Carta di Palermo: il Bill of Rights dei migranti
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Un anno fa, il 15 marzo 2015, fu firmata la Carta di Palermo, con un obiettivo chiaro: percorrere il sentiero che conduce dalla migrazione intesa come sofferenza, alla mobilità come diritto umano inalienabile. Ne abbiamo parlato con Adham Darawsha, presidente della Consulta delle Culture e tra i promotori di questo documento simbolico e rivoluzionario.
«Perché in Italia non si riesce a fare in modo che l’accoglienza sia un valore aggiunto, invece che speculazione e sofferenza?». Se lo chiede con ironia il Presidente della Consulta delle culture, Adham Darawsha, medico di origine palestinese e palermitano d'adozione. Si potrebbe dire che è un immigrato "che ce l'ha fatta", ma secondo lui «non esiste alcun migrante che ce l’abbia fatta, perché anche chi è riuscito a salvarsi dalla morte, dentro si porterà per sempre la ferita di chi ha dovuto lasciare la propria terra».
Immigrazione: una pioggia di interrogativi
Un anno fa il capoluogo siciliano, nel mezzo di un flusso migratorio senza precedenti, ha provato a dare una risposta forte: la Carta di Palermo. Il documento concepisce «il diritto alla mobilità come diritto alla persona umana» e sogna «una cittadinanza di residenza». La parola immigrazione, rimbalzando prepotentemente tra le copertine, i Parlamenti europei, i discorsi da caffè e i talk show, apre le porte a interrogativi sempre più incalzanti: come la convivenza può diventare una ricchezza? L'immigrazione e la sicurezza funzionano insieme? Un immigrato ha diritto a lavorare, ad avere un ruolo attivo a livello sociale? Insomma, l'immigrazione è una risorsa o un problema? Il 15 marzo 2015, al termine della tre giorni chiamata Io sono persona, è stata presentata e firmata la Carta di Palermo.
Si tratta di una dichiarazione d'intenti, un utile punto di partenza con un solo e preciso obiettivo: percorrere il sentiero che porta «dalla migrazione come sofferenza alla mobilità come diritto umano inalienabile». Tra le tante proposte messe nero su bianco, una si pone in netto contrasto con le attuali leggi vigenti in materia d'immigrazione: l’abolizione del permesso di soggiorno, ritenuto da Darawsha «una vera malattia che impedisce qualsiasi forma di accoglienza vera, perché diventa un ricatto». L'immigrato si trova imbrigliato nella burocrazia, che troppo spesso gli impedisce di poter finalmente radicarsi con il proprio bagaglio identitario.
Cosa dice la Carta di Palermo
La Carta di Palermo vuole ribaltare la situazione: sopra ogni parola soffia il vento dei valori fondanti dell’Unione europea, nata come «unione di minoranze», costruita sull’assunto che «nessuna identità è maggioranza» e sull'importanza di convivenza, democrazia e libertà. L'immigrato deve diventare parte integrante dell'Europa e deve avere diritto a muoversi nel continente. «È un progetto talmente in contrasto con la politica nazionale che quando ebbi il primo incontro col sindaco Orlando pensavo fosse una follia totale, un'utopia. Però l'utopia ha una forza importante, riesce a smuovere la realtà,» aggiunge Darawsha.
Quando il documento fu pensato l'Europa non era stata ancora colpita nel cuore dal terrorismo, nessuno Stato membro pensava alla chiusura delle frontiere e meno che mai alla fine di Schengen. Nonostante i muri fossero ancora lontani, gli ideatori della Carta avevano ben presente il tema della sicurezza. Così, accanto al titolo del convegno Io sono persona compare il disegno di un'impronta digitale, «per ricordare che ogni esigenza, a partire da quella della sicurezza, deve essere rispettosa del migrante come persona umana e della mobilità come diritto,» ricorda ancora il presidente della Consulta.
Nel testo si analizzano varie criticità: la gestione dei centri e dei canali di accoglienza, le logiche sottese alla prassi del lavoro degli immigrati, l'esclusione dei migranti dalle liste per l'assegnazione degli alloggi popolari e le enormi difficoltà per accedere alle prestazioni del Servizio sanitario nazionale. Nella Carta di Palermo si pone l'accento su un argomento importante e sempre attuale. Ed ecco che torniamo all'annosa domanda: in Italia l'immigrazione è un problema? Purtroppo sì. Il migrante non è riconosciuto come una risorsa da custodire e formare, ma come una persona sulla quale poter lucrare. Il sistema d'accoglienza ha molte falle e lo Stato non riesce a portare a termine interventi strutturali veramente efficaci. E per questo affronta il problema con la solita filosofia: l'emergenza.
La Consulta delle Culture e la sua attività testimoniano il lavoro svolto nella città per farla diventare centro di convivenza e di integrazione. Lavorando senza budget né poteri esecutivi, nei suoi due anni di azione la Consulta ha puntato a far conoscere le comunità immigrate tramite le attività più diverse: incontri, convegni, seminari, un giornale e addirittura un programma radio. La Consulta, puntando sull'aspetto religioso e culturale, ha cercato di valorizzare le diversità, le tradizioni, le culture, tentando di superare tutti gli ostacoli normativi a livello comunale. L'obiettivo era rendere tutti i cittadini, senza nessuna distinzione, uguali davanti alle leggi comunali. «Come Consulta non abbiamo mai chiesto privilegi, perché vogliamo vivere gli stessi problemi dei palermitani,» prosegue Darawsha. A livello nazionale ovviamente tutto si complica, ma i risultati sin qui raggiunti sono tangibili nel quotidiano. Il presidente ne fa un esempio: «Due anni e mezzo fa, quando un immigrato cercava di entrare a Palazzo delle Aquile veniva subito bloccato dalle guardie. Gli facevano mille domande. Ora entriamo e usciamo senza problemi. Ecco perché la nostra politica ha lavorato bene».
Quale destino per Schengen?
Il documento proposto dal Comune di Palermo parte proprio dall'importanza di un'Unione europea fondata sulla libera circolazione delle persone. «Se dovesse essere abolito Schengen per assecondare la pancia di alcuni elettori, potremmo parlare di un vero fallimento delle istituzioni democratiche europee,» commenta con chiarezza Darawsha. «L'Unione è nata come un'utopia, proprio perché i padri fondatori sono riusciti ad andare oltre gli egoismi delle società dei propri Paesi, hanno saputo volare alto. Oggi mi pare che si voli molto in basso».
La Carta di Palermo è rivoluzionaria, guarda al futuro, contiene intuizioni che se messe in pratica potrebbero cambiare davvero il volto dell'Europa. E non è passata inosservata. Qualcosa, lentamente, si muove. Le prime risposte sono arrivate dalla magistratura. Un mese fa una sentenza del Tribunale di Palermo ha riconosciuto per la prima volta in Italia l'esistenza di un'associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani. La Carta nel frattempo sta facendo il giro d'Europa. È stata presentata al Bundestag tedesco e al Parlamento europeo di Strasburgo, ricevendo risposte positive. Pochi mesi fa Andrea Camilleri, dal palco del festival letterario Una marina di libri, diceva della Sicilia: «Siamo il frutto gloriosamente bastardo di tredici dominazioni, dalle quali abbiamo preso il meglio e il peggio». Oggi una Carta rivendica a gran voce il diritto alla contaminazione culturale, il diritto a convivere nelle nostre diversità, il diritto alla mobilità, il diritto ad essere umani. Insieme.
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Pubblicato dalla redazione locale di cafébabel Palermo.
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