C+C=Maxigross: "In Italia c'è poco da tirarsela"
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Vengono dalla Lessinia, in provincia di Verona, ma Cafébabel li incontra in Olanda, a Groningen, durante il festival Eurosonics 2014. I C+C=Maxigross ci parlano di loro, della loro musica, ma anche dei problemi delle band emergenti italiane. Senza peli sulla lingua.
Prendete 20 persone che si conoscono da molto tempo, infilatele in una casa in montagna con degli strumenti e dategli un registratore: i C+C=Maxigross nascono così, un po’ per caso, da una jam session, nel lontano 2009. 5 anni dopo li incontriamo al festival Eurosonics di Groningen perché rappresentano l’Italia nel panorama europeo dei gruppi emergenti. Nel frattempo hanno vinto l’Arezzo Wave, girato per 3 anni il Belpaese con un pulmino, pubblicato il loro primo album, Ruvain, e collezionato, tra Europa e Usa, più di 100 concerti. Cantano soprattutto in inglese e suonano una musica che spazia dal country al folk, passando per lo psichedelico. Sarà che vengono dalla montagna, ma dopo aver parlato con loro, si ha la sensazione che, anche in Italia, si respiri un po' di aria fresca.
Cafébabel (Cb): È vero che siete arrivati in machina?
C+C=Maxigross: Sì, anche perché il pulmino si è rotto…
Cb: Quale pulmino?
Un mezzo con cui ci spostavamo di solito. Si è rotto per l’ennesima volta, così lo stiamo riparando per rivenderlo ai primi che lo comprano.
Cb: Tappe di passaggio?
Ieri eravamo a Liegi, in Belgio. Il giorno prima in Francia, a Mulhouse.
Cb: Che sensazione si prova a essere invitati al festival Eurosonics?
Beh, è una bellissima occasione, un festival di rilievo internazionale.
Cb: Quali altri tour avete fatto?
Abbiamo girato l’Italia no stop per 3 anni e gli Stati Uniti, dove abbiamo suonato a Boston e New York.
Cb: Miglior pubblico italiano, europeo e statunitense?
Roma per l’Italia – menzione particolare al locale Fanfulla. Berlino – quartiere Kreuzberg,– per l’Europa, e New York per gli Usa.
Cb: Una band italiana oltreoceano. Come vi hanno introdotto nei locali?
Ma in realtà sono molto più tranquilli che in Italia. Non gliene frega da dove vieni, o chi sei; basta che “spacchi”: è molto stimolante. Siamo arrivati in un locale dove c’era una band che suonava punk, stile Ramones. Certo, non è un genere innovativo, ma come suonavano... da Dio!
Cb: Perché, gli italiani sono snob?
Da noi importa chi sei, da dove vieni, ma non cosa fai. La gente non guarda il genere o lo stile. Conta soprattutto chi ti presenta. L’immagine vince sulla sostanza.
Cb: Festival Eurosonics, lista degli invitati: 6 gruppi italiani contro 26 inglesi. La musica emergente italiana non esiste?
No, semplicemente non riesce a farsi esportare all’estero. Ci sono un sacco gruppi di musica alternativa validissimi che però non sfondano al di là del confine nazionale. C’è un problema di abitudine. Un musicista del nord Europa non pensa “di dover sfondare anche all’estero”. Piuttosto, fa parte del suo mestiere, ovvero: creare arte condivisibile da tutti.
Cb: C’è chi dice che sia impossibile competere con Usa e Inghilterra sul fronte del rock e del pop…
Esagerato… il problema è anche nelle radio si sentono sempre le solite canzoni. C’è anche una responsabilità dei media, senza parlare delle major. In Italia fa molto comodo istruire le persone a un ascolto specifico.
Cb: Cioè?
Diciamo che l’audience italiana vuole la musica italiana e i media si regolano di conseguenza. Nascere a Napoli o Manchester, non determina un dna "rock", o meno.
Cb: Esiste un problema strutturale o politico in Italia?
Sì. Con i tempi che corrono, non c’è da aspettarsi che la cultura venga sostenuta dalle istituzioni, o che ci saranno degli investimenti. I primi settori che vengono colpiti dalla crisi sono i settori della cultura. È per questo che bisogna andare oltre.
Cb: Cosa consigliereste a un giovane artista italiano?
Concentrarsi sulla musica e assumere l’attitudine da artista.
Cb: Cosa vuol dire?
Dedicarsi a una ricerca del suono, ma anche concettuale; vuol dire entrare nel mood, nello spirito che si coltiva nei Paesi dove il rock è cultura nazionale. In Inghilterra, i giovani capiscono che fare il musicista è un mestiere come un altro, con tutte le conseguenze del caso che ciò comporta.
Cb: Per un giovane artista, la partenza per l’estero rappresenta una soluzione?
Se fai musica in italiano, ti limiti rispetto a un mondo che c’è fuori. A noi questa scelta non interessa e conseguentemente lavoriamo in un’altra direzione. Se ottieni successo, fai comunque il bene del tuo Paese. E comunque, i gruppi che hanno più successo in Italia sono autoreferenziali: suonano sempre negli stessi locali, sono veicolati tramite le stesse etichette. È un circolo vizioso che si autoalimenta.
Cb: Nel singolo Low Sir cantate “Mariwana for potatoes”…
“Mariwana for potatoes”... (risate)... è una situazione in cui noi scambiamo della mariwana per delle patate... (doppie risate)... La patata in senso figurato… (risate deliranti)... Diciamo che il brano racconta tutti gli accidenti che capitano a uno di noi e “mariwana for potatoes” non è che una magra consolazione. Le nostre canzoni comprendono tante parti introspettive, ma anche altre deliranti, dato che nascono da momenti di divertimento collettivo.
Cb: Quanto conta l’autoironia nella musica?
Molto. I nostri cd contengono volontariamente errori, perché “cogliere l’ago nel pagliaio” non ci rappresenterebbe affatto. In Italia esiste una cultura del perfezionismo che a tratti sembra allontanare l’artista dal pubblico. C’è poco da tirarsela e bisogna puntare alla sostanza. Poi, essere “cazzoni” fa parte della nostra musica. Che senso avrebbe vestirsi in giacca e cravatta?
Info:
Da ascoltare: Ruvain, primo album dei C+C=Maxigross, rilasciato nell'Aprile del 2013 (etichetta Vaggimal Records, distribuzione Audioglobe).
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