Centro Astalli: l’Europa senza muri passa da Ballarò
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Il Centro Astalli di Palermo da ormai 10 anni è punto di riferimento per tutti gli immigrati, extracomunitari, rifugiati e richiedenti asilo in cerca di aiuto e dei servizi di prima accoglienza. Reportage di un giorno vissuto all’interno delle strutture del centro dove la parola d’ordine è solo una: solidarietà.
C’è un cuore pulsante nel centro storico di Palermo che batte all’unisono tra varie etnie come il tessuto connettivo di un sostrato sul quale edificare nuove identità culturali. Lì, nel quartiere Ballarò si trova il Centro Astalli, nato nel 2003 come scuola d’italiano condotta dai volontari della Comunità di Vita Cristiana presso il CEI, e dal 2006 punto di riferimento, per rifugiati, stranieri e immigrati presenti nel territorio.
Ad anticiparne il melting pot del quartiere, si snodano uno dietro l’altro i negozi indiani di accessori e abbigliamento di via Maqueda, prima di arrivare in piazza Santi Quaranta Martiri al Casalotto, sede del centro di accoglienza. Qui ci si imbatte subito in una pluralità di voci e racconti, di suoni e odori, una babele che ritrova il suo ordine nei ritmi frenetici. Volti stanchi, sguardi rivolti verso il basso, sorrisi mesti, nella sala di attesa si ha la sensazione che chiunque si rechi al centro voglia farsi notare il meno possibile. Le donne attendono con i loro bambini che arrivi il proprio turno per entrare nel bazar, gli uomini aspettano la visita medica, i ragazzi l’ora di lezione.
Servizi di prima accoglienza, assistenza e corsi di lingua italiana
C’è chi parla bene l’italiano, specie i più giovani, chi si fa capire a gesti. Il centro è aperto a chiunque, ma soprattutto a tutti gli stranieri non comunitari che vivono a Palermo e che si trovano in difficoltà. Ma è aperto anche a noi, che ci lasciamo guidare al suo interno. Per iscriversi bisogna sostenere un colloquio conoscitivo e compilare la scheda di iscrizione in cui inserire i dati anagrafici e il motivo legato alla permanenza: rifugiato politico, ricongiungimento familiare sono solo alcuni esempi. I tesserati hanno così diritto ai servizi di prima accoglienza: colazione, doccia, sportello legale, ambulatorio, distribuzione abiti, scuola di italiano, lavanderia, e centro di ascolto. E, visto che lo scopo è supportare coloro che provano a muovere i primi passi verso l’autonomia, esistono anche i servizi di seconda accoglienza: orientamento legale, orientamento al lavoro e l'ascolto. Servizi organizzati da volontari e mediatori qualificati.
«Conoscono il centro tramite il passaparola,» ci racconta Giulia, una delle giovani volontarie presenti al desk, «recentemente sono venuti circa 50 eritrei che erano in viaggio da un anno dopo essere stati bloccati per cinque mesi nei campi libici. Sono arrivati in condizioni tremende». E continua: «Abbiamo preparato loro la cena ma nessuno ha iniziato a mangiare fin quando tutti hanno avuto il proprio piatto. Persone che non mangiavamo da chissà quanto tempo e ricordo che uno di loro mi ha ringraziato per avere avuto, per la prima volta, un piatto tutto per sé».
C'è anche un bazar per gli indumenti
Il centro si popola alle 8 del mattino, all’ora della colazione. Circa una trentina di persone attendono di consumare il primo pasto della giornata. Si offrono latte, caffè, biscotti, rosticceria, frutta. E, se il cibo termina prima che tutti abbiano mangiato, non capita di rado che un volontario vada a comprarne dell’altro e di tasca propria. Yenni è una volontaria svedese e presta il suo servizio la mattina. Capelli biondi e fini raccolti in una treccia, occhi di un azzurro profondo, gonnellona gialla e ballerine, sembra non curarsi del nervosismo che spesso regna tra i tavoli della mensa – spazio che vive nella costante dialettica tra l’io e l’altro, in cui le diverse culture si mettono a confronto – ma il suo vero problema è il poco cibo. Yenni si preoccupa solo che basti per tutti. Poi ci sono Alfonso, Gianni, Etienne, Giulia, Emanuele, Giovanna e gli altri volontari al desk che si occupano – o preoccupano – di tutto il resto.
Come del bazar: uno spazio adibito a negozio gratuito dove ognuno può prendere abiti o scarpe per adulti e bambini. Tantissimi i vestiti a disposizione, l’organizzazione è esemplare: tutto è ordinato per genere e taglia, le scarpe per misura. Benché sembri piuttosto facile individuare il vestito adatto alle proprie esigenze o la tutina della taglia del proprio bambino, non tutti sembrano a proprio agio: molti sono analfabeti e non distinguono lettere da numeri. A colmare questa difficoltà ci pensano i volontari, come Gianni che racconta: «Scelgono due o tre tipi di capi e poi vanno via. I vestiti vengono donati da gente comune che altruisticamente regalano abiti in ottimo stato. Quando ne abbiamo a sufficienza, inseriamo sui social gli appelli di aiuto».
"Vorrei sposarmi, avere dei figli, una vita normale"
Dopo la nostra chiacchierata, Giulia ci presenta una delle tante donne che arrivano al centro in cerca d’aiuto. Lei è marocchina, si chiama A. (chiede che il suo nome completo non sia pubblicato). Il suo sorriso è magnifico. La sua risata contagiosa. Le sue parole toccanti: «Ho 33 anni. Vivo a Palermo da gennaio 2007. Sono andata via dal mio Paese in cerca di un lavoro, in Marocco non ho potuto studiare e qui ho cercato una vita nuova. Ho lavorato sei anni come badante, ma dal 2013 sono disoccupata perché l’anziana che assistevo è morta. Vengo al centro da poco prima dell’estate. Mi trovo benissimo anche se a volte manca un po’ di spesa e qualche vestito, ma è normale perché la gente che viene adesso è tanta. Ma non dobbiamo lamentarci troppo».
A. ci racconta anche del suo difficile inserimento a Palermo: «Il razzismo, purtroppo, è dilagante. Ma non è un problema solo italiano. Sono molti i Paesi in cui lo straniero non è accettato. A volte mi è capitato di essere emarginata, ho pianto molto, mi hanno risposto male, perché per alcune persone non valgo niente. Ma sono pochi questi casi, altre persone mi hanno fatto sentire come a casa, in una famiglia. Adesso il peggio è passato». Sorride. Poi rivela il suo sogno più grande: «Vorrei sposarmi, avere dei figli. Una vita normale. Con un matrimonio sarebbe più completa». E prima di salutarci ci lascia con una riflessione tremendamente vera e i suoi occhi rivelano un pizzico di amarezza nel pronunciarla: «I ragazzi del centro pensano a tutto. Pensano alle persone che sono qui, questo è raro. Non lo fanno tutti. Oggi chi aiuta il prossimo?».
C’è chi va subito via e chi invece rimane a scambiare quattro chiacchiere con qualche amico. Passano le ore e il lavoro dei ragazzi s’intensifica sempre di più. La frenesia tra i volontari alle prese con mille documenti, carte e richieste d’aiuto, aumenta per le tantissime persone che affollano il centro e che ancora verranno in cerca di aiuto e di speranza.