Biennale Democrazia incontra l'Europa a Torino. Il nostro racconto dei dibattiti a sfondo europeo
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La ricerca dell’anima del continente, il ruolo storico della Germania: sono questi i diversi temi su cui si sono confrontati i relatori e coloro che hanno partecipato ad alcuni tra i tantissimi incontri di Biennale Democrazia (potete leggere a parte il nostro articolo sulla manifestazione e quello relativo al dibattito sui separatismi). Filo comune, l’Europa, vista da prospettive differenti.
Le sale affollate, anche alle 10:30 del mattino di un’assolta domenica di primavera. La voglia di confrontarsi e condividere le riflessioni sui grandi temi dell’attualità. È Biennale Democrazia, la manifestazione torinese che “nasce con l’ambizione di promuovere i valori civili e democratici in un’ottica di partecipazione e condivisione”, ormai giunta alla sua quarta edizione, con sempre maggiori riscontri in termini di coinvolgimento (sono state più di 35.000 le presenze registrate negli oltre 120 appuntamenti in programma dal 25 al 29 marzo nel capoluogo piemontese). Vi proponiamo un resoconto di due incontri nei quali si è parlato di Europa.
L’anima dell’Europa
Maurizio Ferrera (docente all’Università di Milano ed editorialista del Corriere della sera), arriva subito al punto nevralgico, partendo dall’etimologia per poi introdurre nel dibattito interrogativi stimolanti: “La parola ‘anima’ deriva dal greco, nel senso di respiro. Ma l’Europa sta ancora respirando? Oggi, quando l’euroscetticismo coinvolge ormai non solo l’Euro ma tutta la costruzione europea, quale è la missione dell’Europa, che per cinque decenni ha avuto delle funzioni fondamentali, come la promozione della democrazia e della pace? Come coinvolgere i cittadini e in che modo uscire dalla spirale conflittuale che si è creata, non solo in riferimento al dibattito economico che vede contrapposte Germania e Grecia ma anche, per esempio, sul tema della libertà di circolazione per i cittadini dei nuovi Paesi membri, quelli dell’Est?”.
Per Edgar Grande (insegna presso l’Università di Monaco di Baviera) questa grande crisi ha spazzato via quattro miti fondanti dell’Europa: prosperità, uguaglianza, unitarietà e irreversibilità del progetto, per cui “l’Europa conosciuta prima della crisi non esiste e non esisterà più”. Ma è ipotizzabile un’alternativa all’egemonia degli Stati economicamente più forti e dei poteri tecnocratici, cioè allo scenario che si è materializzato ai giorni nostri e che, a ben vedere, rappresenta la stessa faccia della medaglia? Secondo Grande, per evitare questa deriva e per rilanciare il progetto europeo, non è più possibile far leva solo sulle politiche economiche. “L’Europa deve puntare su altri aspetti, come la politica estera. Il mondo desidera una forte presenza europea. I cittadini devono quindi chiedere a gran voce di modificare i Trattati sui temi della sicurezza e della politica estera. Da qui deve ripartire la nuova Europa”, ha commentato Grande. Antonio Padoa-Schioppa, professore emerito presso l’Università di Milano, ha individuato anche altre prospettive, come “la valorizzazione dei beni culturali e del territorio”. Bisognerebbe puntare su iniziative concrete, efficaci immediatamente. “Sarebbe necessario - ha rilevato Padoa-Schioppa - inoltre modificare i Trattati subito, eliminando il diritto di veto. Solo con queste misure tornerebbe il consenso dei cittadini”.
Mario Telò, docente alla LUISS e a Bruxelles (definita come “una città amica dei cittadini e dei tanti giovani che vogliono viverci. Non è lo spauracchio dipinto da certa stampa”), dove ha maturato una lunga esperienza come consulente delle Istituzioni politiche dell’Unione Europea, dopo aver ribadito i grandi meriti storici dell’UE, ha individuato alcune illusioni che si erano diffuse nel progetto continentale, e cioè “la facilità di dar vita agli Stati Uniti d’Europa e la creazione dell’unione economica a partire da quella monetaria”. Telò ha quindi individuato tre punti fondamentali, da cui far ripartire il progetto europeo: “1) Si deve rimanere nell’Europa non solo perché conviene, vedi la Gran Bretagna, che di fatto è sempre più fuori; 2) L’Europa deve acquisire un peso internazionale, guidando le sfide globali e in particolare gli effetti della globalizzazione nell’Occidente. Con questo ruolo potrebbe riconquistare la fiducia dei cittadini, che vedono incidere nelle loro vite solo gli effetti negativi della globalizzazione stessa”. Il terzo elemento chiama in causa il problema della leadership e parte da una considerazione di Van Rompuy, già Presidente del Consiglio europeo dal 2009 al 2014, riferita da Telò: “Per cinque anni, il tema è stato il rapporto fra la Germania e il resto dell’Europa”. Secondo il professore della LUISS, la Repubblica Federale Tedesca deve essere all’altezza della sua responsabilità internazionale e “dovrebbe impegnarsi non soltanto sulle questioni economiche ma anche sugli altri dossier che sono nevralgici nel contesto continentale, come l’ambiente e l’energia”.
Germania ed Europa: passato e presente
“Tutti i soggetti collettivi perseguono i loro interessi, la differenza sta nel grado di razionalità con cui tali interessi vengono perseguiti”. Non si tratta di una epigrafe scolpita nel marmo di una imponente opera scultorea, ma delle parole con cui Pier Paolo Portinaro, docente di filosofia presso l’Università di Torino, ha introdotto il dibattito su Germania ed Europa, organizzato in collaborazione con il Goethe-Institut Turin (così come quello su "L’anima dell’Europa"). Un incontro, è bene precisarlo fin da principio, che non era incentrato direttamente sulle tematiche economiche di stretta attualità. Non si è discusso del supposto “ruolo egemonico dei tedeschi” nello scacchiere continentale, quanto piuttosto dell’evoluzione dell’odierna Repubblica Federale Tedesca, attraverso alcuni snodi fondamentali del suo passato e del suo presente. L’economia, come la politica, tuttavia, fatica a restare completamente estranea a riflessioni di tale natura. Entrambe vengono inevitabilmente richiamate, anche in un discorso di carattere prevalentemente storico. Ragion per cui suona particolarmente stringente, nel contesto politico-economico europeo, la riflessione introduttiva, che il professor Portinaro ha quindi completato: “Suona pertanto puerile lamentarsi se qualcuno riesce a perseguire i propri interessi meglio di altri”. Ogni riferimento a certi articoli di stampa era voluto. Su questa strada, tornando alla lettura storicistica, la Germania viene vista come una via peculiare e un modello nell’elaborazione del passato, la Vergangenheitsbewältigung. Tale elaborazione è stata inizialmente imposta in Germania (vedi il processo di Norimberga), senza che ciò si sia verificato in Giappone e neppure in Italia (per quanto riguarda il nostro Paese, sulla volontà degli Alleati, ha inciso il cambio di fronte di guerra della bandiera tricolore oltre ad altre ragioni analizzate ampiamente dagli storici). “L’elaborazione del passato è un momento fondativo della storia democratica tedesca, mentre invece è molto negativo, per lo sviluppo storico e politico dell’Italia che ciò non sia avvenuto”, ha osservato il professor Portinaro. Basti pensare che il cosiddetto ‘Armadio della vergogna’, sui crimini di guerra nazifascisti, è stato rinvenuto in un palazzo romano nel 1994. Solo da quel momento è stata intrapresa un’analisi storica, che ha avuto un ruolo positivo ma pur sempre tardivo.
Sulla scorta delle sollecitazioni del professor Portinaro, hanno condiviso le loro riflessioni Norbert Frei, docente di Storia moderna e contemporanea all’Università di Jena, e Anna Foa, già professoressa di Storia moderna all’Università La Sapienza di Roma. Il primo ha introdotto alcuni temi molto discussi nel dibattito tedesco. Anzitutto facendo riferimento ai libri di Christopher Clark, sulla Prima Guerra Mondiale, che stanno riscuotendo successo (a dispetto del fatto che per decenni l’interesse per il conflitto del 1915-1918 fosse sopito in Germania), forse perché contengono la tesi di uno “sgravio della colpa” della Germania, qualcosa del tipo “almeno allora la colpa non era esclusivamente della Germania”. Il tema dello “sgravio della colpa” è molto avvertito, in particolare dai giovani. “Esiste nel mio Paese - ha rilevato Frei - una discrepanza tra una parte della popolazione favorevole al confronto con la storia mentre un’altra parte avverte una sorta di ‘rilassatezza’ nei confronti dell’importanza del passato, all’insegna del più classico ‘mettiamoci una pietra sopra’, testimoniato anche da alcuni sondaggi che hanno avuto vasta eco in Germania”. Foa ha concluso osservando che “non può esserci uno sviluppo europeo senza aver fatto i conti con il passato. È attraverso l’elaborazione del passato che la Germania ha potuto creare la sua egemonia culturale, etica e politica”.