Caso Milosevic : autonomia della politica e certezza del diritto
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La collaborazione di Milosevic nei negoziati di Dayton non può inficiare il suo attuale giudizio: politica e diritto non possono essere confusi.
Quello che è accaduto il 28 giugno scorso è un avvenimento del tutto nuovo, e per molti versi inatteso, che ha fatto gridare alla vittoria del diritto: Milosevic, despota detronizzato, sarà giudicato dal tribunale dellAja per i crimini di cui è accusato; la cosa sembrava impossibile a verificarsi dati gli accordi che questi aveva stipulato con gli Stati occidentali e che sembravano perciò garantirgli unimmunità che faceva gridare di dolore le vittime del carnefice.
Alcuni considerano un paradosso il fatto che siano proprio quegli Stati che avevano preferito trattare col boia dei Balcani nel quadro degli Accordi di Dayton a trascinarlo adesso sul banco degli imputati, attribuendo maggiori poteri al TPIY e ampliandone la credibilità.
Molti si chiedono se, a questo punto, ci sia una vera vittoria dello jus gentium o se, invece, non sia lipocrisia occidentale a trionfare; se, nello stesso tribunale, non sia imputata anche la politica occidentale e se, date le lacune che si presenteranno nellambito del giudizio del TPIY, non sarà impossibile giudicare il sistema nel quale gli accusati hanno agito.
Totalmente differente era stato il giudizio del regime nazista a Norimberga, perché completamente diversa era la situazione allindomani della seconda guerra mondiale. Nessuna collaborazione era stata offerta dai capi nazisti, né tantomeno era stata chiesta dai vincitori che come tali giudicarono i convenuti sulle ali dei sentimenti popolari, e dei propri, perchè colpiti troppo da vicino dal conflitto.
Nel contesto balcanico, invece, ci troviamo di fronte ad un soggetto che, a seguito delle elezioni yugoslave, è uscito sconfitto non dalla guerra ma dalla politica. Elezioni che hanno comportato la caduta e quindi la delegittimazione del capo di Stato con cui si era trattato fino a poco tempo prima, aprendo così le porte alla sua convocazione dinanzi ad un tribunale internazionale.
Ma il fatto è che ci troviamo di fronte a un soggetto che ha comunque fornito una fondamentale collaborazione per la soluzione della crisi bosniaca. Collaborazione di cui, ai fini della pena, non si può di certo non tener conto: assolutizzare la pena non sarebbe, infatti, un ulteriore errore dopo quelli già commessi? Una summa Iustitia non porta forse alla maxima iniuria? Lerrore in questione non sarà così della politica, bensì della giustizia cosa che non può permettersi in un sistema giuridico che operi secondo diritto. La politica è vincolata dalle sue non-regole, libera da ogni moralismo; il diritto non può essere moralizzato a fronte di un giustizialismo deleterio che comporterebbe unincertezza preoccupante.
Nella geopolitica europea le valutazioni da fare nei confronti di Milosevic sono di diverso tipo: assicurare un criminale alla giustizia garantendo il rispetto dei diritti umani e, al tempo stesso, affermare la separazione tra politica e giustizia la cui compenetrazione sarebbe deplorevole.
Non è la politica occidentale perciò ad essere sul banco degli imputati. Anzi la stessa comunità internazionale, dopo aver messo alla gogna Milosevic, per quanto possibile lo assolverà: come accade ad ogni soggetto che abbia collaborato con le autorità. Lopinione pubblica sarà accontentata in qualche modo; la politica occidentale salverà la faccia dietro ad un gioco di prestigio continuando ad esaltare il suo preteso maggior grado di civiltà; e Milosevic punito, ma sottratto al massimo della pena per buona condotta.
La verità è che avremo bisogno di tribunali che non soffrano le pressioni degli ordini internazionali degli Stati da un lato e dellopinione pubblica mutevole dallaltro. Di tribunali capaci di operare in assoluta autonomia nella valutazione della giustizia: da non applicare come procedimento matematico ma sempre agganciato allesperienza concreta. Sicuramente grande aiuto potrebbe essere portato dalla entrata in vigore dello statuto della Corte Penale Internazionale, dotando questa anche di strumenti coattivi. Per il momento tale Statuto non è in vigore, né tantomeno esistono regole circa il modo di operare nel processo Milosevic. Ma le regole sono lelaborazione della prassi: non vengono dal nulla, e perciò importante sarà lo svolgimento del processo, dal quale si trarrà la regola di condotta.
Al momento si deve operare nellordinamento internazionale considerando limportanza che hanno i giudicati e la giurisdizione al di fuori di Statuti e Convenzioni, riaffermando cioè lo jus gentium, unica soluzione prima di un consolidamento in prassi e successiva codificazione - alla stregua di quanto accaduto nellambito europeo con la supremazia riconosciuta al diritto comunitario, che si è affermato con lentezza e riluttanza degli ordinamenti nazionali.
Lipotesi di ipocrisia della politica sembra del tutto semplicistica guardando alle complesse relazioni internazionali da valutare dal punto di vista del Diritto e della supremazia degli Stati nazionali; e ridurre tutto a considerazioni di carattere morale, oltre che ingenuo, significherebbe erodere la certezza non solo del Diritto internazionale ma anche quella dei singoli ordinamenti nazionali. Tutto diverrebbe allora discutibile in base a valori morali difficilmente valutabili in sede gerarchica, di opportunità e di relatività storica.
Non sarebbe opportuno allora lasciar lavorare il Tribunale Internazionale in autonomia, senza pressioni di carattere politico e morale in modo da poter dedurre dal caso in questione una prassi che diverrà poi regola ed affermare così la vera vittoria del diritto? Vogliamo che si instauri un Ordinamento Internazionale superiore alle leggi nazionali? Che vengano unificate le condizioni per accedere ai Tribunali e i metodi di cooperazione tra Stati? Attendiamo il lento delinearsi della situazione consapevoli che non tutto potrà ottenersi oggi, ma col tempo, con la consapevolezza che i giudici si avvarranno di quel consequentialist argoment che tiene conto delle ripercussioni nel mondo circostante. Non si tratta di un acritico atto di fede ma di una fiducia cosciente nei confronti del diritto e dei tribunali e nel loro corretto operare al di fuori dei ragionamenti tipici della cultura della diffidenza e della corruzione. Limportante è non fasciarsi la testa prima di rompersela.