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Bratislava unofficial tour: solo pezzi originali

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Lifestyle

Cronache di un viaggio nella Bratislava inedita e post-comunista a bordo di un auto particolare, una Skoda 110. 

Sul cruscotto sono incastonate quattro monete, quelle che la Slovacchia ha cambiato in meno di trent’anni. Da Repubblica socialista a Repubblica democratica, con una breve tappa “federale” a cavallo degli anni Novanta e l’ingresso finale nell’euro. Tutto il resto, però, è autentico, in questa Skoda 110: dagli specchietti al volante, dai sedili fino alla leva del cambio con il pomello trasparente, unico strappo di "eleganza" a uno stile altrimenti austero.

Il bolide viene dall’anno del Signore 1970 o giù di lì, quando la Cortina di Ferro correva lungo la riva del Danubio e al di là, a pochi chilometri, oggi come ieri, c’era Vienna. L’Austria, quell’Ovest così vicino che da Bratislava ti pareva di poterlo toccare con un dito. La Skoda ha un motore autentico e pretende una miscela speciale, non la comune benzina moderna. “Le gomme no, quelle non sono originali, state tranquille”, ci dice Peter. Una laurea in informatica, 30 anni o poco più. Scarrozza turisti curiosi per le vie di Bratislava, ma non quelle intorno a Hlavne Namestje, salotto buono della capitale, tutto palazzi eleganti a ricordo dei fasti dell’impero autriaco che fu.  Non sono posti da Skoda 110. La Bratislava che non sta sulle guide ufficiali si percorre a passo lento, col motore che brontola sulle marce basse e le gomme, comunque usurate, che slittano sull’asfalto appena umido di pioggia.

La birra più buona che ci sia

La "Rivoluzione di Velluto" ha calato un sipario pacifico sull’era comunista, nel 1989, mentre un po’ più a nord, a Berlino, crollava un muro. Oggi la Skoda di Peter sguscia tra le pieghe di quel passato che ancora marchia la capitale della giovane repubblica slovacca. Questione di architettura. Come quella del birrificio Stein. Muri alti, grigi, spessi. Dentro: il silenzio. Oggi è un enorme guscio vuoto, destinato ad essere abbattuto. Una scritta sbiadita ti ricorda, più o meno, che la birra slovacca è “la più fresca e la più buona che ci sia”. Sta giusto sopra un portone arrugginito, ieri punto diretto di smercio al dettaglio. Ne uscivano casse di “pivo” e pure di Kofola, perché la Coca Cola americana non era concessa ma qualcosa bisognava pure inventarsi. Poi la Cortina di Ferro si è dissolta ma la Kofola è sopravvissuta fino ad oggi.

"Abbiamo scambiato un regime con un altro" 

In Piazza della Pace la bandiera slovacca sventola ora sulla residenza del Presidente della Repubblica. E guarda da lontano il sacrario di Slavin. Lassù, sulle colline che stringono il centro in riva al Danubio, riposano 6mila soldati dell’Armata Rossa, semmai qualcuno si dimenticasse di chi ha liberato il Paese dai nazisti. Mosca paga ancora l’illuminazione notturna e forse pure la cura del prato. Fiori finti ai piedi del portone massiccio. Controluce, in cima a un obelisco, il profilo di bronzo di un milite sovietico sventola un’altra bandiera, quella dei liberatori e schiaccia una svastica ormai spezzata. A ogni epoca, la sua retorica. “Abbiamo scambiato un regime con un altro. Non un grande affare”, riflette Peter, mentre percorre il perimetro squadrato del sacrario.  Sulle pareti, una data per ogni città slovacca celebra senza aggettivi aggiuntivi la marcia “gloriosa” dei liberatori. La Skoda attende appena più in basso, di fronte al bassorilievo che accoglie visitatori forse nostalgici e qualche turista stranito. “Gloria agli eroi caduti per la libertà della patria” dice una doppia scritta, in slovacco e in cirillico, a scanso di equivoci. Intorno, ville e villette. Per ognuna, o quasi, una bandiera straniera o una targa. Tutte le ambasciate hanno preso residenza qui, sulle colline. Dalla Cina al Lesotho. Dagli Stati Uniti all’Italia. Discrezione assicurata, per i diplomatici, ma non solo. “La vedi quella villa là? Ci viveva Vasil Bilak. È stato uno dei leader che hanno firmato la lettera di invito alle truppe del Patto di Varsavia, dando il via alla Primavera di Praga. È morto lì, in tutta tranquillità, a 96 anni”, spiega Peter. “Ora ci abita suo nipote. Si chiederà perché mi fermo qui ogni volta”.

Una foresta di condomini prefabbricati 

Se alzi lo sguardo, la vista spazia su Bratislava e sul Castello, che ha resistito nei secoli agli attacchi di mongoli e turchi ma nulla ha potuto contro il Novy Most, il “Ponte Nuovo” ultimato nel 1972, sacrificando alla modernità l’antica sinagoga e chissà quanti altri palazzi antichi. Lo chiamano Ufo, qui a Bratislava, per il disco di cemento e vetro sospeso sulle acque placide del fiume. Per la Skoda, è la porta di accesso a Petržalka. Una foresta di condomini prefabbricati da 120mila persone, alti fino a 12 piani, cresciuti all’ombra del regime comunista, solo un po’ meno grigi di ieri grazie a una mano di colore a ingentilire il profilo di una delle aree residenziali più dense di tutta l’Europa centrale. La Skoda si infila in stradine secondarie, sfila davanti a quel che resta di una fabbrica di pneumatici, oggi uno scheletro sventrato dall’incuria e dallo scorrere degli anni.

Ancora due passi indietro nel tempo e qualche chilometro più in là sopravvivono, mimetizzati tra i campi, i bunker  costruiti dai nazisti. In mezzo al silenzio e all’erba alta resiste qualche cartello arrugginito che ammonisce “Attenzione, confine di Stato”. Vorrebbe essere minaccioso. Forse lo era. Peccato che nei paraggi non ci siano più sbarre né check point. La strada sterrata si perde tra le coltivazioni. E a ricordarti che qui è Slovacchia e un passo più in là inizia l’Austria, c’è “solo” un cartello con dodici stelle gialle su sfondo blu.