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Brexit a Bruxelles: divorzio breve per Regno Unito e Unione Europea

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Riccardo Santini

Bruxelles non ha avuto un bel risveglio venerdì 24 giugno. Le istituzioni europee, in stato di choc, hanno cercato di affrontare questo salto nel vuoto irreversibile. Parole d’ordine: velocità e nessun dubbio o incertezza. 

Nessuno voleva crederci e fino al 23 giugno, data del referendum sulla Brexit, tutti sembravano piuttosto ottimisti circa la volontà del popolo britannico di continuare a far parte dell’Unione Europea. Ma all’alba del 24 giugno tutti si sono accorti con apprensione che il Regno Unito metteva fine a questa relazione di “Ti amo… ed io di più” con l’Unione Europea e al continente ha preferito prendere il “gran largo”, come diceva Churchill. Al di là dello choc significativo, è la tristezza lo stato d’animo predominante nella capitale dei 28 paesi membri, diventati 27 nell’arco di una notte dopo 43 anni di unione.

Il ruolo delle istituzioni: agire in velocità ed evitare contagi

Che sia al palazzo Berlaymont, sede della Commissione Europea, al Parlamento Europeo o al palazzo Juste Lipse, sede del Consiglio, la priorità resta quella di evitare una reazione a catena. Mentre all’annuncio del divorzio britannico rimbombano per tutta europa richieste di referendum nazionali (Frexit, Nederxit…), i presidenti del Parlamento (Martin Schulz e i presidenti dei gruppi politici) si riunivano per una “Conferenza dei Presidenti” straordinaria alla quale hanno richiesto una mini-sessione di urgenza per martedì 28 giugno.

Martin Schulz, Presidente del Parlamento, ha parlato di «un momento difficile per l’Unione e per il Regno Unito», ma come ha aggiunto Tusk, «è un momento storico, ma non per questo l’isteria deve prendere il sopravvento». Tutti sono d’accordo su un punto: bisogna agire in velocità ed evitare l’effetto domino. Alle 9.30 del primo giorno dopo il referendum, mentre Martin Schulz prendeva parola a Bruxelles, David Cameron annunciava le sue dimissioni davanti al civico 10 di Downing Street, con effetto tra solo… 3 mesi, lasciando quindi il tempo alla Gran Bretagna di dare avvio alla procedura prevista dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona che prevede “un’uscita volontaria e unilaterale” dall’Unione.

Impensabile, secondo Guy Verhofstadt, Presidente del gruppo ALDE al Parlamento. Secondo il politico liberale, l’Europa deve valutare il prima possibile - sia da un punto di vista giuridico che processuale - quali siano le prossime tappe necessarie. Non c’è tempo da perdere in lotte intestine del partito conservatore britannico con il rischio di vedere altri Stati membri invocare referendum nazionali.

Il giorno dopo il referendum, Martin Schulz si è espresso con molta emozione e con la voce tremolante. Ma tutti concordano che bisogna rispettare la scelta del popolo britannico e iniziare il procedimento il prima possibile. Come molti, Manfred Weber, Presidente del gruppo PPE (Partito popolare europeo, ndr) si «dispiace di questa decisione, ma va affrontata con rispetto», motivo per cui si aspetta, da parte di David Cameron, una tempestiva presa di posizione.

Che ne sarà della Scozia e dell’Irlanda del Nord?

Contrariamente ai loro compatrioti inglesi e gallesi per la maggioranza euroscettici, gli scozzesi si sono mobilitati in massa per mantenere lo status quo, così come l’Irlanda del Nord (rispettivamente 62 e 56% per il remain, ndr), per la quale non è stata una gran sorpresa svegliarsi e scoprire questa separazione contro la loro volontà.

Le reazioni non si sono fatte aspettare da parte dei nazionalisti: il Sinn Feìn, ex vetrina politica dell’Esercito Repubblicano Irlandese (IRA) ha reclamato, sin dalla pubblicazione dei risultati, un referendum per l’unificazione dell’Irlanda. Non va dimenticato che l’Europa ha investito miliardi in seguito all’accordo del “Good Friday” che hanno messo fine, nel 1998, a 30 anni di scontri confessionali. A metà mattinata è stato il turno di Nicola Sturgeon, Capo del Governo scozzese, a prendere posizione. La politica, che vedeva il «proprio futuro all’interno dell’Unione Europea» ha precisato che sarebbe più che verosimile che la Scozia prenda le disposizioni necessarie e invochi un nuovo referendum sulla sua indipendenza.

L’inizio della fine per l’Unione?

Ed è a fine mattinata, in questa atmosfera da si salvi chi può, che il Presidente della Commissione Europea ha finalmente preso parola, dopo aver incontrato Martin Schulz, Donald Tusk e Mark Rutte (il Primo Ministro olandese e Presidente del Consiglio dell’Unione Europea, ndr) sulle conseguenze del referendum. «Vorrei che fosse per tutti molto chiaro, evidente, necessario che il processo di incertezze nel quale siamo entrati non duri troppo a lungo. Bisogna accelerare le cose», ha aggiunto il capo della Commissione.

Alla domanda «È l’inizio della fine per l’Unione Europea?», il Presidente della Commissione Europea ha risposto in maniera chiara e concisa con un semplice «No» prima di uscire - cosa rara - tra gli applausi e le risa dei giornalisti presenti.

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Pubblicato dalla redazione locale di cafébabel Bruxelles.

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Ci è stato ufficialmente vietato citare i Clash, ma la questione ricorda in tutto e per tutto questa famosa canzone. Il  23 giugno i cittadini britannici si sono presentati alle urne per decidere se rimanere o no nell'Unione Europea. Huge. Abbiamo quindi due o tre cose da dire a tal proposito. Potete trovare qui il nostro sostanzioso dossier sulla questione Brexit.

Translated from Brexit à Bruxelles : il faut aller vite