Caro Erasmus, ti scrivo...
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Erasmo da Rotterdam, è stato lui l’inconsapevole ispiratore del programma di mobilità studentesca che ha cambiato la vita a milioni di persone nel mondo. Proprio come, in effetti, l’ha cambiata anche a me.
Alla fine i nodi vengono sempre al pettine, e per quanto abbia cercato di procrastinarlo, il fatidico momento dei bilanci è arrivato. È sempre un problema accettare la fine di una relazione, e la fine della nostra, caro Erasmus, ho provato in tutti i modi a prolungarla, a mascherarla, a camuffarla, ma lei è rimasta sempre lì, in agguato, pronta a riaffacciarsi.
Quando anche l’ultima amica, superstite di questi mesi passati in trasferta bruxelloise, che avevo convinto a rinunciare ad un mese di sole italiano per viaggiare tra Olanda e Germania, ha lasciato la casa vuota e in ordine, mi hai costretto ad accettare l’evidenza: anche tu, uno dei capitoli più belli e importanti della mia vita, sei finito e mi stai chiedendo di lasciarti andare. Ma io mi sono ormai abbarbicata qui come l’edera, al mio condominio belga, ai muri della mia stanza costellati di souvenir, alla vista dalla finestra non mi stancherò mai di guardare.
Ti ho pensato, ti ho cercato, ti ho aspettato e ho lottato per averti. Alla fine ti ho conquistato e sei diventato mio. Come in ogni relazione che si rispetti ci sono stati alti e bassi, incomprensioni e paure, delusioni e gioie, diritti e doveri. Ma appunto, ora che siamo alle battute finali, posso solo dire grazie (soprattutto a me) che ti ho scelto quando eri l'opportunità più difficile, la meno ovvia e la meno scontata.
Nonostante avessi trovato il mio equilibrio e il mio mondo a Firenze, sono riuscita a non cullarmi e a non crogiolarmi sugli allori, mi sono lasciata "influenzare" da chi credeva che potessi spingermi ancora oltre per crescere umanamente, ancor più che professionalmente. Perché, diciamocelo pure caro Erasmus, non è per migliorare la media sul mio libretto universitario che ti ho inseguito, visto che cambiando nazione e lingua sapevo bene che l’avrei condannata ad un picco verso il basso. L'ho fatto per cercare di dare un senso alla mia curiosità verso tutto cio che è diverso.
Dopo tutti questi mesi, capisco perché c'è ancora chi pensa che, in fondo, tu sia solo una perdita di tempo, che non vale la pena di compromettere una lode per te, che tu sia un investimento inutile e a perdere, soprattutto economicamente. Per alcuni è così, ed io per prima mi sono ritrovata a pensarlo nei momenti più difficili che ho affrontato, ma sempre con la consapevolezza che si trattava di momenti; difficoltà passeggere che sempre ci saranno, qualsiasi scelta si abbia il coraggio di fare. Nella vita niente è mai tutto "rose e fiori", e come in tutte le occasioni che ti pongono davanti a delle alternative, ci si deve sforzare sempre e costantemente per riuscire a cogliere quella migliore per sé stessi, e a farla poi funzionare.
Il mondo esterno, bigotto e lamentoso, pensa a te, Erasmus, solo come tappa della perdizione, la scusa perfetta per dedicarsi, come mai prima nella propria vita, a diventare fedeli osservanti della triade: feste, alcol, sesso occasionale. Inutile mentire, te sei sì tutto questo ma anche molto di più. Non c’è niente di male a fare festa: per di più, a Bruxelles, è il Comune stesso che organizza spesso festival e concerti totalmente gratuiti, trasformando il Parlamento europeo, il Palazzo reale, il Palazzo di giustizia o la Borsa in scenografie davvero mozzafiato. Rinunciare alle feste equivarrebbe a impedire a sé stessi di vivere davvero Bruxelles e il Belgio, che è esattamente quello che io volevo fare.
Fermamente convinta della necessità di circondarmi il più possibile di autoctoni, ho fatto di tutto per trasformarti in qualcosa di più di un semplice semestre; di tessere una rete sottile di relazioni, che andassero ben al di là della cerchia élitaria di architetti della mia facoltà. Non garantisco di esserci riuscita, ma almeno sono sicura di averci provato. Sicuramente mi sono messa in gioco in una maniera un po’ meno convenzionale, meno facile e "diversamente stereotipata": questo mi ha permesso di conoscere la città come forse molti altri tuoi "ex" non hanno fatto.
Andare in bici fino a casa del tuo amico bruxellois, organizzare tipiche cene a base di raclette, o bere rigorosamente solo birra belga dopo la tua settimana d’iniziazione alla Brassicole. Comprare il pain au chocolat al Carrefour per la colazione con la tua coloc, fare merenda con il gaufre (da noi noto con il nome germanico di waffel... a proposito, meglio quello di Liegi o di Bruxelles?), cenare in Place Jourdan con un cartoccio di frites. Tutto questo fa parte del pacchetto all-inclusive "Erasmùs à Bruxelles", tanto quanto le lezioni in facoltà alle otto e mezza di mattina.
Non sapevo bene come sarei arrivata a finire questo racconto, sono ancora troppo coinvolta sentimentalmente per parlarti con lucidità, per farti un’analisi a posteriori di tutto quello che realmente hai significato per me. Non vorrei trasformare il mio discorso né in un panegirico né in una condanna, caro Erasmus: non spingerò nessuno a cercarti e a seguirti, perché è una responsabilità troppo grande decidere per gli altri e dare consigli. Voglio solo dire a chi sarà così fortunato da incontrarti, che esiste un prima e un dopo di te; e che dopo, niente sarà più come prima. Se in meglio o in peggio, starà a loro deciderlo.