Caro Galasso, (nun) scurdammece ‘o passato del Risorgimento
Published on
Non torno spesso nel mio Sud. Ma quando capita – come durante questa pausa natalizia – non posso non osservare la realtà, spesso fatiscente, che attanaglia le menti. I mali della mia terra non si riducono al racket e alla Camorra, all’apatia della pubblica amministrazione e alla fuga dei cervelli. C’è di più. Mi riferisco all’incoscienza storica.
In un articolo dello storico Giuseppe Galasso, pubblicato oggi sul Corriere del Mezzogiorno, l’autore lamenta lo scarso interesse registrato, nell’anno che si chiude, per il bicentenario della morte di Giuseppe Garibaldi, uno dei principali artefici dell’unità d’Italia. Galasso punta il dito contro “l’ennesima giaculatoria borbonica” fustigando una pretesa alterazione del passato, nell’odierna società meridionale, volta a demonizzare il Risorgimento accusato, tra l’altro, di aver frenato lo sviluppo del Sud, “trattato come paese vinto” dai Savoia. Il celebre storico conclude sperando che “nasca una coscienza europea che sciolga i nodi irrisolti delle storie nazionali europee di cui la questione meridionale italiana è certo uno dei casi massimi”. Insomma, “basta piangerci addosso” – sostiene Galasso – “scurdammece ‘o passato; pensiamo al futuro”.
Benissimo. Ma non ci sembra proprio che nel Sud Italia si sia arrivati a un eccesso di memoria storica. Anzi. Nelle scuole nostrane si insegna ancora l’Unità come la chiave di volta del destino nazionale, l’inizio delle magnifiche sorti e progressive, il trionfo della ragione sulla barbarie borbonica.
La realtà è un’altra. Il Regno delle Due Sicilie dell’Ottocento poteva vantarsi della prima tratta ferroviaria d’Italia e dei primi scavi archeologici al mondo. Era l’unico Stato del Vecchio Continente senza coscrizione e viveva di un commercio florido coi paesi del Mediterraneo. Napoli era la terza città d’Europa per popolazione e vita intellettuale e, non a caso, aveva visto scoppiare la prima “rivoluzione francese” nel 1799 guidata – udite, udite – da una donna (Eleonora Pimentel Fonseca).
Cosa portò l’Unità d’Italia del 1861? Barriere tariffarie con l’estero per servire gli interessi dell’industria pesante piemontese – e che avrebbero schiacciato l’economia del Sud, prima apertissima al commercio estero. Una pressione fiscale estenuante che avrebbe raggiunto il suo acme con la tassa sul macinato del 1868. Un servizio militare obbligatorio di cinque-anni-cinque che avrebbe spinto orde di giovani verso il brigantaggio. Migliaia di soldati del nuovo Regno che non parlavano le lingue del Meridione e che, con la Legge Pica del 1863, applicarono la legge marziale per sedare le rivolte anti-Savoia. Per non parlare del fenomeno controverso dei campi di concentramento per meridionali.
Insomma l’Unità mise in moto una spirale ottusa di odio, sottosviluppo sociale e depressione economica che diede vita all’emigrazione di massa, alla mafia e alla “questione meridionale”.
Non si tratta di cedere a facili nostalgie e rimpiangere il regno borbonico. Ma di prendere coscienza della nostra storia. Anche perché le nuove generazioni possano giocare un ruolo fondamentale nel nostro tempo.
E l’Europa? Non possiamo non concordare con Galasso: la coscienza europea è fondamentale per rilanciare il Sud Italia. E in qualità di fondatore del primo media paneuropeo, cafebabel.com, non potrei dire il contrario. Nel resto del Vecchio Continente, però, - penso alla Catalogna, alla Corsica o alla Bretagna – essa non serve a dimenticare il passato. Ma a contestualizzare, riconoscere i mali della nostra storia – fatta anche di sangue, repressioni e intolleranza – per poter ripartire su basi nuove. Bisogna valorizzare le lingue e le culture locali e immaginare nuovi equilibri transnazionali capaci di archiviare l’esperienza ormai anacronistica dello Stato Nazione. E costruire un’Europa della diversità protesa verso il futuro. E cosciente della sua storia.