Besiktas: calcio e impegno sociale in salsa turca
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Giulia GuglielmiA Istanbul, dall’aristocratico Galatasaray, all’asiatico Fenerbahçe, passando per il Beşiktaş, autoproclamata squadra del popolo (in turco halk takim), le tre grandi del calcio turco sono un simbolo di appartenenza identitaria per i loro fedelissimi.
Ma i tifosi del Besiktas hanno qualcosa in più: degli striscioni impegnati e una curva presente nelle manifestazioni politiche e guidata da un armeno. Per essere tifosi del Besiktas, bisogna difendere il progressismo sociale e l’integrità del calcio. Abbiamo incontrato i tifosi locali.
L’universo Besiktas è un gioioso crogiolo di riferimenti ideologici. I suoi tifosi rivendicano sia il sostegno di Atatürk (il padre della Repubblica avrebbe ammesso in privato di tifare per la squadra) sia la passione per Che Guevara. I membri del Çarşi, club di tifosi simbolo del Besiktas, completano questo improbabile kit identitario con il logo rosso raffigurante la A di ispirazione anarchica. Tutti sono abituati a queste “incongruenze visuali”. Dopotutto, sono lì per divertirsi, no?
Sugli spalti, Orhan Pamuk e i diritti degli animali
Sì. Salvo che a Besiktas, il fanatismo sportivo si è politicizzato. L’ideologia progressista sostenuta dagli irriducibili del club li fa sembrare dei marziani in un universo sportivo dominato essenzialmente da proclami di odio. Al di là dei risultati sportivi, c’è un comune orgoglio che unisce la comunità di tifosi del Besiktas: l’esprimere opinioni a volte marginali e poco discusse nella società turca. Le cause in cui si riconoscono i tifosi del Besiktas sono numerosissime : dalle più aneddotiche (il massacro dei cuccioli di foca, l’aumento dei prezzi del gas) alle più controverse (il sostegno a Orhan Pamuk dopo la sua presa di posizione sul genocidio armeno). Antirazzismo, ambientalismo o giustizia sociale: i tifosi del Besiktas denunciano tutte le derive della società e si preoccupano di preservare l’integrità del loro sport preferito. Tra gli animatori di questo attivismo a 360 gradi, c’è un nome ricorrente: Çarşı.
Çarşı è contro tutto !
Questo gruppo di tifosi indipendenti, fondato nel 1982, è diventato emblematico. Çarşı significa letteralmente "bazar, mercato" e nell’immaginario locale si riferisce al quartiere commerciale dove è nata la squadra. Nel tempio dell’Inönü Stadium, per tradizione Çarşı è il gran cerimoniere. Il gruppo è nato subito dopo il colpo di stato del 1980. All’epoca, la polarizzazione destra-sinistra era molto forte nella società turca e l'opinione pubblica aveva il bavaglio, essendo proibiti partiti e sindacati.
Con il loro gusto per i temi sociali e la partecipazione alle manifestazioni politiche, i membri del Çarşı hanno trasformato le curve in piattaforme per rivendicazioni politiche e sociali? Tamil Bora, politologo e autore di vari studi sul calcio turco, ritiene che “sarebbe fuorviante considerare Çarşı come un surrogato della politica.. E' vero invece che "molti cittadini politicizzati, una parte dei giovani e della cultura popolare si sono appropriati di slogan e giochi di parole del club, rendendoli una sorta di 'bene comune'. Ma è errato pensare che Çarşı possieda per questo un’influenza 'egemonica' nella sfera pubblica”.
In realtà, sebbene Çarşı sia diventato sinonimo di spirito ribelle, la sua retorica non manca mai di un certo senso dell’umorismo. A forza di essere ripetuto, lo slogan “Çarşı è contro tutto!" è diventato di culto, anche al di fuori della scena calcistica. Questo grido riassume in modo efficace la cultura iconoclasta dei membri del gruppo.
L’Armeno signore degli spalti turchi
“La gente cerca sempre di capire come ha fatto un turco armeno ad assumere questo ruolo in un paese musulmano!”
È impossibile capire il funzionamento di questa straordinaria macchina fabbrica-slogan senza farne parte. Il suo rappresentante principale, l’amigo Alen, insiste sull’assenza di una struttura gerarchica: “All’interno di Çarşı, non ci sono capi, solo tifosi” e sul carattere democratico del gruppo: “Non ci occupiamo delle divergenze d’opinione politica o religiosa”. L’aspetto più interessante è che l’uomo che ha a lungo animato le tribune e che gode di una incredibile notorietà mediatica ha una particolarità: è armeno! E, colmo dell’ironia, Alen Markaryan riconosce persino che il suo cognome ha contribuito alla sua fama, “perché la gente cerca sempre di capire come ha fatto un turco armeno ad arrivare fin qui in un paese musulmano!” Se si guardano le gradinate dello stadio sprofondare nel silenzio o infiammarsi in una frazione di secondo sotto la sua guida, ci si rende conto della sua popolarità tra i tifosi del Besiktas. Un elemento che aiuta a comprendere come il fanatismo sportivo e il sostegno collettivo ad una squadra abbiano consentito a questo gruppo di andare oltre l’immobilismo identitario nazionale.
La squadra del popolo contro il calcio industriale
“Biz seni sevinmek için sevmedik", ovvero: “Non vi amiamo per essere felici”. Questa frase rappresenta e riassume la fusione completa dei tifosi del Besiktas con la loro squadra. Questi tifosi non sono lì per la vittoria. Tuttavia, l’amore incondizionato di alcuni vacilla. Pomo della discordia, la liberalizzazione economica della società turca e la conseguente mercificazione del calcio. Il “calcio industriale”, declinato in trasferimenti a peso d’oro, in un frenetico balletto di allenatori capri espiatori per stagioni andate male e in un aumento costante dei prezzi dei biglietti, distrugge i valori originali della squadra: modestia, lavoro, spirito di sacrificio e solidarietà.
Una piccola cerchia di delusi ha quindi deciso in questa stagione di sostenere un piccolo club di provincia. La squadra di Karabük, città industriale ad ovest del Mar Nero, ha la particolarità di essere sostenuta finanziariamente da un sindacato. Meno risorse, ma una gestione sana che ha consentito al club di risalire di nuovo in Süperlig, la serie A turca. Questa scelta è in linea con l’atteggiamento ribelle rivendicato da molti tifosi del Besiktas. Parafrasando il motto del Çarşı, potremmo quasi affermare che i tifosi del Besiktas sono "contro tutto", persino contro il Besiktas.
Un ringraziamento a tutti coloro che hanno ispirato e facilitato questo reportage: Özcegan, Bülent, Dilek, Aliçan. Un ringraziamento va anche a Burcak Fakıoglu per le sue traduzioni.
Questo articolo fa parte della serie Orient Express 2010-2011, la serie di reportage realizzati da cafebabel.com nei Balcani e in Turchia. Più informazioni su Orient Express Reporter.
Foto: home-page: (cc)ayhang/flickr ; sciarpe e taxi : ©Tania Gisselbrecht ; Che Guevara et allenamento: ©Nemanja Knežević
Translated from Beşiktaş : le football engagé version turque