Calcio, inclusione e popolo gitano
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Le popolazioni romaní e il mondo del calcio: una discriminazione di cui si sa poco. A Barcellona, per la prima volta, una conferenza sul tema si è tenuta all'interno dell'iniziativa promossa dal FARE, Football Against Racism in Europe.
La presenza gitana in Spagna è confermata a partire dal 1425, e non si può che definire la popolazione gitana come "autoctona". Numerosi aspetti della cultura catalana derivano infatti da quella gitana. Un esempio su tutti? Flamenco e rumba sono danze di origine zingara.
Gitani catalani, oppure gitani e catalani?
La Spagna rappresenta quasi un'eccezione nel panorama europeo: qui i Roma godono infatti di un'integrazione non paragonabile a quella di altri paesi europei. Mentre in Italia quasi la metà della popolazione gitana stimata è costretta a vivere in campi più o meno attrezzati costruiti dallo Stato (seguendo il pregiudizio che la popolazione gitana sia tutt'oggi nomade e per cui l'Italia è stata denominata "il Paese dei campi"), in Spagna e in Catalogna in particolare, i gitani sono stanziali, vivono in appartamenti, sono inseriti nei percorsi scolastici di base, seppur con un'alto tasso di abbandono, e conducono attività commerciali.
Nonostante ciò, la condizione dei gitani catalani non è del tutto rosea: quasi la metà della popolazione gitana in catalogna riferisce di aver sperimentato nella sua vita episodi di razzismo. La discriminazione si ripercuote in tutti gli aspetti della vita, dall’educazione all'accesso alla salute, dall’abitazione alla ricerca del lavoro. Il sottile confine tra l'essere considerati cittadini catalani, a tutti gli effetti, e cittadini "di serie B" è troppo facile da oltrepassare.
Anche i gitani giocano a calcio
Il 14 ottobre si è tenuta a Barcellona la prima conferenza sulla discriminazione del popolo gitano nel calcio, promossa dalla FAGIC, la Federazione delle associazioni gitane di Catalogna, all’interno degli eventi organizzati dal FARE, la rete di associazioni Football aganist racism in Europe.
La FAGIC, che rappresenta oltre 80 mila gitani catalani, è nata nel 1991 proprio con lo scopo di contrastare l’anti-ziganesimo. Ad oggi sono attivi numerosi progetti volti all’integrazione e all’inclusione sociale. Ad esempio la FAGIC si occupa di mediazione fra la comunità gitana e non gitana in vari contesti, dal carcere al posto di lavoro. Sono inoltre organazzati workshop tematici sulla ricerca del lavoro, nonché conferenze e scambi giovanili finanzianti dall'Unione europea.
Lo sport deve educare
La conferenza "Calcio, inclusione e popolo gitano" si è concentrata sulle discriminazioni nel mondo dello sport, nel calcio in particolare. Il calcio è in Spagna lo sport più sentito, e per questo può essere un vettore sia di buoni che di cattivi esempi.
Ciò che è emerso dai tre panel è l'assoluta importanza dell'educazione dei giovani aspiranti calciatori e soprattutto dei genitori: «È più importante educare i genitori che i figli,» ha affermato Josep Llaò, della Federazione calcio catalana. Non solo, ha aggiunto Marta Carranza, responsabile del Dipartimento sport della municipalità di Barcellona «il calcio ha bisogno di avere un fine educativo, altrimenti diventa veicolo di pregiudizi se l'unico valore che si trasmette è quello di essere competitivi».
Competizione e senso di comunità
«Ma come possiamo educare al compagnerismo e all'educazione se il principale messaggio, che i grandi team calcistici promuovono nelle loro squadre giovanili, è quello di essere i migliori, i più competitivi?» si è domandato Pere Garcia, vicepresidente della FAGIC. Essenzialmente è questo il nodo principale che va sciolto affinchè la violenza e il razzismo siano eliminati dal mondo dello sport. Una soluzione proposta è stata quella di insegnare «ad essere competitivi per raggiungere i propri sogni, non per i soldi,» ha proposto Xavi Gimènez, perché in sé per sé l'elemento della competizione è quasi impossibile da estirpare nel calcio professionale, mentre è possibile farlo in quello amatoriale.
A confermare questo aspetto l'esperienza diretta dell'ex calciatore amatoriale, oggi allenatore, Uriol Rodriguez, che ha raccontato le difficoltà che egli stesso ha incontrato per giocare a calcio, dato che proveniva da una famiglia con poche risorse economiche. «Il calcio deve essere uno sport per divertisi, senza che nessuno ne sia escluso per il colore della pelle,» ha detto.
Il calcio femminile, eterno "amatoriale"
«Ciò che guadagna un calciatore in un mese è quanto un club di calcio femminile ha per tutto l'anno,» Sónia Matias, ex calciatrice dell'Espanyol e ora coordinatrice della squadra femminile Molins de Rei, ha "rivelato" quanto è dura e persistente la discriminazione di genere nel calcio, non solo ad un livello per così dire di base, ma anche ad un livello più alto. Lo si nota dal disinteresse che le grandi società dimostrano per il calcio femminile, condannato così a restare amatoriale, indipendentemente dal livello di gioco delle calciatrici.
Uno strumento per l'integrazione
Il principale ostacolo che i gitani incontrano nel calcio è di natura socio-economico: l'indigenza in cui versano le famiglie è pregiudiziale per l'iscrizione dei bambini e delle bambine ad una scuola calcio. Non consente di sostenere i costi della retta e dell'attrezzatura richiesta.
Non mancano tuttavia alcune iniziative per superare questi ostacoli, come dimostra l'esperienza della ONG rumena Policy centre for roma and minorities, rappresentata da Raluca Negulescu: «Abbiamo iniziato un progetto che ci dicevano sarebbe stato impossibile. Perché impossibile? Volevamo reinserire nel tessuto sociale tutti quei bambini rom costretti a vivere in un ghetto, che non dà possibilità di emergere: il calcio ha motivato questi bambini a ritornare a scuola».
Ancora, a testimoniare come sia possibile che il calcio diventi uno strumento di integrazione, la presenza del club di calcio giovanile Ascola JunFrau, che ha iniziato a giocare come una squadra "di strada" ed oggi è federato con l'FC Badalona, in seconda categoria.