Bowie e Berlino: ritorno al futuro
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nandhan molinaroIl camaleontico rocker David Bowie, dopo dieci anni di assenza, annuncia il proprio ritorno con una nuova canzone e ci riporta con un viaggio nel tempo a una delle fasi più appassionanti della sua vita. Il primo single "Where Are We Now?" è un omaggio agrodolce alla sua Berlino dei tardi anni settanta.
L'8 gennaio, giorno del suo 66esimo compleanno, David Bowie ha presentato "Where Are We Now?", brano che dà il nome al suo nuovo album The Next Day, che uscirà l'8 marzo. Il pubblico si è mostrato tanto sorpreso quanto sinceramente emozionato. Ad ogni modo, nessuno era stato avvisato. Dopo il suo ultimo album Reality (2003), si era fatto un gran silenzio attorno all'uomo che dalla sua prima hit "Space Oddity" (1969) non aveva mai veramente taciuto. La canzone con cui David Bowie ricompare sulla scena è una reminiscenza amara e melanconica degli anni che trascorse, quasi trentenne, a Berlino.
Nel videoclip si vedono vecchie riprese della città con delle diapositive chic di sapore quasi piccolo borghese, se davanti non fossero piazzate due bambole di stoffa, sulle quali il regista Tony Oursler proietta la testa di Bowie e di sua moglie. Questo è proprio, in qualche modo, il David Bowie che conosciamo: alquanto eccentrico, piuttosto imprevedibile. E questa volta anche molto intimo.
Da Dauerhigh a "Low"
"Berlino è stata la mia clinica"
Nel 1977 Bowie afferma alla rivista NME (New Musical Express) che egli deve "avere una libertà totale da tutti i punti di riferimento", e invece a Berlino troverà un'ancora. Allo stesso tempo, "Ziggy" avrebbe non pochi motivi per cadere in depressione: il matrimonio in crisi, la dipendenza dalla cocaina, l'ossessione illusoria dell'occultismo e le idee fasciste, la paranoia.
La forza di attrazione che Berlino esercita su Bowie deve essere più forte delle sue stesse ombre: "There’s a sort of a European wave happening" (Si sta generando una sorta di nuova onda europea, ndt), racconta nel 1976 durante il talkshow americano Dinah!, con un entusiasmo più che palpabile. E allora eccolo a Berlino: dopo "l'assalto" della British Invasion (fenomeno musicale degli anni '60 per cui molti artisti del Regno Unito si fecero conoscere negli Stati Uniti, Australia e Canada) e l'agitazione dello showbusiness in America, Bowie è alla ricerca di stabilità.
Quando, nel 1976 va ad abitare nella Hauptstraße 155, a Schöneberg, insieme a Iggy Pop, trova nell'enclave berlinese un rifugio insolito ma efficace. La città del muro, nella quale quasi non ci si cura delle personalità note, si limita a lasciarlo semplicemente in pace. "Berlino è stata la mia clinica", disse la rockstar al quotidiano Berliner Zeitung. Infatti limitò il suo dispendio di energie e le incanalò in progetti musicali. E produsse i primi album da solista del suo difficile coinquilino Iggy.
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L'artista, nella città divisa, godette di un quasi anonimato e condusse una vita pressoché piccolo borghese. Durante la giornata lavorava alla sua musica, e diventò un cliente abituale del locale gay Anderes Ufer, due case affianco. Una vicina si ricorda di averlo visto, seduto alla finestra, mentre suonava la chitarra. Si sarebbe potuto incontrarlo per caso anche al KaDeWe nel negozio di specialità gastronomiche. La Dschungel che Bowie oggi canta in "Where Are We Now?" è una malfamata discoteca, di cui si ricorda ancora molto bene anche per l'appariscente Romy Haag.
Sempre alla città si riferiscono i versi "twenty thousand people cross Bösebrücke / fingers are crossed / just in case", che ricordano la caduta del muro nel novembre dell'89. L'"Ostalgie" di Bowie del 2013 non è nostalgia coi paraocchi. La sua canzone berlinese per eccellenza, "Heroes", tratta della parte della città non conosciuta dai cittadini inglesi: per lavorare negli Hansa-Studios, doveva andare nella parte Est. "I can remember standing by the wall / And the guns shot above our heads / (…) And the shame was on the other side", canta Bowie. Sicuramente, non poteva ignorare la depressione della guerra fredda, anzi, questo miscuglio di ingegnosa resistenza e sconforto era di ispirazione per la creatività di Bowie.
Il resto è storia della musica: per i tre album che nacquero in massima parte a Berlino, Low, Heroes e Lodger, Bowie si lasciò influenzare dall'avanguardia tedesca. Per una breve visita di due anni, una tale pietra miliare della musica è un souvenir niente male!
Eroe per un giorno
Chi oggi vuole passeggiare sulle tracce berlinesi di Bowie, trova soltanto il bar Neues Ufer nella Hauptstraße a Schöneberg; i bohémien scorrazzano piuttosto altrove. Ci sono però ancora degli angoli, dove si respira lo spirito degli anni '70. Si può fare, ad esempio, una visita agli Hansa-Studios. Oppure si fa concretamente come Bowie e si va in gita al Wannsee, o si fa un giro in bicicletta attraverso la città, magari fino al Brücke Museum, dove i capolavori degli espressionisti, non solo le opere su tela, ispirarono l'allora artista dilettante Bowie.
Il mito personale di Bowie non si esaurisce nella città, ma deve comunque qualcosa a Berlino, dal momento che la lotta contro i suoi demoni andò a buon fine. Ad ogni modo, David Bowie non è un nostalgico del passato. Al quotidiano Tagesspiegel raccontò nel 2002, e aveva avuto un buon presentimento, che la "sua" Berlino non sarebbe esistita a lungo. Il newyorkese per scelta non ha evidentemente perso né il senso della realtà, né la sua cocciutaggine. Nel documentario David Bowie - Sound and Vision lo si sente dire che fosse abituato "ad essere testardo, impenetrabile". Il design della copertina del nuovo album lo conferma: la leggendaria copertina di "Heroes" del 1977 è nascosta da un quadrato bianco con la scritta "The Next Day". Qualcuno arriverà sicuramente alla conclusione che David Bowie è sempre di più un "Hero, just for one day".
Foto: copertina ©pagina Facebook- David Bowie; Video: Where are we now (cc)DavidBowieVEVO/YouTube, Heroes (cc)emimusic/YouTube
Translated from Bowie und Berlin: Zurück in die Zukunft