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Bonino: «Islam e Democrazia coesistano»

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Emma Bonino, che ha guidato la Missione di osservazione elettorale in Afghanistan in vista delle elezioni parlamentari del 18 settembre, si dichiara ottimista sulla democrazia afghana. Anche se il Paese ha ancora tanta strada da fare.

Eurodeputata dal 1979, ex Commissaria europea responsabile, tra l’altro, dell’Ufficio europeo per l’aiuto umanitario d’urgenza (Echo), figura di spicco dei Radicali Italiani. E sempre impegnata, Emma Bonino, nell’intessere a livello mondiale – da Santiago del Cile a Il Cairo – il filo rosso tra diritti umani, libertà e democrazia. Per promuovere le quali è attualmente alla guida della Missione di osservazione dell’Unione Europea in Afghanistan, che in questi giorni vive i dubbi e le euforie delle prime elezioni parlamentari dal 1969.

La situazione politica dell’Afghanistan lo rendeva davvero pronto a delle elezioni parlamentari?

La situazione della sicurezza in questo Paese è ancora molto instabile e quindi il difficile processo di democratizzazione ne risente. In questo contesto, le elezioni parlamentari e provinciali sono state innegabilmente un passo avanti importante per rafforzare lo Stato di diritto e dare rappresentanza politica diretta alla popolazione. Chiaramente il processo è fragile e ha presentato alcune debolezze: per esempio il programma di educazione civica per informare i cittadini sui loro diritti e su cosa andavano a votare non ha raggiunto tutti gli obiettivi. I candidati stessi hanno non poche incertezze sul proprio ruolo, una volta eletti. Ma è un processo di transizione ed una dinamica che certamente prenderà numerosi anni a compiersi. E quindi prima prende il via meglio è.

Qual è stata l’implicazione dell’Europa nella ricostruzione del Paese dopo l’intervento militare che ha provocato la caduta del regime dei Taliban?

Il coinvolgimento dell’Europa ha preso diverse forme. È stata presente sia militarmente nella forza multinazionale Isaf, sia sostenendo la ricostruzione civile del paese, dal punto di vista delle infrastrutture e delle istituzioni che personalmente seguo più da vicino. Proprio giorni fa, la Commissaria europea alle relazioni esterne, Benita Ferrero-Waldner, ha annunciato un ulteriore contributo di nove milioni di euro a copertura dei costi delle imminenti elezioni parlamentari e provinciali, che si aggiungono agli otto milioni e mezzo già precedentemente stanziati. Inoltre, l’Unione Europea finanzia con 4.1 milioni di euro la missione, da me guidata, degli osservatori elettorali, e con altri tre milioni il funzionamento del futuro Parlamento. Se poi si aggiungono i contributi bilaterali dei singoli Stati membri, l’Europa ha sostenuto oltre il 40% dei 159 milioni di dollari che sono costate queste elezioni. Complessivamente è un investimento notevole nel futuro del Paese.

Qual è stato l’obiettivo della Missione di osservazione Ue da lei guidata? Possono coesistere Islam e Democrazia?

Il mandato della missione è di “osservare” ma non “interferire” con il processo elettorale. La missione valuterà le elezioni in base agli obblighi internazionali che lo Stato afghano ha sottoscritto, in particolare la Convenzione internazionale per i diritti civili e politici del 1966, ove sono fissati, tra gli altri, alcuni principi sulla periodicità delle elezioni, il suffragio universale, il diritto a candidarsi, il voto segreto, la libertà di espressione della volontà popolare. Io sì, sono sempre stata dell’avviso che Islam e Democrazia possano coesistere: perchè non è tanto una questione di obbedienza all’Islam, che ognuno interpreta a modo suo. E qui si pensi alla differenza della condizione delle donne in Marocco, Tunisia o Turchia e ai problemi ancora da risolvere con l’Arabia Saudita, ad esempio. Oltre all’Islam, si deve fare i conti con una società patriarcale, tribale e perfino misogina impressa dal regime talebano: questa rappresenta una delle ragioni principali dell’evidente arretratezza politica, sociale o economica del Paese. Insomma lo scontro non è tra civiltà, né tantomeno tra religioni, ma a mio avviso tra società “chiuse” e società più o meno “aperte”. Democratiche o in via di democratizzazione.

Ufficialmente la guerra in Afghanistan è finita. Eppure ha mietuto più di 1.300 vittime dall’inizio del 2005. Come vincere la pace?

Questo Paese deve essere rimesso in piedi da tutti i punti di vista. A cominciare dalle infrastrutture, oggi inesistenti: basta pensare che esistono poco più di venticinque chilometri di strada asfaltata in tutto il Paese. Bisogna inoltre investire seriamente nel sistema sanitario, in un Paese dove le donne afghane continuano a vivere tra i livelli più bassi del mondo per quanto riguarda la tutela della salute, e fronteggiare questioni quali l’analfabetismo e la povertà diffusa: secondo l’Unicef il 90% delle donne partoriscono da sole, con un tasso di mortalità tra le partorienti di circa 1600 ogni 100.000 nascite. Dal punto di vista politico, poi, si deve mirare a creare istituzioni forti, aiutando la classe dirigente afghana a maturare una visione del futuro del proprio Paese. E bisogna infine porre fine alle continue interferenze deleterie dei paesi limitrofi: di Pakistan e Iran in particolare.

Il 25% dei seggi parlamentari sarebbe riservato alle donne, ma la Bbc ha rivelato quanto sia difficile, in molte regioni, trovare delle donne nelle liste elettorali. Ce la faremo a vedere questo Parlamento in burqa?

Abitualmente sono contraria all’idea delle quote femminili, ma a volte può essere utile come misura temporanea per i paesi che si affacciano per la prima volta – o si riaffacciano – alla democrazia. Nel caso dell’Afghanistan direi che è quasi necessario. Certamente durante questa campagna elettorale le candidate donne sono state particolarmente vulnerabili dal punto di vista delle intimidazioni. Secondo il recente rapporto dell’Human Rights Watch sulla partecipazione femminile alle elezioni di settembre, le candidate si sono dovute confrontare con ostacoli a volte insormontabili: l’accesso all’informazione, la possibilità di partecipare ad iniziative pubbliche, la libertà di movimento, il rischio per la propria incolumità personale e la sproporzione del sostegno finanziario rispetto ai candidati maschi. Questo è purtroppo suffragato anche dai nostri osservatori, dispiegati nelle province dall’inizio di agosto. Ma, per forza di legge, la Camera Bassa avrà sessantotto parlamentari donne e i Consigli provinciali circa il 25% di consiglieri donne. Con o senza burqa.