Cantieri navali di Palermo, racconti dal secolo scorso
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Ascoltando le storie di chi ha lavorato ai Cantieri navali di Palermo negli anni Sessanta, si comprende come uno dei poli cantieristici più importanti del Mediterraneo abbia avuto un passato glorioso, stia vivendo un presente incerto e vada verso un futuro imperscrutabile.
Restano agitate le acque su cui si affacciano i Cantieri navali di Palermo. E pensare che nel 2014 l'allungamento della nave da crociera MSC Armonia aveva ridato lustro e speranza a questo sito, che – con un'opera di ingegneria senza precedenti – aveva consentito l'inserimento all'interno della nave di un troncone di 24 metri e 900 tonnellate, in un'operazione a secco e non in acqua, primo caso in Italia. Ma già dall'estate 2015 sono riprese le agitazioni sindacali, con le principali sigle che hanno chiesto a Comune e Regione una regia chiara per il futuro del polo cantieristico. Vista l'assenza di nuove commesse e il suo impiego sporadico a causa di saltuari e insufficienti lavori di manutenzione, si rischia la chiusura di uno dei tre bacini una riduzione dell'organico, composto oggi da circa 460 lavoratori.
Le origini
Un presente problematico, per una realtà industriale che custodisce un passato lungo e glorioso, iniziato nel 1897 grazie ai Florio (in queste settimane abbiamo perso l'ultima discendente della famiglia), che lo fondarono vicino al vecchio Arsenale borbonico, modificando per sempre le fattezze della città ed il suo tessuto lavorativo e sociale.
Ai primi del '900, l'impresa siciliana confluì poi nella società Cantieri Navali Riuniti, siglando un gemellaggio con i cantieri di Ancona e Muggiano. Ma è dal lavoro e dalle varie commesse portate a termine in quegli anni, che oggi si può intuire tutto il prestigio dei Cantieri navali palermitani: la nave reale Savoia nel 1925; quattro caccia torpedinieri e un incrociatore, che combatterono durante la Seconda Guerra mondiale; i lavori alla corazzata Giulio Cesare nel 1948. Poi, nei decenni successivi, tantissime navi passeggeri per la Tirrenia, navi cargo, petroliere e traghetti ancora oggi in esercizio.
Le storie: "un'officina meccanica con macchinari immensi"
Vincenzo, 72 anni, entrò ai Cantieri navali come disegnatore nel 1962, e racconta con emozione la magia insita nel trasformare tonnellate di acciaio in navi che, una volta varate, solcavano il mare palermitano per i necessari collaudi. Vivo è il ricordo del lavoro e del fermento creativo nei diversi reparti: «Era una grande risorsa di tutti i cittadini. C'era spazio per tutti coloro che avevano un mestiere: tornitori, elettricisti, tubisti, saldatori, fonditori, aggiustaggio e gruisti. Tantissimi miei parenti avevano trovato un posto di lavoro, e durante la giornata li incontravo alla banchina di riarmamento, ai bacini in muratura o presso quelli galleggianti. Mi incantavo nel vedere lavorare alberi a gomito giganteschi in un'officina meccanica con macchinari immensi, o nell'enorme deposito lamiere e nella sala tracciatura».
Vincenzo disegnava al tecnigrafo in una sala a vetri con vista sul porto di Palermo, e ricorda le navi messe in fila, in attesa di entrare ai Cantieri per una riparazione. Navi della Mærks e della Texaco impegnate in complesse manovre, un fervente spettacolo che appassionava per ore, mentre nell'aria danzava un sentore di oli industriali e fuliggini minerali che per lui resterà sempre indimenticabile.
«Una nave su cui sono stato impegnato parecchio, una grande trasformazione, è stata l’ammiraglia olandese Willem Ruys. Fu comprata, portata a Palermo, svuotata e trasformata dopo trent'anni di servizio in transatlantico moderno, l'Achille Lauro. A bordo a prendere misure, ho avuto l'opportunità di conoscere ufficiali, il commissario di bordo, i direttori di macchina, tutta gente che poi avrebbe fatto la rotta Rotterdam-Sidney in viaggi lunghi un mese, e che con gli anni non ho più rivisto. La nave è poi naufragata al largo della costa somala nel 1994».
"48 anni di matrimonio e ben cinque figli"
Erano questi i Cantieri navali, un polo di lavoro metà industriale e metà artigianale dove i palermitani potevano confrontarsi con esperienze, usi e costumi stranieri che arrivavano dal mare. Caterina, 82enne del quartiere Arenella, racconta il lavoro prima da pontista e poi all'aggiustaggio di suo marito Francesco Paolo. «Faceva il turno di notte, e a bordo delle grandi petroliere c'erano equipaggi irlandesi che arrivavano con galloni di birra. Loro bevevano, lui e la sua squadra facevano i lavori rincasando alle sei del mattino. Dopo anni di questo duro lavoro, entrò effettivo nel 1977».
Quando Caterina racconta del male che si è portato via Francesco Paolo a 71 anni, solleva un dubbio inquietante che restituisce anche tutta la durezza del lavoro: «All'inizio non ci ho mai pensato, poi con gli anni e con tutte le notizie che si sentono, mi sono chiesta se qualche inalazione avesse potuto avere a che fare con la sua malattia. Del resto ricordo che nel reparto sabbiatura gli operai, terminati i lavori, erano ricoperti di detriti e sporchi di nero, e per questo venivano appellati dai colleghi con il nomignolo di Mao Mao».
Caterina ricorda che quando andava in città con l'autobus, questo doveva fermarsi in via dei Cantieri per consentire alla fiumana di operai di uscire dal lavoro, un'attesa interminabile perché si parlava di oltre tremila operai. Numeri confermati anche da Alessandra, 74 anni: «Arrivata da Firenze nel '55, entrai nel '60 all'ufficio tecnico meccanico, dove registravamo tutti i pezzi impiegati per riparare le navi, utilizzando la macchina da scrivere. Nel '62 ero invece all’ufficio contabilità, addetta al controllo delle ore lavorative degli operai. Stiamo parlando di oltre tremila operai».
Alessandra, ai Cantieri, ha anche incontrato l'amore della sua vita: «Andavo a pranzare alla mensa e lo incontravo mentre giocava a ping pong, io con una tazza di caffè in mano. Era più giovane di un anno, ma a diciannove anni si vedeva che era più ragazzino di me. Per un anno non accadde nulla e quasi mi scordai di lui, ma un giorno di pioggia, mentre aspettavo l'autobus davanti alla porta del cantiere, in un periodo in cui tra l’altro stavo male, lui si fermò con l’auto e mi chiese se volessi un passaggio. Accettai, e da quel giorno seguirono 48 anni di matrimonio e ben cinque figli».
Com'è andata a finire
Le storie dei lavoratori sono tante, ma "la storia" dei Cantieri Navali di Palermo alla fine di quegli anni prenderà una svolta decisiva: i Cantieri rimarranno esclusi dal processo di riorganizzazione della cantieristica italiana e, dopo numerose riduzioni di organico, dovranno aspettare il 1984 per entrare nella galassia Fincantieri e conoscere un ammodernamento. Insieme ad ulteriori pensionamenti, senza la creazione di sufficienti nuovi posti di lavoro.
Oggi il polo resta in grado di costruire e ristrutturare ogni tipo di nave, ed è ancora uno dei più importanti del Mediterraneo, con una ritrovata competitività nell'aggiornamento e manutenzione delle piattaforme petrolifere e di trivellazione. Ma le architetture razionaliste in via dei Cantieri che ospitavano alloggi, mense, teatri e altri luoghi di rappresentanza, sono perlopiù abbandonate: una triste e tangibile testimonianza di un passato ben più operoso.
Sui Cantieri navali di oggi, Vincenzo ha un'opinione forse un po' semplicistica, ma che coglie la sfida del rilancio: «Se si vogliono attrarre nuove commesse, serve un bacino da 80mila tonnellate. Quello odierno ne ha 40mila non è competitivo». La questione probabilmente è un po' più complessa. Resta il fatto che pochi giorni fa la Fiom ha reso nota l'intenzione del Ministero dello sviluppo economico di convocare entro fine mese un tavolo tecnico: all'ordine del giorno proprio la realizzazione di un bacino di carenaggio da 80mila tonnellate.
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