delusa. «Il nostro lavoro principale consiste nel promuovere lo Sve nelle scuole, durante manifestazioni culturali ecc…» prosegue la ragazza. «Ma lavoriamo anche con un’associazione per donne in difficoltà e con un negozio di commercio equo e solidale».

Anche Tzveta è contenta del soggiorno italiano: «Dopo essermi laureata in legge avevo bisogno di fare una nuova esperienza prima di cominciare la vita “seria” del lavoro. Mi serviva una pausa per capire se davvero volevo lavorare nel campo del diritto, se insomma avevo capito tutto quello che volevo fare nella vita». A cose fatte, le due ragazze, che hanno anche creato un blog per raccontare il loro Sve, e si sentono cambiate: «Personalmente mi sento più forte e indipendente, e anche convinta di quello che voglio fare in futuro», afferma Tzveta. Lo Sve ha anche permesso loro di conoscere molte persone e di viaggiare per l’Italia.

I vantaggi dello Sve

«L’aspetto che rende unico lo Sve», dice Davide Vergnano, il loro tutor, «è che l’attività si svolge in un ambito protetto: il volontario è accolto da un’organizzazione che ha in genere un forte spirito di accoglienza». Al volontario vengono dati vitto e alloggio, oltre a una piccola indennità mensile. Non si tratta, comunque, di un impiego retribuito e per lavorare come volontario è comunque necessaria una forte motivazione. 

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