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Cento modi per dire "maschio" prima che sia troppo tardi

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società

In principio fu David Beckham. Era il 1994. Eh sì, sono passati già diciassette anni da quando il giornalista inglese Mark Simpson utilizzò per la prima volta il termine “metrosexual”, facendo riferimento al calciatore britannico. Da quel momento non ci si è più fermati. L'obiettivo?

Cercare di etichettare con il neologismo dell'ultim'ora la mascolinità contemporanea, nel disperato tentativo di non confonderla con l'omosessualità o con una qualunque forma di “femminizzazione”. Un esercizio stilistico e sociologico - sapientemente orchestrato dal mercato, - che sembra aver offuscato la riflessione sulla donna e, forse, sottovalutato l'inarrestabile cavalcata dell'ex sesso debole verso la vittoria sul maschio. Riepilogo.

È finita. Gli uomini non esistono più. Non vi fidate di me? Beh, allora fidatevi di Hanna Rosin e del suo ultimo libro “The end of men (and the rise of women)”, il cui concetto di fondo – come scriveStephanie Coontz sul New York Times – è che "viviamo in un nuovo mondo in cui sono le donne che portano il pane a casa, e nel quale le mogli della classe media sottomettono i propri mariti mentre gli uomini single, demoralizzati, si rifugiano in una perpetua adolescenza".Ma quando è cominciata la lenta agonia del maschio contemporaneo? È ormai da quasi vent'anni che si cerca di seguirne le evoluzioni, eppure non c'è nessuno che le abbia mai messe in relazione con il suo crescente smarrimento davanti a un genere femminile che, al contrario, continuava ad avanzare verso il suo obiettivo, senza mostrare la benché minima pietà per un avversario poco abituato alla lotta e ormai destinato al ko.

Il “metrosexual”: ecco a voi l'uomo-specchio

La prima rivoluzionaria riflessione sui cambiamenti del maschio contemporaneo la troviamo in un articolo di Mark Simpson pubblicato sul quotidiano The Indipendent nel lontano 1994. Il concetto è molto semplice: anche gli uomini – non necessariamente gay o bisessuali - "desiderano essere desiderati". È l'allora calciatore del Manchester United David Beckam ad incarnare il perfetto "metrosexual”, il primo a mettere in vendita sui campi da gioco di tutto il mondo un corpo talmente curato da far scivolare in secondo piano i suoi meriti sportivi. Da quel momento il mondo dello sport è diventato l'habitat ideale per il neonato uomo-specchio. Chi non ricorda le pubblicità di Dolce&Gabbana con alcuni giocatori della nazionale italiana che posano in mutande e con i muscoli ben oliati o il calendario "Dieux du Stade"? Ecco, questi sono due classici esempi di “spornography”, "un'estetica post-metrosessuale – scrive Mark Simpson - in cui sport e pubblicità si incontrano per convincerci di quanto il corpo dell'uomo sia irresistibile". Ma qual è il confine tra esibizionismo e “femminizzazione”? Se per il metrosexual - come scrive Mark Simpson - "non è importante sembrare girly, ma giusto essere hot", cosa ne pensa chi invece non sopporta che la propria eterosessualità venga messa in discussione?

La “menaissance” e la ribalta del “retrosexual”

Il fatto che Arnold Schwarzenegger durante la convention repubblicana del 2004 abbia chiamato i suoi rivali "girlie men" mostra che la definizione è legata a filo doppio ad una certa ambiguità sessuale. Se da una parte, infatti, i gay non volevano essere scambiati con i metrosessuali, dall'altra anche gli etero-tradizionalisti non erano affatto contenti che si facesse confusione. I tempi insomma erano maturi per l'arrivo del “retrosexual”, un nuovo calderone idiomatico pensato per salvare gli uomini “normali”. La serie tv di successo "Mad Men" è uno dei primi prodotti culturali a cavalcare l'onda della “menaissance”. Il protagonista della serie, Don Draper, rappresenta infatti il retrosexual: un pubblicitario di successo degli anni '50, sposato e con tre figli, playboy incallito con la sigaretta in bocca e il bicchiere di scotch in mano. Il modello “funziona” e quindi si ricomincia a fabbricare neologismi. Alcuni - pressoché inutili - sono utilizzati solo per dare una sfumatura più mascolina al concetto di metrosessuale: “übersexual”, “heteropolitan”, “machosexual”; altri - variazioni sul tema vagamente perverse – sembrano invece essere in grado di veicolare comportamenti sociali al limite del ridicolo: è il caso dell'“hammersexual”, ovvero del maschio che «mangia solo cibo da uomini, guida vecchi veicoli militari in città e legge libri da uomini su come si fa ad essere uomini»; o della cosiddetta "speedophobia”, cioè la discriminazione nei confronti degli uomini che indossano costumi da bagno attillati.

Il “megasexual”: cinquanta sfumature di maschio

Se l'uomo, insomma, si perde e si ritrova in mille definizioni di se stesso, le donne – giudici sadiche e implacabili di questo circo degli orrori – sembrano avere le idee chiare sull'uomo ideale, l'unico – almeno si spera – in grado di soddisfare i loro desideri. Si tratta del cosiddetto “megasexual”, quello che la scrittrice femminista peruviana Gabriela Wiener definisce come "un misto tra il lupo cattivo e un orsetto di peluche".

Il mercato fabbrica una nuova tendenza e i successi tutti al femminile della saga vampiresca di “Twilight” o della recente trilogia “Cinquanta sfumature” sono il suo cavallo di Troia. Così, il “tenero vampiro” Edward Cullen e il giovane, bello e ricco - ma con manie sadomasochiste - Christian Grey diventano gli oggetti del desiderio di una donna ormai vedova dell'uomo normale: dolci, cortesi, affettuosi ed educati da una parte, mostruosi, diabolici, pericolosamente viziati dall'altra. Ma questo modello di uomo esiste davvero? Per quanto ci si possa esercitare con i mazzi di rose di giorno e le manette di sera, è più probabile di no. In tal caso a queste super-donne moderne non resterebbe che consolarsi con masturbazioni letterarie e cinematografiche da quattro soldi. Per cui mi chiedo: non converrebbe anche e soprattutto a loro accontentarsi di ciò che c'è sul mercato? È per una buona causa: salvare questo povero maschio prima che sia troppo tardi!

Foto: (cc)hyperxp/flickr; Hanna Rosin ©hannarosin.com, Dieux du stade ©Facebook Dieux du Stade