Budapest Blues: la rapsodia degli studenti contro il governo Orbàn
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Budapest. Da circa un mese, la facoltà di lettere è occupata da un manipolo di studenti che chiedono al governo Orbàn di ripristinare i fondi statali all’istruzione e abolire il famigerato contratto, che permette loro di studiare gratis ma solo a condizione di restare in Ungheria almeno il doppio del tempo dei loro studi.
Cronaca di cinque giorni nella capitale ungherese, dove il Danubio riflette le inquietudini e l’adrenalina dei suoi spiriti più giovani, tra una notte di paura e delirio in biblioteca, vestiti di seconda mano, palinka e voglia di libertà.
Lungo i portici di Kossuth Lajos utca, sotto le coperte sbiadite, si intuisce la sagoma dei senzatetto del quartiere. Il sole splende sulle cupole verdi dei palazzi sbiaditi che ingioiellano questa strada impolverata e barocca, con il teatro Puskin, i negozi di chincagliere ungheresi e gli uomini sandwich che distribuiscono volantini per acquistare gioielli.
Students Association is watching you!
ELTE, la facoltà di lettere e filosofia, si ripara dal traffico di Astoria dietro le volute dell’edificio. Nella stanza numero 47 dell’edificio A è ora di pranzo. Sandwich prosciutto e formaggio non si lesinano anche a chi non ha l’aria di essere uno studente, mentre nell’aula comincia il dibattito. Da 11 giorni, i ragazzi di Halligatói Hálózat (Haha), nome ungherese dell’associazione Students Network, conducono un’occupazione pacifica ma tenace reclamando i famosi “six points”.
Tra gli spalti, incontro Marton Fogl, 22 anni, studente di Filosofia ed Estetica. All’assemblea delle 18, pochi studenti, qualche professore. “Io non voglio andare all’estero”, esordisce. Non è il solo ad aver raggiunto la protesta per una questione di principio. Anche Bàlint Bokros, 17 anni, liceale, è dello stesso parere. “Non vogliamo sentirci incatenati alla nostra terra”, mi spiega. “Io voglio restare in Ungheria”, continua, “ma quello che sta facendo Orbán è contro le leggi europee e contro ogni progetto di mobilità giovanile”.
HÖK (Students Association), storico sindacato studentesco, che negli ultimi giorni ha preso le distanze dai ragazzi di HaHa, cercando, in qualità di rappresentante ufficiale degli universitari, un accordo con il governo, si rifiuta di rilasciare dichiarazione alcuna. La motivazione è una lista della vergogna venuta fuori qualche giorno prima, un vero e proprio database segreto con informazioni sull’etnia, la religione, l’orientamento sessuale e persino l’aspetto delle nuove matricole, scoperta che costerà loro la sospensione dall’incarico.
Zombie, regole e ombre: una notte nell’università occupata
È l’una di notte. Nella stanza 47, scorgo Bàlint in un angolo, già assonnato. Gábor, 25 anni, è uno dei pochi a parlare inglese, mi accoglie festoso e mi consiglia di restare. “Non sono poche le notti in cui la facoltà diventa teatro di inseguimenti”, mi spiega, guidandomi nell’edificio di fronte. Inizio a giocare insieme agli studenti che, tra urla e risate, commentano: “stai cercando di parlare con quelli di Fidelitas? Impossibile, sono loro i veri zombie”, dice Attila, 36 anni. Fidelitas, movimento giovanile di Fidesz, partito al potere, sembra, in effetti, una roccaforte irraggiungibile. “Per le prossime elezioni ci vorrebbe un miracolo, che rivoluzioni tutta la classe politica”, s’inserisce David, giovane studente di Sociologia, in un perfetto italiano, “altrimenti non ci resta che rassegnarci alla coalizione Jobbik e Fidesz in Parlamento e trasferirci in massa all’estero”. Sono ormai le 4 e il quartier generale dell’occupazione si prepara a un’altra notte.
"Gli ungheresi sono con Orbán", il verbo di Fidelitas
Bence, 26 anni, giornalista ungherese di Budapest, ha studiato nella stessa università dove da due giorni è tornato per seguire l’occupazione. “I ragazzi di Fidelitas vivono nel mondo delle ombre”, mi spiega, “è il loro obiettivo, non confondersi con la gente comune, non avere un dialogo, rendersi invisibili”. Chissà cosa avrebbe detto se avesse saputo che solo due ore dopo una di quelle ombre era dietro la mia porta, presso il mio ostello.
Il popolo ungherese ha bisogno di regole, non sa gestire la libertà
Csaba Faragó, 30 anni, è il segretario internazionale di Fidelitas. Si siede e sorride compiacente. “Siamo un partito di centro-destra, che condivide i valori della democrazia cristiana”, si presenta così, come un’incarnazione del suo partito: bassa statura, capelli corti, taglio preciso, tutto d'un pezzo. Si accomoda nel mio salotto, sicuro di sé e per nulla pronto a mettere in discussione le sue convinzioni: “Orbán ha già concesso tanto agli studenti”, mi dice, “e poi perché un contribuente dovrebbe pagare gli studi a un ragazzo ungherese che poi lascerà il paese?”, si chiede. “Ci sono scioperi, proteste, occupazioni, ma gli ungheresi sono con noi”, conclude, “ e vinceremo le prossime elezioni senza bisogno di alleanze, tanto meno con Jobbik”.
Scettico davanti al disappunto dell’opinione pubblica europea, scandalizzata dalla condotta arbitraria di Orbán, Csaba continua: “la verità è che il governo ungherese attira sempre più investimenti da parte di imprese estere, intralciando le mire di Francia, Inghilterra e Germania”, dichiara sicuro, “anche in Romania non si tiene conto dell’opinione dei cittadini, ma nessuno protesta”. Prima di andare, mi stringe la mano e si congeda: “Il popolo ungherese ha bisogno di regole, non sa gestire la libertà”.
Di povertà si fa virtù
È sabato pomeriggio. Al terzo piano di un edificio nascosto in Blaha Lujza Ter, una libertà allegra e autogestita sembra regnare sovrana. Siamo al Müszi, giovane e autonomo contenitore culturale. Emőke Domokos, 21 anni, ha iniziato a lavorare nel sociale con i bambini. “Poi ho capito che è meglio partire dagli adulti”, sorride. “Credo nelle persone singole, non in azioni collettive”, spiega con candore, ribadendo quanto la politica sia distante dalla sua vita quotidiana. Autonoma, in grado di pagare il suo appartamento a Budapest, si divide tra lo studio e il lavoro e conduce una vita all’insegna del riciclo creativo, cucendo i vestiti da sola e organizzando mercatini. “Oggi ci si limita a consumare e buttare tutto”, continua. “L’arte del riciclo non è solo per i più poveri ma è sempre più comune a Budapest”, mi spiega, “e in fondo credo che la crisi ci stia spingendo a tirare fuori la nostra creatività”.
In facoltà, mi riferiscono che un eventuale accordo con il rettore permetterà loro di avere un’aula più grande per i dibattiti. Sono decisi ad andare avanti. Qualche giorno fa, tuttavia, il presidente János Áder ha ratificato il quarto emendamento alla costituzione, redatto da Orbán, che limita i poteri della corte costituzionale, autorizza il diritto a espellere i senzatetto dai luoghi pubblici e introduce ufficialmente l’obbligo di lavorare in Ungheria per un numero ancora non specificato di anni per gli studenti che hanno ricevuto aiuti finanziari dallo stato per frequentare l’università.
La politica ungherese si allontana sempre più dai suoi quartieri brulicanti, dai mercatini e dalle corse spensierate nell’università. “Bisogna iniziare a creare la felicità e il benessere nel proprio piccolo, senza aspettare una soluzione dall’alto”, suggerisce Emőke. E la libertà che si respira nelle strade di Budapest sembra darle ragione.
Foto: (cc) VN; Rebeka © Eloisa d'Orsi.
Budapest è la prima tappa del nostro progetto di reportage ‘EUtopia on the ground’; continuate a seguirci per le prossime fermate ad Atene e Varsavia
Il progetto EUtopia on the ground è finanziato dalla Commissione Europea attraverso il Ministero degli Affari Esteri, la Fondazione Hippocrène e la Fondazione Charles Léopold Mayer.
Grazie a Nóra Kébel, Rebeka Dóra Kajos e al team di Budapest di Cafebabel