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Berlino, ritorno al presente: tre scrittori, tre storie, una città

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Cultura

«Seducente, grigia, tignosa, malandata, e tuttavia vibrante di vitalità nervosa, scintillante, fosforescente, animata, piena di tensione e di promesse». Così Klaus Mann descriveva Berlino nel 1923. Che la sua appassionata descrizione sia ancora attuale?

Ho deciso di scoprirlo guardando la città attraverso gli occhi e i racconti di tre scrittori, tre forestieri che a Berlino ci sono capitati per scelta o per caso. Un punto d’osservazione privilegiato per cercare di decriptare un complesso mosaico di cliché.

Sotto il cielo di Lankwitz

Gianluca Falanga, Non si può dividere il cielo. Storie dal Muro di Berlino, Carocci, Roma, 2009

È una fresca mattinata di fine maggio, la S-Bahn 25 attraversa enormi spazi verdi vuoti, prima di arrivare a Lankwitz, dove Gianluca Falanga mi attende per una lunga chiacchierata. Gianluca, 33 anni, italiano, è a Berlino da 8. Fa lo scrittore. Mentre prepara il caffè inizia il suo racconto: «la città non l’ho scelta, ci sono capitato in una fase della mia vita in cui avevo voglia di andare via. Berlino era allora – 2002 – una città che non smetteva di trasformarsi. In questa metamorfosi mi ci sono identificato».

La storia di una città divisa in due da un muro: «oggi è difficile immaginare che sia successo davvero»Gianluca per qualche anno lavora in libreria, e da lì osserva attentamente: «Una città con una simpatia per il trapiantato, come me. Si dice, infatti, che “il vero berlinese non è di Berlino”». Gianluca, che pubblica soprattutto in tedesco, considera Berlino unica per la sua dimensione provinciale: «Io la trovo molto grande ma non fittamente abitata, e questo fa si che ci si viva un po’ come in un grande villaggio. La gente tende ad identificarsi con il suo quartiere». Il suo amore per Berlino è evidente, come il suo disincanto. «Mi è capitato di dare dei corsi d’italiano in un quartiere popolare a est. Un’esperienza importante per conoscere parti della città che la bolla mistico-intellettuale non conosce, parti dove la crisi economica è galoppante, dove cogli che il mito è solo un mito, che Berlino non è una città cosi leggera, ma ci sono problemi economici e sociali molto grossi». Gianluca Falanga si fa serio quando mi dice che le situazioni umane a Berlino ti formano e ti ispirano nella scrittura. Una città che secondo lui fa fatica economicamente: «La crisi si fa sentire. Il trend economico è negativo, e la situazione nel mercato del lavoro è molto difficile».

Mi saluta con un pizzico di realismo malinconico: «Sto mutando il rapporto con la città. Tempo fa ti avrei detto che a Berlino, chi è in movimento, trova la cornice giusta. Adesso non credo più sia così. Si è scoperta una città normale». Oggi Berlino è arrivata nel presente è ha difficoltà ad entrarci.

Schöneweide e la Berlino balcanica di Maksim

Nel sud-est berlinese (Foto: ©Chiara Dazi)Maksim Cristan, (fanculopensiero), Feltrinelli, Milano, 2007

Lascio Lankwitz e mi dirigo verso Schöneweide, in un quartiere non proprio accogliente, ma dal fascino post-industriale. Maksim Cristan, 43enne scrittore croato, compare alla finestra di una vecchia fabbrica in disuso e mi fa cenno di salire. Ha gli occhi arrossati dal computer: «Sto lavorando ad una cosa che non mi lascia dormire. È così che vivi quando fai il pensatore».

L'autore croato ha vissuto per quattro anni a Milano da senzatetto. Questa sua esperienza è alla base del suo primo libro "Fanculopensiero", edito in Italia da Feltrinelli. (Foto: ©Chiara Dazi)Parla un ottimo italiano: «La gente qui è completamente fuori di testa» sorride. Maksim ama gesticolare platealmente, e aggiusta continuamente il suo cappello, come se avesse paura di perderlo. Le sue movenze mi ricordano Roberto Benigni, una specie d’istrione irrequieto. «Questa città ha qualche problema: sta rientrando nella normalità neoliberista. In questa fase storica non è possibile sfondare, non c’è lavoro». È in città dall’ottobre 2008, e appare già disincantato e realista: «Il primo approccio è bellissimo, è tutto libero, è tutto bello. Però se approfondisci non è così. Quando sono arrivato pensavo “finalmente una cosa autentica, una comunità che ha capito come vivere”. Ma la libertà c’è fino a un certo punto. E allora la mia ricerca finisce lì, perché tutto quello che esploro qui è falso, e preferisco poter esplorare qualcosa di vero».

«Finché righi dritto è tutto bello, ma se esci dal tracciato rischi molto. C’è una mentalità punitiva stampata addosso ad una parte dei berlinesi»

Il pensatore croato non ama la mentalità dei berlinesi puri e duri: «Finché righi dritto è tutto bello, ma se esci dal tracciato rischi molto. C’è una mentalità punitiva stampata addosso ad una parte dei berlinesi. Un autista di un autobus un giorno mi ha detto: “Bisogna pronunciare bene le parole”. T’insegnano a vivere! Ma vaffanculo!» declama divertito. Ritorna serio quando gli chiedo se è facile guadagnarsi il pane quotidiano: «Le possibilità a Berlino sono poche. Gli unici soldi che ho fatto qui in due anni sono i 16 euro che ho guadagnato un giorno al mercatino turco, cantando insieme ad un amico musicista».

Secondo lui la differenza con il resto della Germania è evidente. «Ma sai, in Germania funziona tutto bene – mi dice, - Berlino invece è come un’Alfa Romeo: prendi una maniglia e si rompe, ti poggi ad una porta e cade. Ma vaffanculo – ride di gusto. - In certe case non puoi nemmeno soffiare se no cade tutto. Ma questo è anche un aspetto poetico di Berlino!», conclude sognante. Prima che vada via mi confessa che il suo bilancio è tutto sommato positivo, «anche se mi sento un po’ in pensione qui. Se dovessi scegliere di vivere a Berlino non mi lamenterei. Ma guarda a caso non la scelgo» sorride mentre si aggiusta il cappello.

Mitte, Maïa and the city

Maïa Mazaurette, Osez... les rencontres sur Internet, Fluid Glamour, 2010

Riprendo la S-Bahn e mi dirigo verso il cuore di Berlino. Maïa Mazaurette abita nella Torstraße, nel distretto del Mitte. Maïa, 32 anni, è una scrittrice e blogger francese, parigina per l’esattezza. È arrivata a Berlino nel luglio 2006 «perché ero stanca di Parigi e di vedere sempre le stesse persone». Maïa è sorridente, anche se la giornata lavorativa, dice, non è stata delle migliori. Ha un modo di fare spigliato, e una parlantina da fare invidia a Maksim, o quasi. È innamorata della città, e soprattutto del suo quartiere, pieno di piccole gallerie d’arte. «Qui posso lavorare tranquilla, gestire il mio tempo, scrivere, e poi inviare tutto a Parigi senza troppo stress! Il giorno in cui diventerà cara me ne andrò via, - sorride - è anche per questo che sto qua».

Il suo lavoro s'incentra soprattutto su questioni legate alla sessualità e sulla ripartizione di ruoli tra uomo e donna (Foto: ©Chiara Dazi) Maïa ama il fatto che a Berlino ci sia una grande libertà di spirito, ma riconosce che non è tutto oro colato: «È molto duro entrare nei circoli “tedeschi”, difatti tutti i miei amici sono stranieri. Tra i tedeschi non c’è la stessa spontaneità». E poi anche lei mi fa notare che la povertà in città è evidente: «Qui non si trova lavoro, è così da anni» afferma decisa, e conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che Berlino è diversa dalla Germania. «C’è molto più bordello qui a Berlino, una varietà etnica e sociale che non c’è nel resto della Germania». E scherza sull’aspetto della città: «È brutta – ride, - non sai mai cosa mostrare ai tuoi amici per fargli apprezzare Berlino». Conclude dicendomi che «oggi c’è un po’ la moda di Berlino, ma è comunque una bellissima città per i giovani. Vuoi un caffè?».

Un ultimo caffè per riflettere su questa Berlino, mitizzata oltre modo ma sempre affascinante, in cui la crisi sembra piuttosto una condizione endemica che temporanea. Certo, essere pagati a Parigi e vivere a Berlino non è una cattiva idea. Al capolinea di questo breve viaggio letterario mi ritornano in mente le parole di Klaus Mann, e penso che in fondo siano ancora maledettamente attuali. Non ho trovato ricette contro la crisi, ma vado via con una certezza: non cercherò lavoro a Berlino. Almeno, non adesso.

Foto: ©David Tett; ©Chiara Dazi